Se qualcuno avesse avuto il tempo e la pazienza di contare e classificare le parole che Josephine diceva nell'arco di una giornata, avrebbe certamente constatato che la parola più pronunciata era “Tata”.

Nulla di cui meravigliarsi, visto che Tata Mary aveva fatto la sua prima apparizione in casa Tindall quando Josephine aveva appena una settimana di vita e che da allora trascorreva con lei praticamente l'intera giornata. Convinto sostenitore della robotica, Samuel Tindall aveva accettato con entusiasmo la proposta di suo cugino Robert, Vicedirettore delle Vendite alla Upminster & Co., di partecipare al progetto pilota finalizzato all'introduzione dei TM nelle famiglie di tutto il mondo.

Durante il primo mese presso i Tindall, Tata Mary era stata coadiuvata dalla signora O' Driscoll, una tata in carne e ossa. In realtà l'affiancamento era più una formalità che una necessità, poiché, dopo solo due giorni trascorsi con la neonata Josephine, Tata Mary aveva dimostrato di essere perfettamente autonoma nello svolgimento delle proprie mansioni.

La notte al Golden Gate Park era stata tranquilla, per fortuna. Ora Josephine era alle prese con una delle sue passeggiate nella radura. Corse da Tata Mary gridando: – Bello! –. Aveva in mano un ramoscello di cipresso di Monterey.

La tata lo prese in mano e commentò con la sua voce delicata: – Hai ragione, tesoro, è davvero bello –. Poi, mentre Josephine la osservava euforica, cominciò a raccogliere altri ramoscelli. Li legò assieme con dello spago creando una struttura dalla forma approssimativamente quadrata, al centro della quale pose in verticale il ramoscello di Josephine. Una piccola, rudimentale ma bellissima zattera.

Tata Mary si avvicinò al ruscello prestando attenzione a non far mettere i piedini nell'acqua a Josephine. Poi appoggiò la zattera delicatamente sulla superficie limpida e trasparente. La zattera ondeggiò, barcollò, poi divenne stabile e fu trascinata dalla debole corrente. Josephine emise un gridolino di gioia e si mise a saltellare. Seguì la zattera con lo sguardo fino a vederla scomparire dietro un'ansa del ruscello. Fece ciao ciao con la manina, poi si voltò e si strinse forte alle gambe di Tata Mary, come per ringraziarla per averle regalato quell'ennesimo momento di gioia.

Sul Golden Gate Park stava per tramontare il Sole. Per la terza volta dal terremoto.

Tata Mary preparò per la bimba una cena a base di omogeneizzato di vitello. L'utilizzo dei fasci a microonde per riscaldare il cibo comportava un elevato dispendio d'energia, così come l'utilizzo dei visori per la proiezione dei cartoni animati in 3D preferiti da Josephine. Nella normale vita domestica l'energia accumulata nelle batterie del robot aveva una durata teorica tra gli otto e i dieci giorni; in quelle condizioni sarebbe arrivata difficilmente a cinque. Quel consumo di energia era comunque indispensabile: la bimba andava tutelata in tutte le forme possibili.

Quella notte Tata Mary avrebbe inviato, come di consueto, il log giornaliero. E avrebbe comunicato che il proprio livello energetico era sceso al di sotto del trenta per cento.

La vista del cartello di benvenuto in California, dopo quasi cinquantasette ore di viaggio, avrebbe dovuto ispirare sollievo e ottimismo in Gilbert e Hastings. A provocare sconforto erano le notizie che si susseguivano sul terremoto di San Francisco. Oltre quindicimila morti, la città per buona parte evacuata. Ogni tanto il piccolo miracolo di qualcuno trovato vivo sotto le macerie.

Anche Gilbert e Hastings erano lì per provare a compiere il loro piccolo miracolo. Un miracolo di cui erano a conoscenza solo loro.

Intanto luminosi cartelli stradali li invitavano a desistere dal loro proposito. Strade per San Francisco accessibili solo ai mezzi di soccorso. Percorsi alternativi per raggiungere altre località della California, colpite in modo meno violento dal sisma e i cui abitanti erano già pronti a riprendere la normale vita quotidiana, sollevati per lo scampato pericolo e addolorati per quello che era accaduto a poche miglia di distanza.

I due avevano dormito pochissimo, ancora meno da quando Gilbert aveva constatato che la loro missione doveva affrontare un'incognita in più: Tata Mary non aveva con sé le celle di carica e nel giro di non molte ore sarebbe rimasta senza energia.

