1
Alessandro osservò la segretaria camminare verso lo scaffale e pregò che questa volta il faldone fosse tra quelli sull’ultimo ripiano. La ragazza raggiunse ondeggiando la libreria, si tolse le scarpe, appoggiò il piede velato sul primo gradino della scaletta, poi l’altro piede sul secondo, si protese e afferrò un faldone sul ripiano di mezzo.
Perché il boss non aveva mai bisogno dei faldoni riposti sull’ultimo ripiano? Che ci stavano a fare lassù? Ad accendere speranze impossibili?
Alessandro annuì, pensieroso. Il secondo ripiano era contraddistinto dalla targhetta “AF.” Raccoglieva i documenti relativi all’algoritmo finale. Il boss ormai non si occupava d’altro. Erano almeno tre giorni che Milena estraeva e riponeva quei faldoni sul secondo ripiano.
Alessandro si appoggiò allo schienale e cercò di godersi gli ultimi istanti dello spettacolo. La ragazza scese lentamente all’indietro e barcollò mentre cercava di infilare il piede nella scarpa. Si tenne allo scaffale. Sembrava più a suo agio sulla scaletta che non sui tacchi. Lui la osservò con compassione, sospirò e le solite domande gli attraversarono la mente. Perché la segretaria indossava una gonna tanto corta, se poi se la doveva di continuo tirare sulle ginocchia? Con l’età, era giunto alla conclusione che ormai si poteva permettere qualche domanda senza dover cercare una risposta a tutti i costi. La domanda è spesso più interessante della risposta, se mai una risposta esiste.
Milena ripassò ondeggiando davanti alla scrivania, aprì la porta e uscì nel corridoio. Alessandro si domandò di che colore potesse essere la sua biancheria, visto che quel vigliacco faldone sul ripiano “AF” gli aveva impedito di sapere. Ne aveva scorso per un attimo la linea disegnata sotto la stoffa quando lei si era protesa per far scorrere la porta, ma sul colore, ancora una volta, si sarebbe dovuto accontentare delle congetture. Un giorno aveva anche provato a individuare con Google quale modello di biancheria potesse corrispondere a quella curvatura, a quell’arabesco, ma non era giunto a nessuna conclusione sicura. In compenso, le sue applicazioni si erano riempite di pubblicità di ditte che vendevano biancheria erotica e di siti per incontri. Alessandro pensò che la curiosità non porta a una risposta. Oggi come oggi, si convinse, la curiosità porta a un’offerta promozionale.
Sorrise, si voltò verso la vetrata alle proprie spalle e osservò il cielo. In realtà non aveva nessun interesse per la segretaria. Il suo nome era Milena ma raramente pensava a lei usando il nome. Era la segretaria. Punto. Ed era una miriade di fotografie. Conosceva le sue abitudini, i suoi ristoranti preferiti, i luoghi delle sue vacanze, i volti dei suoi conoscenti e le loro idee di piccoli razzisti grazie ai suoi profili pubblicati su una manciata di social. Sapeva dove andava nei fine settimana. Sapeva che cosa dichiarava di amare. Tuttavia, quando si vedevano in ufficio, scambiavano a stento due parole in un’intera giornata. Non era intenzionato a cambiare la situazione. Era già una ragazza poco interessante nelle immagini con cui si autopromuoveva. Tuttavia, quando entrava sui suoi tacchi e saliva verso lo scaffale, quello era un altro paio di maniche. Alessandro preferiva tenere quei profili sui social e quelle foto che si scattava sullo sfondo di ristoranti di lusso ben distinti dalla segretaria particolare del Gran Capo.
2
La porta scivolò e Milena si affacciò senza entrare.
– Alessandro, c’è di là un tipo che ha un progetto…
– Non ho tempo – disse, senza lasciarla continuare.
