Capitolo I
Sulla Terra
Benvenuti su VIVID-O: l‘emotional sharing per le genti della Federazione Solare. Selezionare dal menù i feed in evidenza oggi:
> il crollo della produzione astro navale e la crisi dei cantieri della famiglia Cromwell
> il collasso del sistema bancario, strangolato dai prezzi delle commodity importate dalle ex colonie terrestri, ora diventati stati indipendenti nella Federazione Solare
> il processo per il disastro di Nave Columbus, sparita senza lasciare traccia nel tentativo di esplorare il sistema XV-578.
Federazione Solare, Terra
Inghilterra, Contea del Buckinghamshire
Maniero Cromwell
Dicembre 2350
La luce del primo mattino tingeva di bagliori rosso arancio un cielo di nuvole a stracci. Fino a pochi minuti prima, il profilo delle colline e della foresta ancora sopita erano apparsi a Greta come ombre informi e silenziose. Il timido sole invernale si stava accendendo in un sorriso smeraldino tra le chiome degli alberi. Greta guardava affascinata il panorama attraverso la grande finestra e immaginava il profumo del muschio bagnato dalla bruma. Era assorta, rabbuiata nell’animo.
Si grattò il neo sul mento, un gesto inconsulto. Osservò l’alone del respiro sul vetro che svaniva, dissolto come la sua combattività, l’energia di dimostrare che non aveva sbagliato. L’interesse a scoprire l’ignoto, rompere la dimensione spazio-temporale per portare il genere umano lassù, oltre la Stella Madre… era questo il peccato che doveva scontare?
La tazza col caffè diventò di colpo pesante. Abbassò lo sguardo accompagnando il movimento della testa con un sospiro. Il liquido scuro e bollente disegnò anelli tremolanti come le distorsioni di un buco nero in un portale di compressione.
Annusò l’aria. Avrebbe riconosciuto l’odore di Edgar anche bendata, in mezzo a un milione di persone. L’essenza di bergamotto del dopobarba ne tradiva la presenza alle sue spalle. Passi leggeri, sul parquet scricchiolante, come quelli di un fantasma.
Greta restò in silenzio, fingendo di guardare fuori, aspettandosi il consueto abbraccio e poi il bacetto appena sotto l’orecchio. La vicinanza dell’uomo che amava le infondeva serenità.
– Lo so che preferisci il panorama del Vesuvio con il golfo di Napoli – la stuzzicò lui, parlando con quell’accento inglese che tanto la divertiva.
Greta ebbe un fremito a quel pensiero. La Reggia di Caserta, l’Accademia delle Scienze e l’euforia per quel progetto che in seguito le avrebbe spento il sorriso. Cercò di non pensarci e rispose: – I boschi, le campagne, sono stupendi… però il mare è tutta un’altra cosa.
Edgar le accarezzò le spalle con dolcezza. – Quando tutto sarà finito, faremo il giro del mondo in barca, te lo prometto – aggiunse sornione.
– Non sei mai andato in barca – commentò laconica.
– Che problema c’è? Me lo compro uno yacht – replicò Edgar – e anche l’equipaggio!
Greta non poté trattenere un sorriso tirato. Stava facendo il buffone per distrarla da quei pensieri bui, proprio nel giorno dell’udienza in tribunale. Si voltò di scatto, incrociando lo sguardo del compagno.
Lui le cinse i fianchi. – Sono serio. L’equipaggio baderà alla nave, e noi faremo l’amore tutto il tempo.
– Alla nostra età? Ci vuole coraggio.
Gli occhi di Edgar si accesero con un lampo furbesco. Greta invece tornò a rabbuiarsi.
Già, l’udienza…
La prima di un processo fantasma. Greta sapeva che stava già scontando una pena mai formalizzata, costretta agli arresti domiciliari, lontana dal lavoro all’Accademia e rinchiusa nel maniero di Edgar; quella prigione dorata.
– Tu non hai nessuna responsabilità – mormorò Edgar serio. Forse le aveva letto negli occhi l’angoscia. – La missione è stata un successo. Tutti sanno che la Columbus è giunta su XV-578 integra, solo che poi si sono persi i contatti. Potrebbe trattarsi di un guasto temporaneo ai sistemi di comunicazione, altro che disastro!