La strada per Sausalito si interrompeva al Richmond–San Rafael Bridge. Guardie armate presidiavano l'accesso al ponte. Al furgone guidato da Hastings fu fatto segno di tornare indietro.

– Accosta qui –, disse Gilbert, – lascia parlare me.

Un funzionario della Polizia Federale, fisico atletico e viso abbronzato, si avvicinò mentre Gilbert scendeva dal furgone.

– Buongiorno signore, abbiamo portato viveri e coperte –, esordì Gilbert.

– Bene. Portateli in quel capannone laggiù, grazie –, rispose il funzionario in modo sbrigativo.

– Non siamo qui solo per questo. Io e il mio collega possiamo dare un aiuto concreto alle operazioni di soccorso –. Tese la mano. – Sono il Dottor William Gilbert, Direttore Tecnico della Upminster & Co. Sul furgone c'è il mio collega Michael Hastings.

– Sergente Dominguez, piacere. Che tipo di aiuto potete darci? –, chiese l'interlocutore con il tono di chi non ha troppo tempo da perdere.

– Alle operazioni di recupero delle vittime dalle macerie prendono parte anche Robot Minatori –, proseguì Gilbert, incurante della fretta del Sergente. – Nella mia valigetta c'è una scheda di aggiornamento software che permette di migliorare ulteriormente le prestazioni dei robot.

– Un aggiornamento del software? Non poteva farlo da remoto stando comodamente seduto nel suo ufficio?

Gilbert non si aspettava quella giusta obiezione. – In teoria sì. Ma i robot al lavoro qui sono tanti e serve qualcuno che ne verifichi il corretto funzionamento –. Gilbert si affrettò a estrarre il tablet dalla borsa e a mostrare le proprie credenziali. – Vede? Ho coordinato io stesso i progetti per la realizzazione di quei modelli. So che stanno facendo un ottimo lavoro, possono fare ancora meglio se vengono guidati e comandati in modo opportuno.

– In effetti i Robot Minatori ci stanno aiutando molto –, convenne Dominguez. – Mi aspetti qui, torno subito.

Gilbert si voltò verso Hastings facendo l'occhiolino. Dominguez tornò dopo pochi minuti seguito da un collega.

– Dottor Gilbert, le presento il Tenente Edwards. Sarà lui a scortarvi a San Francisco a bordo di una motovedetta. Il Richmond–San Rafael Bridge non è accessibile, da qui si può raggiungere San Francisco solo via mare. Prendete dal furgone quello che vi serve, pensiamo noi a scaricarlo e a farlo trovare pronto al vostro ritorno.

– A quanto pare il nostro viaggio non è finito –, disse Hastings sorridendo, mentre la motovedetta salpava pochi minuti dopo.

– Già –, gli fece eco Gilbert pensieroso. – Purtroppo non andiamo direttamente a Sausalito, la motovedetta ci sta portando a San Francisco. Li ho convinti che noi due siamo qui per coordinare il lavoro dei Robot Minatori.

– Ottima scusa, amico mio! Questo ci farà perdere un bel po' di tempo, ma direi che non avevamo altra scelta.

– Era l'unica soluzione possibile –, convenne Gilbert. – Il ponte che ci avrebbe portato pochi chilometri a nord di Sausalito è chiuso per verifiche statiche e sarà riaperto non prima di due giorni. Andiamo a San Francisco e da lì proseguiamo a piedi.

– Dottor Gilbert! –. A interrompere la conversazione fu il Tenente Edwards, salito sulla motovedetta con loro due e un'altra dozzina di poliziotti.

Gilbert si voltò e sorrise all'interlocutore.

– Dottore, è un piacere conoscerla di persona. Ho iniziato a interessarmi di intelligenza artificiale grazie al suo libro Introduzione alla Robotica.

Era il libro che aveva reso Gilbert famoso. Era il tentativo (riuscito) di spiegare la robotica ai profani, non solo illustrando i principi e le teorie fondamentali, ma anche affrontando i risvolti sociali e l'impatto sulla vita e sull'attività quotidiana degli esseri umani.

Un meraviglioso sole rosso si stagliava basso sull'orizzonte. Vista dal mare, San Francisco dava l'idea di un immenso cantiere a cielo aperto. Grattacieli e palazzi accartocciati su sé stessi, gru impegnate nella rimozione delle macerie. Una città irriconoscibile rispetto a quella che Gilbert aveva visitato l'ultima volta, solo pochi mesi prima.

