Ha una Smart giallo canarino parcheggiata sulle strisce pedonali dietro Piazza Fiume. Mi fa salire e parte lungo corso Italia. Guardo l'orologio. E' già tardi: avevo promesso a Maria che sarei tornata per le dieci. Chiedo ad Antonio dove stiamo andando, ma lui accende il telefonino e si immerge in un dialogo da cospiratore di cui afferro poco.

- Va bene, stiamo arrivando. - conferma alla fine. Poi si volta verso di me. - Sei capace di camminare senza far rumore?

Non mi da il tempo di rispondere. Spegne i fari, svolta in un vialetto, percorre ancora qualche metro e poi accosta al marciapiede. Poi scende e mi apre lo sportello. Per fortuna ha smesso di piovere. Sull'asfalto le pozzanghere si vanno già asciugando. L'aria sa di muschio e di foglie bagnate.

Alla luce dei lampioni, riconosco la sagoma, da vecchio convento, del Sacro Cuore. Sono stata lì solo poche ore fa, anche se la stanza di Livio è dall'altra parte, sulla facciata principale.

Antonio non si dirige al cancello d'ingresso. Gira l'angolo dell'edificio, mi conduce sul retro. Vedo un cancello secondario, e una figura che ci aspetta nell'ombra.

- Elena? - sussurra Antonio.

La figura si muove. Riconosco la donna che reggeva lo striscione il giorno dell'attentato. E' piccola, solida, d'età indefinibile. Indossa un camice da infermiera. Ne porge un paio anche a noi.

- Mettete questi. - dice, tirando su col naso.

Io sbarro gli occhi incredula. Antonio non si scompone e comincia a togliersi il K-Way.

- Elena è stata licenziata dal Sacro Cuore quando i paperoni al governo hanno approvato la 704... - dice mentre litiga con le cerniere lampo - La legge contro i medici obiettori. Però ha conservato il badge. Con un po' di fortuna riusciremo a entrare.

Infatti la serratura del cancello scatta con un ping netto. La donna fa cenno di muoverci.

- Dunque è questo ciò che fate... - osservo, mentre tengo quello stupido camice in mano come se fosse un vassoio da fast food - Di notte, mascherati, come ladri... Siete da sbattere in galera.

- Perché, dove credi che abbia passato gli ultimi anni? - ribatte lui, per nulla offeso - Avanti, metti quella roba addosso e cammina: non abbiamo molto tempo.

Valuto la possibilità di andarmene. Ma è tardi, e quassù in cima al Gianicolo non c'è nessuno. Non credo che Antonio mi farebbe del male, ma non posso dire lo stesso della donna. E poi ormai, a questo punto, voglio sapere. Mi allaccio nervosamente l'abito da infermiera e li seguo.

Passiamo accanto a una guardiola. Il sorvegliante ci squadra distrattamente, poi decide che non valiamo la sua attenzione. Con la coda dell'occhio, noto che il monitor di controllo è collegato al sito delle dirette sportive. Vedo, a tutto schermo, immagini della partita che si sta svolgendo all'Olimpico.

Il sotterraneo della clinica è silenzioso. L'odore di disinfettante è acuto, come l'umidità. I trascorsi del Sacro Cuore, anche qui, hanno lasciato segni. Ma mentre nei piani superiori ho scorto le tracce dell'antico, potente clero romano negli affreschi seicenteschi delle volte e nelle statue votive, qui la vedo nelle nicchie per candele alle pareti e nelle grate a mosaico nelle finestrelle alte al soffitto. Luoghi di clausura. Ricca, esclusiva, pur sempre clausura.

La donna si muove per i corridoi con sicurezza, facendo scivolare le pianelle da infermiera sul pavimento appena lucidato. Antonio invece mi si avvicina. Nonostante ciò che ha detto sul muoversi silenziosamente, non sembra avere la minima intenzione di tacere.