Dal Washington Globe Weekly del settembre 2011
Oggi è morto il senatore della Pennsylvania James M. Stewart. Si è spento serenamente, nel suo letto, circondato dall’affetto dei suoi nipoti e dei suoi sostenitori. Personaggio controverso della politica americana, è stato molto amato oppure molto detestato. Le discussioni attorno alla scomparsa di Stewart, detto familiarmente Jimmy dai suoi elettori, hanno riportato all’attenzione del grande pubblico le tragiche vicende che hanno accompagnato la conclusione del secondo conflitto mondiale.
Nella primavera del 1945 la guerra mondiale stava ormai volgendo al termine. L’Italia e la Turchia erano state rapidamente occupate. Mussolini era stato arrestato per la seconda volta, per ordine del re, ed era stato consegnato all’esercito alleato. Gli americani volevano processarlo in patria e poi tenerlo in disparte, con l’intenzione non troppo celata di utilizzarlo in futuro se le circostanze lo avessero richiesto. Ma Churchill su questo era stato irremovibile: si era rifiutato di consegnarlo agli Alleati e lo aveva messo in ghiacciaia, chiuso in un carcere segreto assieme a Rudolf Hess, il delfino di Hitler. Nel frattempo anche il Giappone si era arreso agli americani. Molti degli ufficiali di stato maggiore dell’esercito nipponico avevano commesso un seppuku, un onorevole suicidio, pur di non doversi consegnare all’esercito degli invasori. L’imperatore Hiroito, il Tenno, il dio incarnato, aveva ignorato le loro suppliche di continuare la guerra ad oltranza. Era rimasto quasi solo nel suo palazzo e si aggirava disperato per le sale vuote. Era stato costretto ad abdicare, consegnando l’impero nelle mani del figlio adolescente Akihito, e aveva scelto di ritirarsi in un tempio scintoista, dove passava il tempo a meditare e a rimpiangere il passato. In Germania, invece, la guerra continuava e sembrava non volersi concludere, nonostante l’evidente e straripante superiorità degli Alleati. Chiuso nel suo bunker sotterraneo a Berlino, Adolf Hitler continuava a dare ordini e imporre la resistenza ad oltranza. Una cosa che stupiva non poco il comando alleato era che, sebbene il territorio controllato dai nazisti andasse progressivamente restringendosi, al suo interno ogni tedesco continuava ad obbedirgli. A prezzo di grandi sacrifici umani l’avanzata dell’Armata Rossa era stata fermata, o quanto meno rallentata. Una delle ultime armi segrete dell’esercito germanico era riuscita a bloccare i tank russi. Si trattava del panzerfaust, un lanciamissili a corta gittata, che sparava un solo colpo ma poteva essere prodotto rapidamente in grande quantità e poteva essere azionato da qualunque soldato, inclusi i ragazzini delle scuole militari e gli anziani richiamati in servizio. Molti carri armati e mezzi blindati erano stati fermati prima di poter calcare il suolo tedesco. E non era tutto: tra le agenzie di spionaggio degli alleati correva voce che i tedeschi avessero pronta una nuova super-arma, un mezzo volante a forma rotonda, capace di annullare l’inerzia e la gravità, dal nome in codice di V7. Qualche spia aveva addirittura riferito di aver visto uno di questi piatti volanti sollevarsi sopra Praga, durante l’abbandono della Cecoslovacchia da parte della Wehrmacht. Si temeva che l’intervento di uno stormo di V7 avrebbe potuto non solo rallentare ancora la fine della guerra ma addirittura rovesciarne le sorti.
Fu in quel momento che il comando americano decise di tirare fuori a sua volta la propria arma segreta e di usarla, pur di mettere fine al conflitto. Roosvelt non sarebbe stato d’accordo, probabilmente. Ma Roosvelt era morto e Harry Truman la vedeva in modo diverso. In una mattina di primavera, un bombardiere americano B29, scortato da una nutrita squadriglia di caccia americani e inglesi, si alzò in volo sulla Manica e sorvolò la Germania. Non gli fu sparato contro nemmeno un colpo di artiglieria contraerea e i pochi caccia mandati a intercettarlo furono facilmente sbaragliati. Il bombardiere era stato battezzato dal suo equipaggio Sam Houston e portava a bordo una bomba speciale chiamata Alamo: i nomi erano stati scelti dal pilota, di origine texana. Giunto sopra la città industriale di Dresda, il bombardiere sganciò il suo carico, poi virò e tornò alla propria base alla massima velocità possibile. Era la prima volta che veniva lanciata una bomba atomica e nessuno, nemmeno tra gli scienziati e i militari che avevano partecipato alla sua progettazione e costruzione, sapeva con certezza quali ne sarebbero stati gli effetti.