Greta apprezzò quel disperato tentativo di salvataggio. Si guardò riflessa al vetro della finestra. Appariva così provata, triste, con la fronte raggrinzita e le occhiaie per le troppe notti insonni. – Temporaneo? Sono passati diciotto mesi.
Il comunicatore inserito nel bracciale si animò proiettando una luce tremolante. Si trattava di un messaggio vocale dall’avvocato Pira, il suo difensore.
– Dottoressa, buongiorno. Ho una buona notizia. Il Giudice Franchi, dopo aver visionato gli atti, ha revocato il provvedimento di restrizione della libertà personale.
> Pausa.
Avvertì una vampata di calore, sentì il sangue pulsarle nelle vene e il cuore accelerare. Provò un senso di compiacimento, di euforia. Era una grande notizia!
> Play.
– Ci vediamo in tribunale a Urbs Magna questa sera alle sedici per l’udienza, ora standard della federazione. Sono venuto a conoscenza di informazioni importantissime. Vedrà, faremo cadere le accuse in modo definitivo.
Il dispositivo ammutolì.
– Ci vediamo in tribunale – ripeté Edgar, scimmiottando la voce nasale dell’avvocato, il miglior penalista dello studio Attorney Associated. – Sei contenta?
Greta sgranò gli occhi, trattenne il respiro, e gli si buttò addosso in uno slancio di riconoscenza spontanea. Edgar indietreggiò preso alla sprovvista. La tazza gli sfuggì di mano e il caffè schizzò sulla vestaglia. Risero entrambi, ravvivati da quella notizia.
Sarebbe stata una grande giornata, molto impegnativa anche per lui. Greta gli accarezzò la guancia. Edgard sembrò estraniarsi, fissava la grande libreria della sala, poi mormorò: – Mi dispiace non poterti accompagnare, devo presenziare al collaudo della Kuiper Explorer.
Lei gli fece un sorriso rassegnato. – Capisco. Si tratta di una commessa importante, un progetto colossale…
– Un cruiser in grado di trasportare un’intera comunità di coloni ben oltre la fascia interna degli asteroidi, fino a quella di Kuiper – spiegò lui con espressione seria. – Ne vale la sopravvivenza dei miei cantieri.
– Già – annuì lei – riuscire a sfruttare le risorse minerarie nella fascia esterna ti metterà in posizione di vantaggio rispetto alla concorrenza.
– Esatto! – esclamò convinto Edgar, il volto raggiante e lo sguardo vivido.
Greta rimase in silenzio, a pensare ancora alla Columbus dispersa in quel sistema planetario a centinaia di anni-luce dalla Terra. Un progetto tanto ambizioso quanto osteggiato dai poteri forti della federazione. Banchieri, imprenditori, la stessa opinione pubblica si era divisa davanti all’impresa gestita dall’Accademia delle Scienze, intimoriti da quella corsa verso l’ignoto.
“Ulisse ha varcato le colonne d’Ercole”, avevano commentato in molti.
Hyper gauge
Sul treno a levitazione magnetica verso Urbs Magna
Due ore dopo.
L’hyper-gauge schizzava a velocità transonica lungo la rotaia sotterranea. L’asse trans-europeo collegava in pochi minuti Oslo, Londra, Parigi, Berlino, Roma e giù, al centro del Mediterraneo, fino a Urbs Magna, la capitale della Federazione Solare.
Greta se ne stava sprofondata nella poltroncina dello scompartimento in classe business, dove poteva godere della riservatezza necessaria per riguardare gli atti ricevuti dall’avvocato Pira.
Il disastro della Columbus aveva provocato un terremoto nel mondo della ricerca. L’Accademia delle Scienze, che aveva perso cospicui finanziamenti, era nell’occhio del ciclone e persino i giornalisti, negli ultimi mesi, si erano fatti più arroganti e invadenti.
Di tanto in tanto, Greta rivolgeva lo sguardo al finestrino virtuale, che trasmetteva le immagini ad alta definizione del paesaggio in superfice, dandole la sensazione di viaggiare in un comune treno ad alta velocità. Per distrarsi, continuava a cambiare il tema passando dalla visione aerea, come se fosse a bordo di un aereo di linea, alla visione in modalità aliscafo, o a quella subacquea.
