- Anche da noi non viene più applicato, ufficialmente - osservò piatto Misha.

- Certo. Come al solito è soltanto un problema di prove, e il vostro KWR è davvero molto efficiente in questo. E qui entro in scena io. Quel che non ho capito bene è il suo perché. Lei è un uomo dello Stato, e per giunta un militare.

- Lo ero - precisò Misha. Poi scoppiò a ridere e scosse il capo. - Ha ragione, ognuno ha i suoi scheletri, ma a un certo punto la quantità non conta più. E forse non c'è nessun perché logico, non troppo almeno. Ha mai visto una persona che esce dal coma punitivo?

- No.

- Io sì, tempo fa, in un istituto di Luzhaika. Era una donna, un'attivista filocinese condannata sei anni prima. Qualcuno del direttivo voleva interrogarla alla luce di nuove informazioni che avevamo avuto. Dopo tutto quel tempo...

Reijonen spense il mozzicone della sigaretta e si strinse nelle spalle. - Da quel che so il procedimento non è sicuro al cento per cento.

- Erano passati tre giorni - proseguì Misha, - e lei ancora non ricordava il suo nome. Rideva, con gli avambracci piegati verso l'alto e le braccia che tremavano perché non poteva a tirarle giù. La cellula di mantenimento non era stata revisionata prima della nuova ospite e il risultato fu che alcune terminazioni nervose della detenuta erano come asciugate, scomparse senza gli opportuni stimoli conservativi.

- Lei non ha l'aria d'un tipo sentimentale, e ogni azione ha sempre delle motivazioni private. Mi perdoni, ma non ho a che fare con dei filantropi da tanto tempo.

Misha si alzò e fece un cenno a Yuri che subito uscì. - Ha ragione - soggiunse. - Ma a volte gli scheletri escono da soli quando l'armadio è pieno. Fui io ad arrestare quella donna durante un rastrellamento. Non appena risvegliata, l'unica cosa che ricordava era il mio volto, come il mio volto è stata l'ultima cosa che ha visto, prima di morire per un collasso cardiaco. Sfrutti bene l'occasione, signor Reijonen. E comunque non posso offrirle nessuna garanzia.

- Non ne chiedo.

- Allora buona fortuna.

Il buio era sceso con prepotenza, come accade solo d'inverno. In cielo uno spicchio di luna galleggiava indolente, inondando la campagna con una luce fioca che si amplificava al contatto con la neve. Misha strisciò all'interno del reticolato e ascoltò il silenzio. Niente. Corse piegato in avanti, sfruttando le poche sagome degli alberi. Nata_a e Reijonen erano solo un fluttuare di passi attutiti alle sue spalle. Arrivarono al canale e vi scivolarono dentro; ancora una decina di metri verso nord ed eccola lì, la grata degli scarichi.

- Tre minuti - sussurrò Nata_a.

Misha guardò Reijonen e il finlandese gli sorrise, l'espressione spavalda. Aveva a tracolla il com satellitare. Il canale riservato era già attivo; il satellite geostazionario dell'Uniesa avrebbe riversato la loro immagine su tutti i canali possibili.

A poche centinaia di metri da loro, la sagoma scura e imponente dell'istituto campeggiava sul lato della collina. Niente nome, nessuna insegna, nessun cartello. Sui mappali del catasto solo un quadrato colorato di nero e un nome battuto con una vecchia macchina da scrivere: Blocco 13.

- Ora - disse Nata_a ricoprendo l'orologio col guanto.

Misha ruppe il lucchetto arrugginito col calcio rinforzato del suo Uzi, entrò e si lasciò ricoprire dall'oscurità. Solo quando il pallido cerchio dell'entrata fu completamente scomparso si accorse che stava ancora trattenendo il fiato.