L’effetto della bomba al plutonio fu superiore a ogni aspettativa. Nell’epicentro dell’esplosione il calore era tale che fuse il cemento, i mattoni e l’acciaio. Una luce accecante fece impallidire quella del sole e si udì un’esplosione molto più forte di quella che i cittadini erano abituati a percepire durante i bombardamenti tradizionali. Poi un caldo vento radioattivo si sparse per quel che restava della città, già devastata dai bombardamenti precedenti, radendo al suolo tutto ciò che incontrava e uccidendo ogni essere vivente nel raggio di chilometri. Un’enorme nuvola scura, a forma di fungo, si alzò sulla città di Dresda; infine una pioggia nera e velenosa cadde su ciò che restava della città. E quello fu il segno tangibile che una nuova era, l’era atomica, stava iniziando.
Il comando americano e i suoi alleati rimasero impressionati, e tutto sommato anche soddisfatti, dalle riprese aeree che mostravano quel che era accaduto. Non avevano ancora ben chiaro che quell’area sarebbe rimasta radioattiva e mortale per centinaia di anni: erano solo consapevoli che una simile arma poteva, anzi doveva, mettere fine alla guerra.
Nei due giorni successivi furono fatti vari tentativi per contattare il comando supremo tedesco, ma non si ebbe alcuna risposta. Lo stato maggiore alleato era stupefatto: sembrava impossibile che Hitler e i suoi gerarchi, dopo aver visto la devastazione della bomba A su Dresda, non fossero disposti finalmente ad arrendersi. In realtà, le successive indagini degli storici hanno dimostrato che Hitler e i suoi più fedeli seguaci si erano tutti suicidati all’interno del loro bunker, solamente poche ore dopo la notizia del bombardamento atomico. Dunque non c’era più nessun comando supremo, nessuno che potesse rispondere agli appelli degli alleati. Ignari di questo, gli americani decisero allora di sganciare una seconda bomba, questa volta sopra Berlino.
Il bombardiere Dark Night, con a bordo la bomba al plutonio Wonder Boy, decollò dall’Inghilterra e puntò su Berlino, senza incontrare alcun tipo di resistenza. Il suo pilota si chiamava James Stewart ed era stato più volte decorato per le sue azioni come pilota da caccia, prima di essere assegnato ai bombardieri. Jim era un uomo religioso, che aveva combattuto con valore per il suo paese ma che non vedeva l’ora di potersene tornare a casa, congedarsi e costruirsi una vita pacifica da civile, con tanto di moglie e figli, e magari tentare la carriera di attore di teatro a Broadway. Durante le lunghe ore di volo, mentre si avvicinava all’obiettivo, guardava sotto di sé e vedeva una Germania completamente distrutta: non c’era più un ponte, una ferrovia, una fabbrica, una città che fossero rimasti intatti. Non possiamo sapere che cosa esattamente abbia pensato in quei momenti, anche se alcune tracce si possono ricavare dalle sue interviste, ma è evidente che qualcosa mutò dentro di lui. Di certo ha sempre dichiarato che si era stancato di morte e distruzione. Sta di fatto che, arrivato sopra Berlino, non se la sentì di sganciare la sua bomba. Wonder Boy rimase nella stiva e Jim invertì la rotta e tornò alla base, segnalando dei problemi di visibilità al suolo che gli impedivano di centrare l’obiettivo.
Fu subito chiaro che non c’era mai stato alcun problema di visibilità: su Berlino non c’era una sola nuvola, quel giorno. Nemmeno un po’ di nebbia. Le testimonianze del suo equipaggio lo confermavano, per cui Stewart fu subito arrestato e accusato di alto tradimento. Mentre la corte marziale si preparava a processarlo, emersero alcuni fatti che ne alleggerirono la posizione e che ricordiamo per comodità del lettore.
Primo: Hitler e i suoi gerarchi erano morti due giorni prima della sua insubordinazione e di conseguenza la guerra era da considerarsi già finita, ben prima del gesto di Stewart.