Edwards era accanto a Gilbert a contemplare e a commentare quello scenario di distruzione. – Dottor Gilbert, da quando c'è stato il terremoto ho fatto la spola fra Richmond e San Francisco almeno venti volte. Eppure non riesco ancora ad abituarmi all'idea di quello che è successo –. Sospirò. – I suoi sensori avrebbero salvato molte vite umane –. Aggiunse con amarezza ma senza polemica: – Se avessero funzionato.

Si voltò verso Gilbert. Vide il suo viso rigato dalle lacrime. Lacrime di rabbia, sconforto, commozione, impotenza.

All'arrivo all'Embarcadero di San Francisco furono fatti accomodare su un furgoncino blindato. Fecero un paio di miglia. Hastings indicò a Gilbert il Ritz-Carlton Hotel. O meglio, quel che ne restava. Il Quartier Generale da cui erano coordinati i Robot Minatori era al Parco Lafayette. A dirigere le operazioni il Capitano McCaw.

– Dottor Gilbert, lei e il suo collega potete accamparvi qui e verificare il lavoro dei Robot Minatori –, disse Edwards. – Per qualunque problema non esitate a contattarmi. In ogni caso, vi consiglio di non allontanarvi troppo da qui, soprattutto dopo il tramonto. Come potete immaginare, la città è allo sbando –.

Si congedò dai due scienziati con una vigorosa stretta di mano.

– Edwards ha ragione –, disse Gilbert rivolgendosi ad Hastings a bassa voce. – Conviene trascorrere la notte qui e partire domattina. Da qui all'imbocco del Morning Sun Trail a Sausalito sono circa tre ore di cammino.

Hastings era visibilmente nervoso. – Edwards è un tuo grande ammiratore. Non potevi chiedergli di portarci direttamente al Golden Gate Park?

– Non era il caso.

– Non era il caso? –, chiese Hastings alzando la voce.

– Volevi forse assistere a un mio nuovo fallimento? –. Ora anche Gilbert aveva alzato la voce e aveva suscitato l'attenzione dei presenti.

– William, tu sei pazzo. Stiamo viaggiando da tre giorni e tu mi parli solo ora della possibilità di un fallimento?

Gilbert comprese la situazione. Prese l'amico da parte e cominciò a parlare a bassa voce. – Michael, ascoltami. Immagina che io avessi convinto il Tenente Edwards ad accompagnarci al Golden Gate Park, magari in elicottero.

– A quest'ora saremmo già lì –, commentò Hastings.

– Probabilmente sì –, proseguì Gilbert mantenendo la calma. – E che cosa sarebbe successo se, una volta giunti lì, avessimo trovato il TM da solo?

– William, mi dispiace, ma continuo a non seguirti. Mi hai detto di essere certo che insieme al TM c'è anche la piccola Josephine.

– Sono sicuro al novantanove per cento. Potrei essermi sbagliato, potrebbe essere capitato qualcosa di brutto a Josephine. Noi arriviamo lì in elicottero, sicuri di salvare una vita umana e invece scopriamo che c'è solo il TM. Sarebbe una rovina. Agli occhi dell'opinione pubblica avrei fatto perdere tempo e risorse a una città martoriata. Soltanto per salvare un robot e dopo la cattiva fama che mi sono guadagnato con i sensori. No, grazie, amico mio. Stavolta non intendo rischiare. Edwards potrà esserci utile ma solo dopo che avremo raggiunto la nostra unità e ci saremo accertati della presenza di Josephine.

Hastings restò in silenzio per alcuni secondi. Poi fece un profondo respiro. – Hai ragione, William. Siamo molto stanchi. Una dormita potrà farci sicuramente bene. Domani sarà una giornata lunga.

Un ampio telo sistemato su uno dei pochi alberelli presenti nella radura faceva ombra a Tata Mary e a Josephine nelle ore più assolate della giornata.

Faceva molto caldo. Josephine non sembrava patirlo, però aveva bisogno di bere molto.

L'acqua contenuta nella tanica ormai scarseggiava. Tata Mary dovette analizzare sommariamente l'acqua del ruscello per stabilire se fosse potabile. Gli strumenti che aveva a disposizione per verificare che il cibo ingerito dalla bimba non fosse contaminato si rivelarono utili allo scopo. Ancora un consumo imprevisto di preziosa energia ma il risultato, per fortuna, fu positivo. L'acqua del ruscello poteva essere bevuta da Josephine.

Tata Mary si affrettò a riempire la tanica. Per quel giorno almeno un problema era risolto.

