Quando le radici: Nicoletta Vallorani

I primi contatti con la fantascienza di Nicoletta Vallorani (marchigiana di origini, da tempo trapiantata a Milano) datano dal 1981, e coincidono con la sua laurea presso l'università di Pescara...

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Si chiuse la porta alle spalle con la solita, deliberata violenza. Non potevo non sentirla quando rientrava, così come non potevo non riconoscere il suo modo di ostentare il ritardo come una bandiera.

L'avevo aspettata per tutta la sera. Non che la cosa fosse nuova, anzi, la sua incapacità di essere puntuale faceva parte del rapporto che c'era tra noi.

Mi affacciai sulla soglia illuminata della cucina e dissi come sempre la prima battuta della solita farsa: - Dove sei stata? Merda! Potevi anche avvertirmi. Ero preoccupato.

Nessuna risposta. Non so perché continuassi a parlarle. Ero sicuro che mi capiva e che prima o poi, inspiegabilmente, avrebbe cominciato a esprimersi in maniera intellegibile. Ma la mia era una certezza senza alcun fondamento logico.

- Frr, frr, sbats, frr...

- E' sempre la solita storia. Inutile che cerchi scuse, non posso più crederti.

Vidi la sagoma elegante di Frini disegnarsi nella penombra del soggiorno e come sempre mi sentii le ossa diventare di gelatina. Ondeggiò lentamente, dirigendosi verso il divano; poi allungò un tentacolo per spostare il cuscino e infine si lasciò andare a peso morto.

Accesi la luce e i contorni dei mobili a poco a poco diventarono più netti. Quando avevo accolto Frini in casa mia avevo fatto modificare l'impianto elettrico in modo che la luminosità nelle varie stanze fosse regolabile e diventasse via via più intensa, per gradi. Volevo che non ci fosse uno stacco netto tra il buio e la luce. Mi sembrava che fosse tutto più romantico e covavo in segreto il piacere di scoprire ogni volta le fattezze di un essere familiare come se fosse stato per me perfettamente sconosciuto.

Frini se ne stava lì, sdraiata nel suo modo bizzarro, e mi fissava con tre occhi tondi. Mi parve di leggere una punta di rancore nel suo occhio verde scuro (quello in basso a sinistra). Sbuffai nervosamente, ripensando a quante volte la paura di averla ferita mi aveva indotto a interrompere le mie scenate e a perdonare Frini prima ancora che si rendesse conto del male che mi aveva fatto. Questo, è ovvio, fece aumentare la mia rabbia.

- Non cercare di intenerirmi - sibilai tra i denti. - Non funziona. Non funziona più.

Le voltai le spalle, per nascondere la fatica che facevo a mantenere un'espressione dura e inflessibile. - Non voglio più ripetere i soliti discorsi... non mi piacciono le paternali, lo sai. Ma tu fai finta di non capire... - Non riuscii più a trattenermi e mi girai di nuovo per guardarla in faccia, concentrando il mio sguardo sul suo occhio rosso, quello che tante volte mi aveva comunicato senza parole un amore tenero e appassionato.

Frini era tutta la mia vita. Di sicuro, tutta la mia vita sessuale. Nessun umano, di qualunque sesso, naturale o pieno di impianti, poteva reggere il confronto con lei. Questo lo sapevo ed era la mia forza. O forse, la sua.

- Tu sei così importante per me. - Senza che lo volessi, la mia voce era diventata affettuosa e preoccupata, e per di più cominciava a prendere un'intonazione lamentosa. La rabbia si diluiva in semplice amore tradito, cioè qualcosa che mi riempiva di impotenza e di frustrazione. Ma non potevo evitarlo. E dio sa quante volte ho cercato di controllare la mia tendenza a perdonare le persone che amo. Amavo molto Frini. Era la cosa più importante che mi fosse capitata da quando ero nato. E avrei fatto di tutto, davvero di tutto, per tenerla al mio fianco.

- Shuuu... agll... shu....