Secondo: le prime notizie sull’attacco nucleare a Dresda cominciavano a trapelare. Duecentomila morti (inclusi numerosi prigionieri alleati impiegati nel seppellimento dei morti e nei lavori di ricostruzione della città) una pioggia nera che staccava la carne dalle ossa e un’enorme voragine che emetteva radiazioni mortali, uccidendo lentamente e con assoluta imparzialità amici e nemici. Non erano certo qualcosa di edificante da divulgare, mediante un pubblico processo.
Terzo: poco prima del processo cominciarono ad arrivare le foto. Il governo cercò di impedirne la diffusione, ma la censura era meno rigorosa che in tempo di guerra e sui giornali si cominciarono a vedere immagini di edifici fusi come fossero stati di cera, persone a cui cadevano i capelli e la pelle, bambini arsi vivi. Ogni giorno che passava il discorso del presidente Truman per giustificare l’attacco nucleare sembrava meno convincente.
Quarto: tutta la gente comune oramai chiedeva una cosa sola. Dimenticare il passato e vivere in pace.
Prove certe che Jim Stewart avesse mentito non ce n’erano. Così i politici di Washington decisero che era meglio per tutti chiudere rapidamente la faccenda. Stewart fu immediatamente congedato, ma se la cavò con una condanna piuttosto mite: gli tolsero la pensione, ma non i gradi. Insabbiando tutto, l’esercito americano sperava di essersi liberato di lui, ma non andò così. Uscito dall’aviazione militare, James Stewart iniziò una brillante carriera come attore cinematografico e teatrale. Il suo trionfo a Broadway avvenne grazie a una commedia surreale dal titolo “Bugsy”, in cui interpretava un ingenuo personaggio che ha un amico immaginario, un coniglio bianco di due metri visibile solo a lui, di nome Bugs Bunny. Questo gli aprì le porte di Hollywood, trasformandolo in un divo del cinema. Recitò in commedie, western, film sentimentali e di impegno sociale, ma rifiutò sempre di partecipare ai film di guerra. Approfittando del successo, cominciò a rilasciare interviste, a scrivere lettere ai politici, a formare comitati. Ottenne l’appoggio di molti intellettuali e scrittori, tra cui Norman Mailer, che gli dedicò il suo romanzo “The naked and the radioactive” e Raymond Douglas Bradbury, che scrisse per lui alcuni dei suoi racconti migliori come “To the Dresden Abyss” e “Fahrenheit 4.510.000”. Riuscì anche a coinvolgere grandi scienziati come Robert Oppenheimer, Leo Szilard, Ettore Maiorana e Niels Bohr, che si dichiararono come lui contrari alla costruzione di nuove e più potenti armi atomiche. Anche se osteggiato in ogni modo dalle autorità e sorvegliato strettamente dal FBI, il cui capo Peter Cheyney lo odiava profondamente, ha fondato un movimento di opinione molto importante contro la proliferazione nucleare, che ha trovato molti convinti seguaci soprattutto tra i giovani. È anche sceso in politica, scelta che gli ha consentito di sentirsi un po’ più tutelato. L’essere stato un soldato pluridecorato è servito ad annullare l’effetto negativo della sua espulsione dall’esercito, mentre le sue doti naturali di attore gli hanno permesso di essere eletto deputato per varie legislature e infine di diventare senatore, grazie alle doti oratorie e al voto delle giovani generazioni.
È servito a qualcosa tutto ciò? È lecito domandarselo, ora che Stewart è morto.
Apparentemente, le sue azioni non sono servite a cambiare il destino del mondo. Oggi sulle nostre teste orbitano grandi stazioni spaziali cinesi, russe, australiane, inglesi, israeliane, arabe, pachistane, oltre che americane. Ognuna è carica di missili a testata termonucleare puntati verso la Terra. Il nostro governo ci assicura che lo Scudo Stellare ideato dal professor Edward Teller è in grado di proteggerci da questa minaccia, ma sono in pochi a crederlo. Per questo motivo chi può si è costruito un rifugio antiatomico sotto casa, pur sapendo che servirebbe a ben poco, in caso di guerra totale. Tuttavia è possibile che la scelta di Stewart nel 1945 abbia comunque risvegliato alcune coscienze. E forse dobbiamo augurarci che in futuro, nel momento in cui arriverà l’ordine di sganciare le bombe in orbita, ci sia qualcuno come lui capace di disobbedire. Magari perché ha studiato questo episodio della nostra storia.










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