– Per favore… – miagolò lei, stringendo col pugno la scollatura della camicetta, più o meno là dove avrebbe dovuto trovarsi il cuore, col solo risultato di coprire quel lembo di pizzo che prima ne emergeva. – Il Gran Capo è occupato e io non so che cosa dirgli!
– Occupato?
– Come al solito…
– Occupato con l’algoritmo finale?
– E con che altro? – ammiccò.
– Caccialo!
– Ci ho provato ma è insistente, e poi sembra leggermi dentro che sto mentendo…
Alessandro sospirò e allontanò le mani dalla tastiera. Poi la considerò con indulgenza e lei sorrise.
Dopo pochi minuti il postulante entrò. Era un tipo tarchiato e scuro. Si guardava attorno come se quella fosse stata la sua prima volta in un ufficio. Pareva trovare tutto interessante. Tutto, tranne le ampie vetrate con la vista sui grattacieli del centro. Per Alessandro quelle vetrate aeree rivolte alle centinaia di finestre di fronte, al cielo e ai tramonti infuocati erano l’attrazione principale di quell’ufficio. L’ometto trovava più interessante una fotocopiatrice o uno schermo di computer, li osservava con grande cura, come animali selvatici pronti a fuggire.
– Quindi è qui che si decide tutto… – mormorò, dopo aver attentamente considerato lo scaffale con i faldoni.
– No, qui non si decide niente – rispose Alessandro, scuotendo il capo.
– Vede… Chi non sa è convinto che un social sia qualcosa di leggero, immateriale, impalpabile. Qualcosa che è nel mio telefonino e in quello dei miei amici, e che tutto finisce lì.
L’ometto era tracagnotto e aveva un viso cordiale, un po’ sognante. Era curioso ma, compiuta la propria ispezione, non sembrava invadente come aveva detto Milena. Alessandro pensò che era meno noioso del lavora che aveva interrotto.
– No, non è così. Internet stesso è fatto di reti, di cavi e memorie che consumano un mare di energia e di centrali che devono produrre tutta questa energia. Poi è fatto di uffici dove si raccolgono i dati, di persone che ci lavorano e di aziende che pagano queste persone…
– Appunto… – disse l’uomo, guardandosi attorno con curiosità. – E poi questi impiegati, o queste aziende, analizzano i dati, li selezionano, li censurano, e decidono quali sono le persone che possono essere messe in contatto.
Alessandro lo osservò con sospetto e gli fece cenno di accomodarsi. – In che cosa posso esserle utile?
Sollevò le spalle come se nessuno potesse essergli utile, meno che mai Alessandro. – Qui si decide, dunque… – ripeté. Ma non era una domanda. Era una constatazione.
– Le ribadisco che qui non si decide nulla. Si gestisce solo la pubblicità locale su alcuni social…
– Appunto, appunto… – disse, con un gesto deciso delle mani, come se la cosa non meritasse neppure di essere discussa.
– E lei è interessato alla pubblicità? C’è un ufficio apposito e la procedura è per via…
– Telematica? – concluse.
– Appunto.
– Eppure vedo che usate anche copie cartacee.
– Solo per i documenti importanti. La pubblicità non rientra…
L’ometto sorrise, poi scosse il capo lentamente. – Oh, no. Io ho da proporre alla vostra azienda un progetto unico.
– Non pubblicità, quindi?
– Non so che cosa non sia pubblicità, al giorno d’oggi. Ma questo progetto no, non è pubblicità.
– I social che gestiamo sono tutti gratuiti. Non vedo come potrebbe essere nel suo interesse, se non è pubblicità…
– Oh, gratuito, sì… Il progetto che le propongo è completamente gratuito, sa, sarebbe impensabile a pagamento, perché, bene, sarebbe lungo da spiegare, ma è impossibile fare uso di denaro.
– Niente denaro? – domandò Alessandro, accigliato.
– Niente denaro – ripeté. – Loro non hanno denaro. Là non esiste proprio, il denaro.
