Cuore e volontà

Pensa al tuo racconto, al premio Omelas, e scrivi qualche riga, mi hanno detto. Facile. Anzi, no. Come posso farlo senza enunciare banalità, suggerire cose scontate, senza impedirmi di avvolgere le parole addosso a un sentito dire? E' solo una pagina bianca, sono d'accordo, niente di traumatico, ma sembra ugualmente un muro. Non è cosa di tutti i giorni, né un premio e un racconto buoni per tutte le stagioni. Qua, io e voi, parliamo di qualcosa di profondamente diverso. E allora partiamo dall'anima di una storia che, secondo me, poggia sempre sul conflitto tra la razionalità dell'autore e l'indipendenza del suo istinto. A volte trionfa la lucidità, altre la passione, ma è sempre una questione di equilibrio da raggiungere e confezionare al meglio. Il premio Omelas mette in crisi questo principio, lo sovverte, ne brutalizza le regole cambiandone la prospettiva e mi fa sentire assolutamente inadeguato a rappresentare una realtà (poco importa se rivestita dai lustrini della fantascienza) che nella migliore delle ipotesi mi è sconosciuta, e nella peggiore spesso mi fa comodo ignorare. Portare su carta la sofferenza, il dolore o esperienze che rasentano il limite del sopportabile e che in ogni istante lo varcano, non è cosa semplice; diciamo pure che è impossibile. A poco servono tecnica e immaginazione, e non ritengo possano arrivare a rendere giustizia a quella realtà, a chi la sta vivendo o a chi l'ha vissuta. Haceldama nasce da questo, cioè dal tentativo di immaginare, né più né meno. E non è detto che quel che immaginiamo ci debba piacere, tutt'altro; l'Omelas serve soprattutto a questo: ti fa guardare nell'angolo più lontano, quello più buio, dove di solito non si pensa di trovare qualcosa di interessante; e a quel punto, cosa può fare uno scribacchino se non scriverne? A questo proposito vorrei fare mio un pensiero che Enrica Zunic' espresse qualche giorno fa tra amici, davanti a un caffè che chiudeva una giornata intensa e bellissima: "Per quale motivo racconti di fantascienza che si fanno portatori di principi basati sui diritti umani devono essere mandati soltanto all'Omelas? Meglio sarebbe trovarli anche altrove."

Già, perché no? Talmente semplice da farmi vergognare.

E allora, senza troppo rifletterci su, cerchiamo di essere un po' più reattivi su questo fronte; ogni tanto l'occasione giusta capita, vediamo di sfruttarla nascondendo un seme fra le parole, un modo come un altro per far crescere con pazienza delle piccole radici e contemporaneamente provare a estirparne altre che da troppo tempo se ne stanno lì a ingrassare nella disperazione altrui.

Un pensiero di Kahlil Gibran recita: "Siamo tutti prigionieri, ma alcuni si trovano in celle con finestre, altri senza." Bene, direi che oggi si può iniziare ad aprire qualche finestra in più, a tirare giù anche un muro se c'è bisogno, ma senza dimenticare da dove si è partiti e dove si vuole arrivare, senza dare per scontate troppe cose.

Una questione di cuore e volontà, insomma. (Alberto Cola)

D: Quanti anni hai?

R: Trentuno.

D: Peso?

R: Settantotto chili.

D: In che mese siamo?

R: Ottobre.

D: Hai una famiglia?

R: Sì, ho moglie e una figlia.

D: E' bello avere una famiglia. Dà un senso di compiutezza. Non credi?

R: Sì.

D: Come ti chiami?

R: Naimis.

D: Non mi stai mentendo, vero?

R: ... No... uhm, no...

D: Non sopporto la gente che si innervosisce. Rilassati.

- Posh, hai finito di tarare il Ghost? Non ho intenzione di passare qui tutta la notte.

- Non è facile trovare la sincronia con le tracce sinaptiche del soggetto, lo sai. Basta una frequenza sballata...

- Non ti ho chiesto di farmi una lezione.

- Ok, ok... Mi serve qualche altra domanda però.

D: Di che nazionalità sei?

R: Libanese.

D: Dev'essere un bel posto, il Libano.

R: Sì.

D: Che lavoro fai?

R: Sono un pastore.

D: Soltanto questo?

R: La mia è una famiglia povera.

D: Non è quello che ti ho chiesto.

R: Io...

- I valori combaciano. Sincronia del novantasette percento.

- Meglio tardi che mai. Testiamolo.

D: In che mese siamo?

R: Ma... ottobre. (vero)

D: Diciassette meno tre?

R: Quattordici. (vero)

D: Come ti chiami?

R: Naimis. (falso)

D: Di che nazionalità sei?

R: Libanese. (vero)

D: Che lavoro fai?

R: Sono un pastore. (lettura incerta) Lo sapete già...

D: Rispondi e basta. Non sei nella posizione adatta per permetterti di essere insolente.

R: Scusate... ma io...

D: Te l'ho già detto... rilassati. Sarà tutto più semplice.

- Direi che ci siamo, eh Posh?

- Uhm... procediamo?

- Sì. Dammi un minuto, poi attiva il Ghost e collegami a lui.

D: Per chi lavori, Naimis?

R: Vi state sbagliando, non so...

D: Devi solo rispondere ed evitare di farmi perdere tempo. Per chi lavori?

R: Sono un pastore! (falso)

D: Tu credi che io ami il mio lavoro, Naimis? Sbagli. Adesso preferirei stare in qualsiasi altro posto piuttosto che essere qui a dovere cavare informazioni da uno stronzo come te. Io so che lavori per i sudafricani.

R: No. (vero)

D: Per gli inglesi allora.

R: No. (vero)

D: Capisco, il neosocialismo fa presa con facilità nel vostro cervello massacrato da secoli di preghiere dei muezzin. Ti comprendo Naimis, davvero. Sono i russi, è così?

R: No. (vero) Che volete da me...?

D: Solo la verità. Non mi piace vederti soffrire. E a te?

R: (silenzio)

D: Adesso, Naimis, ti aiuteremo a ricordare cosa è successo sull'altipiano dello Zayandeh Rud. Rilassati.

R: No... no...

Ghost - On

- Non voglio essere di nuovo qui.

- Guarda quelle case, Naimis. Le riconosci?

- Sì. E' Haceldama, il mio paese.

- Sembra un posto tranquillo; si vede il mare, ci sono boschetti di cedri... Ti invidio, sai?

- Non c'è più niente adesso. Hanno distrutto tutto.

- Perché dici questo? E' tutto qui, davanti ai tuoi occhi. E' proprio una bella giornata di sole. Riscaldati, Naimis. Senti le voci dei bambini che giocano?

- Non ci sono più bambini.

- Non è vero, Naimis. Ci sono ancora dei bambini, e tu potresti aiutarli; forse, da qualche parte, c'è anche tua figlia. Vuoi che ti aiuti a cercarla?

Ghost - Off

D: Sento puzza di CIA quando ti guardo, Naimis.

R: Vi sbagliate.

D: Patetico. E pensare che per un momento avevo sperato che tu capissi la mia situazione, e soprattutto la tua. Ci vuole un infinito amore per fare un lavoro come il mio. Una vocazione, direi. C'è chi sceglie la religione, chi la carriera militare, io invece intervisto le persone; è così che si dice, lo sapevi? Sai cosa ti dico, Naimis: che nonostante le novità tecnologiche, le vecchie tattiche per ottenere delle risposte sono sempre le migliori...