- Pienone, questa sera. Quel tizio seduto in prima fila è interessato alla tua scultura. Volevo chiamarti, ma poi ho preferito non rovinargli l'Asta.

- Hai fatto bene - sbircia oltre la tenda di velluto nero, fingendo indifferenza, - non c'è un posto libero. E Selma? E che ha detto, di preciso, sulla 5?

Lei si avvicina a spiare il pubblico che ascolta distratto la musica. Il suo corpo emana un calore tiepido e un lieve profumo di sapone.

- E' arrivata prima di te, come sempre, e sta sistemando i suoi arnesi. Si è riempito presto, hanno applaudito tutti ma, ovviamente, quelli, - accenna alle facce anonime nascoste nel buio - stanno aspettando te. Il tipo ha chiesto se la 5 era in vendita, si è informato del prezzo e ha annuito.

- E quindi?

- E quindi ti aspetta dopo il numero, a cena. Palco numero 3. Ti ho già ordinato il solito, va bene?

Il palco migliore, il più tranquillo.

- Grazie, sei un tesoro. - Si china a baciarla, uno di quei gesti che gli Opachi scambiano con noncuranza, per lubrificare i rapporti sociali.

Appoggia le labbra sulla sua guancia, delicatamente, anche se sa che non accadrà nulla; la pelle di Lila accetta senza reagire, stabile e uguale a se stessa.

- Pronto?

Selma indossa la sua tuta nera piena di tasche: nessun colore deve assorbire la tenue luce delle penne ottiche, nulla deve distrarre il pubblico.

Indossa con calma l'accappatoio nero, infila il cappuccio di stoffa leggera che permette di guardare senza rivelare il suo viso.

- Possiamo andare.

Si infilano oltre la tenda, scivolano nell'oscurità sulla passerella fino alla pedana circolare. Il blues cola languido dagli amplificatori, la voce di Adine, morbida e rotonda come buon vino, si appoggia sui tocchi estenuati del contrabbasso, insegue le note nervose della chitarra.

I sussurri del pubblico e gli odori familiari del locale aggrediscono prepotenti: un basso continuo sul quale i timbri femminili si arrampicano sbocciando in brevi acuti, colmi d'aspettativa, l'odore pacato di legno lucidato a cera, fragranze di vini, liquori, birre aromatiche, un sentore vago di umanità eccitata. Vorrebbe prolungare quel momento per secoli, restare sul confine, dove l'universo noto e sempre diverso del Kit Cat non è più estraneo e non è ancora familiare. Ma tra meno di un minuto Adine tacerà, il silenzio avido degli spettatori si concentrerà sul palco e la notte diventerà una delle solite notti.

Adine termina il suo pezzo con un ultimo, intimo sussurro.

- Grazie. E ora Selma e Akeela - annuncia sobriamente lasciando la pedana superiore. Lei e il suo gruppo hanno finito per questa sera e mentre i clienti cercano nuove posizioni sulle poltroncine, si appoggiano o si sporgono verso il palco ancora invisibile, sta già correndo verso il camerino a sfilarsi l'abito dorato e la parrucca, e i sandali dal tacco troppo alto. Tycho l'aspetta all'uscita di servizio, chiacchierando e fumando insieme ai guardiani.

Prende posto sulla pedana rotante al centro del palco. Selma si accuccia ai suoi piedi, in mano la penna media, quella che usa per i contorni.

Il pubblico traffica con gli occhialini a raggi infrarossi ricevuti all'ingresso, qualcuno ridacchia turbato. La musica fredda e metallica scelta da Selma li mette a tacere.

Con i gesti lenti e teatrali appresi da altri Argento lascia cadere l'accappatoio. L'Oooh eccitato di una ragazzina invisibile, seduta a uno dei primi tavoli, è l'unico commento. Chiude gli occhi isolandosi, si rifugia nei suoni e nella voce sintetica che li accompagna, nell'attenzione esperta e priva di ambiguità delle penne di Selma.