Studiò il comunicatore del bracciale. Dopo un attimo di indecisione, selezionò il contatto di Chris Spencer. Il detective era sotto contratto da parte di Edgar per aiutare l’avvocato Pira nelle indagini. Era un ex poliziotto dalla reputazione solida. Nonostante avesse un carattere da burbero, Greta sapeva che poteva fidarsi di lui.
– Dottoressa Cameron, come posso aiutarla? – le rispose con il tipico accento americano. Il segnale video era disattivato.
– Salve, signor Spencer. L’avvocato Pira mi ha detto che lei sarebbe stato disponibile a testimoniare via collegamento olografico oggi pomeriggio.
Lo percepì esitare per qualche istante. Lei si morse il labbro, era stata troppo diretta?
Chris attivò la videocamera di colpo. Un fascio di luce scaturì dal bracciale di Greta e il volto dell’uomo si materializzò in un’olografia dai cromatismi incerti. Il volto era largo, le sopracciglia folte, gli occhi accesi in uno sguardo beffardo. Era nel suo ufficio di Ybor City, il quartiere ispanico di Tampa, in Florida. Dall’altra parte dell’Atlantico dovevano essere le otto di mattina.
– Certo… – bofonchiò lui poco convinto. – Bugger! Purtroppo le indagini non hanno prodotto molto. Sappiamo che qualcuno stava osteggiando il progetto dell’Accademia, ma lungi dall’avere prove concrete a riguardo. Una mia deposizione in udienza sarebbe come l’abbaiare di un cane alla luna.
Greta non voleva abbattersi. Proprio ora che aveva ottenuto la libertà e che poteva difendersi in tribunale di persona. – L’avvocato Pira mi ha detto che porterà in aula nuovi elementi. Stavolta, il giudice Franchi dovrà ascoltare le mie ragioni!
– Va bene, attenderò la chiamata dell’avvocato Pira per depositare, ancora una volta, la mia testimonianza – concluse Chris, prima di chiudere il collegamento.
Mancava un’ora di viaggio al terminal hyper-gauge di Urbs Magna. Greta socchiuse gli occhi, appoggiò la testa allo schienale e cercò di rilassarsi. Inutile tentare di dormire.
La piattaforma del terminal della capitale era molto affollata. Una calca di viaggiatori che scendevano dagli sportelli dei vagoni ricoperti di condensa, tra nuvole di vapore e luci lampeggianti.
Greta si avviò alla rampa del tappeto mobile che conduceva verso i livelli superiori, seguendo le indicazioni in direzione del parcheggio degli autotaxi. Mentre saliva, incastrata tra un funzionario ben vestito e una signora intenta a lucidarsi le unghie con uno spazzolino elettrico, attivò il comunicatore per farsi aggiornare dall’avvocato.
Nessuna risposta. Forse Pira era già in tribunale, oppure non poteva rispondere. Era impaziente, ansiosa di dare battaglia.
Quando Greta raggiunse la superficie respirò a fondo l’aria salmastra, godendosi il tepore del sole sulle guance. La capitale era stata costruita su un’isola di origine vulcanica chiamata Nausicaa, tra la Sicilia e le coste del nord Africa. A dispetto del frastuono della metropoli che ferveva di prima mattina, poteva percepire lo sciabordio delle onde del mare contro le scogliere poco distanti.
Salì a bordo di un’autotaxi che si avviò per uscire dal distretto dei terminal, inforcando la velocissima Orbitale uno, l’autostrada che girava tutt’attorno all’isola. Greta vide scorrere dal finestrino, come in un video a velocità accelerata, la cittadella militare, il quartiere residenziale dell’Art Nouveau e il grande parco, polmone principale della città, fino a giungere al distretto delle istituzioni.
Il veicolo prese il raccordo di uscita verso la zona amministrativa. Tra i palazzi austeri notò svettare la torre del tribunale, con l’immensa statua della dea con la bilancia alta quasi cinquanta metri.
Greta afferrò la cartella in cui teneva il flyer che le aveva regalato Edgar, e scese dal taxi. Percorse lo spiazzo di buon passo, pronta alla resa dei conti, lo spolverino gonfiato dalla brezza e il battito dei tacchi sul marmo che scandiva il ritmo della riscossa.
