Cos'hanno a che fare la fantascienza e i diritti umani? Direttamente niente, secondo me, assolutamente niente.

Quando abbiamo pubblicato on line il bando della prima edizione del Premio Omelas, abbiamo ricevuto delle critiche da parte di alcuni membri del newsgroup di fantascienza: "voi volete propagandare una visione militante della fantascienza, imporre un'ideologia; la letteratura non deve prefiggersi scopi o ideali, non deve lanciare messaggi" questo ci è stato detto e, almeno entro certi limiti, ritengo che queste affermazioni corrispondano al vero. Nemmeno noi, infatti, pensiamo che trattare il tema dei diritti umani sia l'unica via per scrivere qualcosa di degno. Siamo anzi certi che sia possibilissimo scrivere fantascienza senza parlare di diritti umani e, probabilmente, anche fantascienza che vada contro questi diritti. Forse, però, alcune considerazioni possono illuminare le possibili aree comuni tra difesa dei diritti umani e fantascienza.

Ricordo di essere rimasta molto colpita da una lettera comparsa omai diverso tempo fa su Diario a proposito della prossima condanna a morte di un recluso negli Stati Uniti che diceva così: "Se la terra fosse piatta e la pena di morte fosse giusta, Timothy McVeigh meriterebbero di morire. Però la terra non è piatta e la pena di morte non è giusta; noi protestiamo contro l'esecuzione di Timothy McVeigh".

Questa è, in un certo senso, una dichiarazione molto arrogante di positivismo morale, che non porta argomentazioni e dichiara semplicemente "Noi sappiamo che le cose stanno così".

Ma esistono davvero verità incontrovertibili? Io credo che esistano soltanto gradi diversi di verità, alcuni più probabili di altri. Questo, per lo meno, è l'atteggiamento, magari un po' ingenuamente positivista, non solo di molti che si occupano di scienza e fantascienza, ma anche di molti che si occupano della difesa dei diritti umani: cioé che noi non abbiamo certezze ultime, ma abbiamo la ragionevole convinzione che certe cose siano vere, per esempio che certi diritti spettino a tutti gli esseri umani.

Oltre a queste forme di pensiero positivista ci sono almeno altre due somiglianze tra chi difende i diritti umani e chi ama la fantascienza.

La prima è un modo duplice e contraddittorio, ma sempre contemperato, di guardare il mondo. Fantascienza e difesa dei diritti umani sono entrambi filtri che ci consentono di guardare, senza rimanerne pietrificati, la vera faccia della realtà. Come uno specchio deformante, un cannocchiale, un microscopio, un velo o uno specchio lucido in cui si possa guardare la testa della Gorgone senza rimanerne pietrificati. Un filtro che ci permette di guardare quelle cose il cui sguardo normalmente non potremmo e non vorremmo sostenere.

Noi di Amnesty sappiamo che spesso la gente che fermiamo per strada per sensibilizzarla ai nostri temi, non vuole sapere. Certo, in molti casi è perché sono tormentati da richieste di appelli di firme di tutti i tipi, ma spesso è perché certe cose non le si vuol vedere. E' un atteggiamento assolutamente comprensibile, perché certe realtà sono semplicemente insostenibili, sono dolorose, sono una minaccia al nostro senso di sicurezza, al nostro senso di decenza umana, e anche al nostro senso di colpa, perché ci sentiamo più fortunati.

E la fantascienza serve a raccontare queste realtà con una specie di scorza. Tutta la letteratura distopica rappresenta questo tentativo. La fantascienza - e non solo quella distopica, anche nella fantascienza non esplicitamente tale ci sono rappresentazioni non necessariamente gradevoli, vedi ad esempio Abissi d'Acciaio di Isaac Asimov - serve ad affrontare questa realtà, a rappresentare futuri se non terribili almeno problematici.