- Mi hai spaventata prima. Vuoi parlarne? - chiese lei.

Il motore borbottò. La neve sulla strada era incredibilmente sporca. Misha si guardò le mani. - Ho solo un gran mal di testa - rispose.

- Non avevi mai fatto così.

- E' stato più forte del solito, tutto qui.

Per qualche oscuro motivo, non se la sentiva di raccontarle tutto. I pezzi del mosaico erano ancora così confusi che temeva qualsiasi ipotesi, perfino con se stesso. L'unico appiglio era costituito da quello sfolgorìo d'immagini che gli saliva in mente come vapore ribollente, lasciandolo, se possibile, ancora più frastornato. Da qualche giorno tuttavia l'intensità delle immagini era aumentata, facendosi più nitida. E oggi, sul treno, aveva visto il lago di Rybinsk, dove spesso la sua famiglia passava l'estate. Lì suo fratello Yevgeny aveva rischiato d'annegare e lui, per miracolo, era riuscito a salvarlo.

Avevano dodici anni.

Era stato come scoperchiare una tomba sigillata dal tempo. Dopo essersi addormentato grazie al ritmo del treno, si era ritrovato al lago, il cielo scuro come una pozza d'inchiostro. Yevgeny urlava, l'acqua che d'un tratto aveva iniziato ad agitarsi. E lui inchiodato sulla riva, questa volta impotente, con quel dolore indescrivibile che se ne stava ancorato in profondità, in attesa di uscire e produrre il massimo effetto.

Urlando aveva riaperto gli occhi, cercando una via di fuga, sperando in un attimo di tregua che sapeva bene non ci sarebbe stato. Ma il cielo era sempre nero, come gli occhi di Nata_a.

E Yevgeny, lo stava ancora chiamando.

Era un vecchio garage dall'aria malandata, come le macchine che vi si trovavano all'interno in attesa di improbabili riparazioni. Lo spiraglio tra la saracinesca e il battente lasciava intravedere nubi basse e gente che camminava piegata contro il vento. Yuri osservava pensieroso la strada, mentre Alexei era fuori e controllava il perimetro del palazzo. Nata_a era rimasta in albergo a preparare l'attrezzatura.

Misha si voltò lentamente e guardò Avastid Reijonen.

E' troppo giovane, pensò.

Il giornalista finlandese si appoggiò a una pila di gomme e accese una sigaretta. - Non è la prima volta che partecipo a missioni del genere per una buona notizia. - La sua voce era impastata di sonno. - Egitto, Nicaragua, Portogallo, Irlanda, Filippine... Tutte facce della stessa medaglia.

- Lei non ha mai avuto a che fare col KWR - ribatté Misha.

- Ogni governo ha il suo bravo e diligente figlio, maggiore. A volte si chiama Mossad, altre Securitate o MI6, oppure CIA... Questa volta KWR. C'è differenza?

- Molta.

Yuri ghignò e disse qualcosa voltandosi verso Reijonen, ma subito tornò a guardare fuori. Misha sorrise: Yuri aveva usato il dialetto inguscio, ma due o tre parole le aveva capite anche lui. Tirò un sospiro e chiese: - Perché viene signor Reijonen? Credo lei non abbia compreso bene cosa stiamo per fare.

Gli occhi azzurri di Reijonen si fissarono su Misha. - Ogni paese ha i suoi scheletri. Alcuni non sanno proprio nasconderli, troppo inesperti in questo genere di cose, e la notizia in sé ha un impatto limitato. Altri sono dei veri e propri maestri, e non si riesce mai a capire dove lavino i propri panni sporchi. Ed è questo genere di notizie invece che riesce a cambiare la vita di un giornalista come me. Lei sa bene che il coma punitivo ha avuto un eco grandissimo quando alcuni paesi hanno iniziato ad applicarlo; eco soverchiato solo dalla delibera ONU con la quale molti anni dopo è stato vietato, ufficialmente.