Si bloccò di colpo.
Tra lei e lo scalone di accesso c’era una folla dalla quale spuntava una selva di microfoni a giraffa e telecamere spalleggiabili. Il ronzio dei droni-TV copriva il vociare dei tecnici impegnati a dare indicazioni ai corrispondenti.
“Caso Columbus…” distinse nel vociare.
Aspettavano lei!
Greta voleva scomparire, rimpicciolendo come una formica.
Si coprì il capo con il cappuccio dello spolverino. Dall’alto del suo tacco dieci non sarebbe comunque passata inosservata, ma si strinse addosso la cartella e provò ad aggirare la folla cercando un ingresso secondario. Testa bassa e passo risoluto, sgattaiolò via come un armadillo chiuso a palla, lontana dalle fauci dei giornalisti. Quando riuscì a trovare l’accesso degli addetti al servizio d’ordine, s’infilò nell’androne del palazzo.
Allungò il collo per intercettare con lo sguardo l’immenso tabellone con l’elenco delle udienze. Cercò di capire dove dovesse andare. Non c’erano indicazioni, nessuna schermata riportava l’informazione di cui aveva bisogno. Strano.
Si guardò il bracciale sbuffando, mosse il dito per scorrere la lista dei messaggi ricevuti e visualizzò quello con cui Pira, giorni addietro, le aveva notificato la convocazione all’udienza.
“Sala 458”, che voleva dire: quarantacinquesimo piano, sala otto. S’infilò nel primo turbo-ascensore disponibile. La cabina accelerò verso il cielo come una capsula spaziale attaccata a un binario.
Si ritrovò in un corridoio ampio e tappezzato di pannelli informativi.
Voci metalliche gracchiavano, scritte che lampeggiavano, ma nessuno dei presenti sembrava badarci troppo. Dovevano essere giudici, avvocati, testimoni, e tanti altri poveri diavoli forse in cerca di riscatto e verità, proprio come lei.
Stanza otto, continuava a ripetersi.
La porta era ancora chiusa. Il pannello accanto allo stipite recava una scritta:
Udienza caso Columbus
avvicinare il dispositivo personale per leggere il codice a barre
Greta avvicinò il bracciale. Ciò che lesse nell’olografia la lasciò di stucco:
Udienza rinviata.
Causa: mancata presentazione del legale dell’imputato.
Autorizzazione procedurale: Giudice Franchi.
Cazzo!
Che fine aveva fatto Pira? Col dito tremante attivò la chiamata. Attese paziente alcuni secondi. Nulla. Sentì il cuore accelerare, il collo gonfiarsi e avvampare di rabbia.
In quell’istante il dispositivo prese vita. Accettò la chiamata. Era Chris Spencer.
– Dottoressa Cameron, sono pronto alla connessione. Non doveva esserci l’udienza?
– Pira non si è presentato, è tutto rimandato – gli spiegò Greta.
Chris sembrò sorpreso. – A dire il vero, è già da un po’ che non mi sento con Pira. Non sarà mica morto? – concluse scherzando.
Greta socchiuse gli occhi e tirò un sospiro: – Già, come il Capitano Romano e gli altri membri della Columbus? Non ne uscirò mai…
– E adesso? – chiese l’investigatore, serio.
Greta era confusa. Inspirò l’aria che sapeva di plastica e tappeti impolverati. Ebbe un colpo di tosse. Nella mente stanca prese corpo un terribile presagio.
– Torno a Caserta – disse rabbiosa. – Temo per l’Accademia. Chi ha architettato questa messinscena attende solo di darci la spallata finale.
In fondo al corridoio vide aprirsi la porta di un ascensore. Un gruppo vociante di persone, dispositivi palmari in mano e microfoni spianati come mitraglie, uscì in fretta correndole incontro.
Greta si morse il labbro. Non sapeva dove andare. Voleva sfuggire a quella massa di avvoltoi. Attraverso il finestrone panoramico vide un drone in volo fisso. Una luce rossa lampeggiante la stava puntando.
‘sti cornuti!
Corse verso l’altra estremità del corridoio. La porta dell’ascensore si aprì e lei ci si tuffò dentro spingendo contro le altre persone.
Quando si richiuse, tirò un sospiro.







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