Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo...

dal Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

La fantascienza non può fare a meno di occuparsi di diritti umani. Immaginare i mondi possibili, e le società che li abitano, obbliga pressoché ogni autore a scontrarsi con le leggi fondamentali che regolano la convivenza tra i popoli e tra gli individui. Cambieranno queste leggi, o resteranno uguali? Cambieranno gli ideali che le ispirano, il concetto di umanità, i criteri che permettono di stabilire chi abbia dei diritti e chi no? Naturalmente queste riflessioni possono risultare più o meno esplicite, più o meno vicine alle preoccupazioni di un autore o di un regista. Ma anche laddove di diritti non si parla, nella fantascienza prevalentemente d'azione o di esplorazione, è a volte possibile ritrovare, magari sotto forma di metafora o di allegoria, i temi centrali di una discussione come la nostra.

A partire dal concetto di famiglia umana. Se ne parla già alla prima riga della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, si può dire anzi che questa entità sia a tutti gli effetti la protagonista principale del documento. Eppure essa non viene mai definita. L'appartenenza alla razza umana, e con essa lo status di individuo, sono riconosciuti implicitamente dal criterio scientifico che permette di distinguere l'uomo dalle altre specie animali. In un mondo lacerato dalle ferite della guerra mondiale e del nazismo. e in cui l'eugenetica ancora godeva di un certo credito scientifico, la Dichiarazione è rivoluzionaria anche nel suo essere - per l'appunto - universale, nel suo non piegarsi a discriminazioni "di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione".

Pur mancando di definizione, l'umanità della Dichiarazione è una categoria assoluta: non si può essere un po' umani, lo si è o non lo si è. La fantascienza, viceversa, non tollera facilmente gli assoluti, si annida più volentieri nelle linee di confine, negli spazi di ambiguità; e fin dalla sua preistoria, non a caso, fa della critica del concetto di umanità una delle sue ricorrenti ossessioni. In che rapporto si pongano con l'umano il golem del mito ebraico, il Frankenstein di Mary Shelley o i marziani di Herbert George Wells è una delle domande fondanti del genere. La questione, rispetto ai diritti umani, è quella del privilegio di appartenere: se esistano ovvero gradazioni di umanità, criteri che permettano di includere gli uni a danno degli altri - siano essi gli emarginati, le minoranze, gli avversari politici, gli stranieri.

Il cinema di fantascienza affronta questi temi nella gran parte di quelli che sono pressoché unanimemente ritenuti i suoi capolavori, e il terreno della disputa sulla definizione di famiglia umana diventa per esso un fondamentale punto di partenza per l'esplorazione del futuro.

Frankenstein e il golem, si diceva, due creature nate non d'uomo e di donna bensì dell'ingegno di un rabbino e di uno scienziato. Sono loro gli archetipi da cui discendono in via più o meno diretta Hal-9000, i replicanti di Blade Runner, e insomma tutte creature artificiali o semi-artificiali pensanti che vanno sotto il nome di volta in volta di robot, automa, computer, replicante, androide, cyborg.