Perché (non) ho scritto un racconto di FS sui diritti umani.

Cielo clemente non è stato scritto per Omelas ma per un'antologia di racconti (Fata Morgana 4, www.arpnet.it/cs/fm/fatamorgana.htm) che aveva per tema "Nuvole, perturbazioni, turbamenti, voli".

Come la maggior parte dei miei racconti, Cielo è nato da un'immagine: un cielo inesorabilmente azzurro e senza nuvole. La vicenda di Akeela, un giovane con una sensibilità patologica verso la luce, doveva essere una questione privata, la storia di una persona un po' incosciente e un po' autolesionista che, fidandosi troppo degli altri o troppo poco di se stesso, imbocca una strada senza uscita. Essendo biologa mi sono divertita a escogitare una spiegazione scientifica per la sua ipersensibilità (i simbionti) e una "cura" peggiore della malattia. Non volevo affrontare grandi tematiche sociali, ma soltanto vedere il risultato dell'incontro tra Akeela e un "realista ben intenzionato", un tipo di persona che mi fa molta paura... E allora come mai ho sconfinato nel territorio di Omelas, quello della difesa dei diritti umani?

Tutta colpa della fantascienza, un genere che crea situazioni "nuove" e le osserva al microscopio. E' questa sua natura sperimentale che spinge la fantascienza (non tutta e non sempre, ovviamente) verso la speculazione, la riflessione sulle conseguenze sociali e individuali di un certo cambiamento. Si comincia da un'idea vaga: "E se una specie di talpe intelligenti, scavando gallerie nelle viscere del proprio pianeta, estraesse un minerale che ritarda la vecchiaia umana?". L'idea prende forma: "per le talpe il minerale sarebbe solo una scoria, per gli umani, invece, sarebbe preziosissimo. Potrebbe essere molto raro, e quindi costosissimo...". Ed eccoci lì, a immaginare accordi economici capestro, una cura per pochi ricchi, una guerra contro le talpe, la riscossa degli scavatori... Scrivere è un gioco ma, come tutti i giochi veri, va giocato seriamente.

Anche Cielo clemente è stato un gioco. Nel gennaio 2001, a racconto già pubblicato, ho letto in Rete il bando di Omelas e mandare un racconto mi sembrava il modo migliore di esprimere il mio apprezzamento per l'iniziativa: volevo fare numero.

Sono tuttora convinta che non riuscirei mai a scrivere intenzionalmente un racconto per sostenere la difesa dei diritti umani (o qualunque altra mia "tesi"). L'unica cosa che cerco di fare quando scrivo e giocare onestamente.

A proposito di questa storia delle talpe... Sono simpatiche, le talpe, una volta o l'altra potrei provare a scriverci un racconto. Se nel frattempo qualcun altro ci vuole provare... Mi faccia sapere com'è andata. (Silvia Treves)

Cammina da molto tempo quando finalmente scorge in lontananza l'insegna luminosa del Kit Cat. Ha passeggiato lungo il fiume, intorno alla sede abbandonata della facoltà di Scienze e sotto le mura del vecchio ospedale, ma è in anticipo di quasi un'ora.

Uscire prima del crepuscolo è sempre un'imprudenza, ma oggi il cielo era velato sin dalle prime ore del pomeriggio. L'ha percepito senza esserne consapevole, ancora nell'abbandono del sonno e già sapeva prima di aprire gli occhi e spiare il chiarore della finestra: un quadrato color latte nell'oscurità della parete. Sa sempre, infallibilmente, che cosa attende, là fuori, in cielo. E' la pelle a sussurrarglielo, a svelare il solletico gentile dell'imbrunire, la carezza voluttuosa dell'alba e del tramonto, il tocco imperioso del pieno pomeriggio o della mattina, la stretta feroce del mezzogiorno, quella che non lascia scampo. Loro non mentono mai.

E' ancora strano, dopo tanto tempo, cominciare la giornata mentre quella degli Opachi sta rotolando inesorabilmente verso il termine, stirarsi fra le lenzuola, completamente vigile come prima non era mai, lo stomaco che brontola per la fame, la mente che già corre agli impegni quotidiani. Nemmeno prima li scordava, nel breve prima che ha preceduto questo lungo adesso.

La notte è amica degli Argento, se scelgono le strade con attenzione, se non si mettono troppo in mostra, se imparano a distinguere i Collezionisti dai Verumani, se non cedono ai giuramenti degli Appestabili se si tengono alla larga dai guai. Se. Aveva cinque anni quando diceva ai fratelli, compatendo il nonno turnista: "Io non voglio lavorare di notte". Adesso ne ha ventinove, non vede la famiglia da quasi dieci, e ha soltanto la notte per vivere.

E in questa notte magnifica e appena spruzzata di pioggia, una di quelle notti che sanno offrire soltanto la primavera precoce o l'ultimo indugio di estate, preferirebbe restare all'aperto, nel vento tenue che gonfia la sua camicia leggera, a respirare il profumo di gelsomino che le sue mani hanno rubato ai fiori che crescono spontanei oltre il cancello sbarrato dell'università. Ma il suo turno comincia a mezzanotte.

L'insegna del Kit Cat pulsa violetta nella quieta oscurità della via. Si avvicina sino a essere lambito dalla sua luce. Loro si accendono pigri, superando la soglia di sensibilità e ripagano grati con un breve tepore.

In scena sarà diverso. Sarà come ogni notte, lunghi minuti di immobilità sotto il peso degli sguardi degli Opachi, appuntiti come stiletti, appiccicosi come mani immerse nel miele e insopportabilmente dolci.

Il vecchio campanile batte la mezz'ora. E' tempo di entrare.

Rabbrividisce sfiorando il metallo freddo della maniglia. Spinge il battente e attende sulla soglia che gli occhi si abituino alla penombra e la pelle al chiarore.

Lila saluta con una mano e con l'altra indica il tavolo d'angolo a una coppia attempata, turisti tranquilli, paghi di assistere da lontano. Poi, armata del suo miglior sorriso professionale, raggiunge un uomo alto e ben vestito fermo di fronte alla numero 5. Lo sconosciuto risponde cortese, gli occhi fissi sull'installazione.

Sono almeno sei settimane che ha prestato la 5 al Kit Cat sperando di trovare un acquirente. L'uomo indica i coni affusolati che vibrano in sordina dondolando dalle catene sottili. Lila annuisce, si volge come in un invito a raggiungerli, poi scuote il capo e lascia perdere. Avrà le sue buone ragioni... Si tiene alla larga fidando nel suo buon senso, la saluta con un cenno silenzioso e svolta nel corridoio cieco che porta ai camerini.