Mi trovo a riparlare di Nessuna giustificazione di Enrica Zunic', a poco tempo di distanza di una recensione uscita in rete, grazie all'incoraggiamento di Roberto Furlani, su Continuum (<members.xoom.virgilio.it/continuum/nessust.htm>), e cerco di riprendere, inevitabilmente ripetendomi e riprendendo delle frasi da quel testo, qualcuno dei temi e delle chiavi di lettura a cui avevo pensato in quell'occasione.

Innanzitutto - almeno per me la cosa più cercata anche e soprattutto quando c'è l'"impegno" - il piacere della lettura. Da quel piacere devo, voglio partire. Da quello che sta dentro le storie raccontate da questo libro, ancora più che dalle motivazioni extraletterarie descritte nelle appendici riguardanti Amnesty International e in quelle personali descritte negli interludi autobiografici ("straniera e terrone"), che forse solo adesso leggo con attenzione, ma che dovevano avermi già parlato, in maniera più sotterranea. Perché nella loro durezza e complessità, gli universi che, da lettore, mi sono trovato a visitare sono quelli di un libro di fantascienza, fino in fondo. E dunque parlano del mondo in cui, per fortuna o purtroppo, mi trovo a vivere e a scrivere. Ci sono la guerra spaziale e gli alieni. E dunque ci siamo noi.

Nelle sue storie, Enrica Zunic' ci presenta mondi, articolati, esplorati nei loro intrecci di relazioni, nelle tante, tantissime storie personali e collettive, nelle tante, tantissime vite che ci esistono dentro. E' così che funziona la fantascienza, come ci hanno insegnato a riconoscere i critici che se ne sono occupati, da Lino Aldani e Sergio Solmi a Darko Suvin e Samuel R. Delany. Quello è, da sempre, il discorso della letteratura popolare, che attraverso trame e storie ci continua a ricordare che esistono i conflitti, e che questi conflitti riguardano tanta gente. E c'è tanta gente, in primo piano o nello sfondo di queste sei storie (quattro racconti, e un romanzo breve di fantascienza, e un delicatissimo racconto "realistico", La memoria di Eren) che parlano di potere e violenza, e di resistenza e sopravvivenza.

Con tre racconti uniti in un unico miniciclo, il tessuto narrativo è formato da tre guerre future, raccontate obliquamente, allusivamente. Sta a chi legge, come in tutta la fantascienza migliore, evocarne il background, sulla base dell'alternarsi di frammenti e punti di vista anche brevissimi. Ma se gli sfondi variano, trame e personaggi sono ricorrenti, sotto diverse sembianze; in fondo (ed è giusto che l'ordine sia quello di stesura), si tratta di varianti, riscritture, affinamenti, ripensamenti di una stessa storia di violenza subita, e di parziale, altrettanto dolorosa, ricostruzione di una speranza.

In altre parole, esiste (con altri, ne stiamo parlando in un libro collettivo di prossima uscita) una fantascienza distopica che vuol porre l'accento sulla possibilità dello spiraglio di vita anche nella più tragica delle situazioni: sulla sua necessità, contro ogni fatalismo complice. Ed è su una nota di speranza che tutte le storie di questa antologia vogliono chiudersi.

Dovere del recensore è di non rovinare le sorprese della lettura. Per entrare in ulteriori dettagli ci saranno occasioni. Qui mi importa ricordare che l'universo è quello dei postumi di conflitti futuri che hanno coinvolto "noi" e degli alieni, col tentativo di ricostruire un tessuto vivibile, personale e collettivo, a partire dalla consapevolezza di atrocità inenarrabili. Inenarrabili se non muovendo dalla sofferenza fisica di coloro che ne sono state vittime, e ne sono i sopravvissuti.