- Rita...? - balbetta incredulo - Sei davvero tu?

Poi si convince. Il suo sorriso, duro, amaro, riempie lo schermo.

- Rita. Straordinario! Non posso crederci...

Neanch'io.

3

- Quanti anni sono? Cinque? Sei?

- Sette. - faccio eco, picchiettando distrattamente le unghie sulla tazzina bianca marcata Illy.

Lui butta giù il suo caffè in un solo sorso e poi si mette a giocherellare col cucchiaino. - Be', non si può dire che tu li abbia sprecati. Stai con uno degli uomini più ricchi e potenti del Paese. Con un futuro primo ministro, forse. Straordinario.

- Sto con l'uomo che amo. - rispondo glaciale.

- Ma certo. - sorride - Voi donne non vi sposate mai per denaro: fate sempre in modo di innamorarvi di un miliardario.

Lo trafiggo con un'occhiata. - Nella vita ci sono cose ben più importanti del denaro.

- Ah, certo. Il guaio è che ci vogliono i soldi per comprarle.

Un sarcasmo acido, cattivo. Antonio non è cambiato affatto. L'intellettuale infelice e ardente, sempre in guerra col mondo, sempre con la pallottola in canna e il pugnale tra i denti. Non so se riesco a ricordare qualcosa tra me e lui che non fossero litigi. Anche tra le lenzuola, più che sesso, erano scontri di piazza.

Ma non ho voglia di continuare queste schermaglie. Non certo al tavolino dell'American Snack, in pubblico, tra gente che da un momento all'altro potrebbe riconoscermi nonostante gli occhiali scuri.

- E tu che fai? - domando per cambiare discorso.

Lui scrolla le spalle. - Quello che ho sempre fatto. Mi batto per tutte le cause perse.

- Per te insultare la vittima di un attentato e offendere la sua famiglia significa battersi?

Lui non risponde subito. E' pensieroso. Dallo stereo del locale, un vecchio pezzo dei Dire Straits. Una canzone che sembra dirgli qualcosa.

- Come sta tuo marito? - chiede alla fine.

- E' fuori pericolo. Sotto osservazione, ma va meglio.

Tace di nuovo. Mi guarda stranamente, con un'espressione tra un rimprovero e un sorriso. Fuori dal locale comincia a piovere. Un acquazzone estivo. Gocce pesanti come lacrime tracciano in verticale la vetrata confondendo il nostro riflesso con le figure dei passanti che si affrettano in cerca di riparo, nella calda sera romana fattasi improvvisamente ostile.

- Credo che tu davvero non lo sappia. - mormora.

- Cosa?

- Straordinario. - sogghigna. - Non sai niente di niente. Sempre la stessa Rita, che non si accorge che il mondo ha i denti finché non li sente addosso.

Le sue parole mi sono familiari. E' un'accusa che mi ha fatto altre volte, tanti anni fa. Mi infastidisce come allora.

- Di che stai parlando? - ribatto.

Lui appoggia le mani sul tavolino, si avvicina a me. - Vuoi saperlo davvero?

Mi alzo in piedi, esasperata. - Piantala di fare lo stronzo! Che diavolo vuoi da me? Se hai qualcosa da dire fallo, altrimenti vattene e lasciami in pace! Chi ti credi di essere?

- Chi sei tu, che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri? - mormora tra i denti. Poi si alza. Lascia il conto sul tavolino e si infila un K-Way. - Andiamo. Ti farò vedere.

Chiedendomi perché mai lo stia facendo, gli vado dietro. A bagnarmi sotto la pioggia. E' come un flashback, un replay di tante scene che credevo di aver dimenticato, lui davanti a ciondolare su quelle gambe lunghe come trampoli e io dietro furibonda perché non so dove mi sta portando. Gli anni sono volati, ma Antonio è sempre lo stesso. Misterioso, cinico e sputasentenze. Ieri, per lettera, mi ha dato dell'assassina. Oggi gli sono bastati dieci minuti per accusarmi di nuovo, come faceva anni fa, di essere stupida e miope. Lo detesto. Non capisco davvero perché non lo sto mandando all'inferno.