Alessandro sospirò e tamburellò con le dita sulla scrivania. – Mi dica di che cosa si tratta – mormorò, guardando l’orologio.
– Non sia così deluso. Sa come funziona. Se qualcuno ti dà qualcosa per niente, allora significa che sta vendendo proprio te… Non abbia paura, le cose stanno più o meno in questi termini.
– Insomma, che cosa vuole vendere, o regalare?
– Semplice. Voglio proporre un social di nuovo tipo.
– Guardi, ne abbiamo già troppi.
– Ma questo sarà diverso.
– In che senso?
L’ometto rimase interdetto, come cercando le parole adatte a sottolineare la differenza. – Il nostro è un social per mettersi in contatto con i morti – disse.
3
Alessandro lo osservò a lungo, ma l’altro non scoppiò a ridere. Pensò che poteva essere un pazzo. Oppure un imbroglione. Oppure una strana amalgama dei due, una mistura infernale che in genere ottiene un discreto successo negli ambienti giusti.
Osservò l’ufficio alle spalle dell’ometto. Le impiegate sedute alle loro postazioni non avevano udito nulla e continuavano il proprio lavoro. Oltre la grande vetrata solo un paio di auto volanti scivolavano nel cielo lungo il percorso stabilito, davanti alle vetrate luccicanti dei grattacieli più distanti.
– Riceviamo decine di mail a settimana di chi ci vuole vendere account di personaggi famosi passati a miglior vita…
– Ecco, è qui che sbaglia.
– Nel rifiutarsi di fare gli sciacalli e di utilizzare account di attori o cantanti morti?
– No. Nel dire “passati a miglior vita”.
Alessandro si alzò e fece due passi verso la vetrata. Sospirò e fissò il grattacielo di fronte. Poi si spostò di pochi passi e osservò sparire la linea di cielo tra il grattacielo di fronte e quello più lontano. Per quanto distanti e costruiti in tempi diversi, i due edifici erano perfettamente allineati e, spostandosi mentre li si guardava, il cielo scompariva all’altezza del decimo piano come del trentesimo senza sbavature. Era una precisione che lo aveva sempre affascinato. E che riusciva a tranquillizzarlo. Come avevano fatto a calcolare con tanta esattezza il perfetto allineamento dei due edifici? Tornò a rifletterci ancora una volta, senza trovare risposta. Poi pensò che al self-service avrebbero finito il pesce. Il pesce era sempre quello che finiva per primo. Doveva affrettarsi. Ma nello stesso tempo era incuriosito. Pensava che gli sarebbe dovuta venir meno la pazienza e invece la tranquillità gli era subito tornata e aveva voglia di porgli delle domande. Si voltò e scosse ancora il capo.
L’ometto sorrideva, invitante.
– Non è migliore? – domandò Alessandro.
– Che cosa?
– La “miglior vita” cui sono passati… Non è migliore?
L’altro trasalì. – Ah, lei è ancora a quell’espressione… – Sollevò le spalle. Non era migliore né peggiore.
– E lei come fa a saperlo?
– Oh, i nostri clienti dicono che non è poi quel gran ché.
– L’aldilà?
– L’aldilà.
– E glielo dicono in una chat…
– Non esiste ancora una chat. Per questo sono qui – precisò l’uomo, con calma.
– Già. Ma glielo dicono via internet…
– Precisamente.
Alessandro tornò ancora a osservare per qualche istante i grattacieli e intanto pensò a come fare per liberarsi dell’ometto. Si voltò e vide che non ne avrebbe avuto bisogno. Si era già alzato e salutava con un gesto amichevole. – Lei ci pensi.
– A che cosa dovrei pensare?
Scosse il capo. – A nulla di speciale. Semplicemente, si ponga qualche domanda.
– Su che cosa, ad esempio? Sull’aldilà?
– Ecco, sì, sull’aldilà. – Poi si inchinò, fece scorrere la porta e sparì nel corridoio.







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