Josephine cominciava ad avere nostalgia dei genitori e di casa. L'entusiasmo iniziale della vita all'aperto si stava trasformando lentamente in malinconia. Era sempre più nervosa, piangeva spesso dicendo – mamma – o – papà –.

Tata Mary naturalmente sapeva bene come gestire anche le situazioni critiche, gli algoritmi su cui si basava la sua programmazione erano il frutto del lavoro di alcuni dei maggiori esperti mondiali di pediatria e di pedagogia.

Inventava e proponeva a Josephine giochi sempre nuovi per tenerle la mente impegnata e per distoglierla da pensieri malinconici.

Il passatempo preferito da Josephine era un vecchio e semplicissimo gioco ormai dimenticato. Tata Mary tendeva le mani, la bimba le afferrava e insieme cominciavano a cantare mentre si muovevano in cerchio: – Giro giro tondo… – Il momento più divertente per Josephine era quando entrambe piegavano le ginocchia e gridavano all'unisono: – Tutti giù per terra!

Non avevano incontrato nessun viso né udito nessuna voce da quando erano arrivate al Golden Gate Park. Un paio di elicotteri avevano volato sopra le loro teste ma senza accorgersi di loro: nessuno aveva pensato di mettersi a cercare qualcuno scampato al terremoto in quei luoghi ormai quasi inaccessibili. C'erano migliaia di rifugiati al Golden Gate Park, ma da tutt'altra parte di quello sterminato parco.

Le riserve di energia erano quasi alla fine. Anche quella sera Tata Mary avrebbe inviato il log giornaliero. L'ultimo, the last.

Furono svegliati in modo brusco dal Capitano McCaw. – Forza, signori, non siamo qui in vacanza!

Gilbert guardò l'orologio: segnava le sei, si era aggiornato automaticamente al fuso orario della costa occidentale. – Grazie, Capitano –, rispose, fingendo di essere già ben sveglio. – Saremo pronti tra pochi minuti –. Si rivolse poi ad Hastings parlando a bassa voce. – Michael, dobbiamo sbrigarci. Il log del TM indica che l'energia è agli sgoccioli, durerà al massimo fino a domattina.

– Sì, William –, convenne l'amico mentre sollevava il sacco a pelo termico. – Hai già pensato a una scusa per andarcene da qui? È importante raggiungere il TM entro oggi pomeriggio se vogliamo concludere il salvataggio prima del tramonto.

– Mi limiterò a fare un controllo generale dei Robot Minatori e poi ce ne andremo. Sai bene che questi robot non hanno bisogno di nessun ordine specifico per salvare una vita umana. Le Leggi della Robotica bastano e avanzano: i robot individuano l'essere umano ancora in vita sotto le macerie, cominciano a scavare con estrema attenzione e lo riportano in superficie. Da quando i Robot Minatori hanno iniziato a operare sulle scene di un dopo-terremoto, il numero di vite umane salvate è cresciuto in modo esponenziale.

McCaw si avvicinò ai due scienziati. – Signori, ho bisogno del vostro aiuto.

– Certo, Capitano, siamo qui per questo –, rispose Gilbert preoccupato.

– Mi hanno appena riferito di un guasto a una nostra unità. Nessuno di noi è in grado di ripararla, voi invece ne siete certamente capace.

– Dove si trova?

– A circa cinque miglia verso sud.

– Non occorre andare di persona, possiamo riparare il guasto da qui.

McCaw sembrò sorpreso dall'affermazione di Gilbert. Che proseguì. – Dalla vostra stazione di controllo è possibile non solo monitorare il corretto funzionamento dei robot, ma anche risolvere la maggior parte delle anomalie che si verificano durante la loro attività. Mi porti nella vostra stazione da campo, le mostro come si fa.

– Mi segua –, disse McCaw non troppo convinto.

– Vede? –, disse Gilbert indicando su un monitor i parametri del robot guasto. – Il programma di auto-diagnostica indica che c'è un problema al giroscopio di uno dei bracci meccanici. Un problema piuttosto comune. Premendo “Risolvi” si può provare a riattivare il corretto funzionamento. Tra qualche istante sapremo se è tutto a posto.

Attese alcuni secondi poi disse: – Ecco, ora tutte le sezioni del robot sono in verde, significa che l'anomalia è stata sistemata.

– Sarà come dice lei ma è meglio andare a controllare di persona.

– Come, scusi? –, obiettò Gilbert, sperando di aver capito male.

– Sto dicendo che non mi fido di quello che vedo su quel monitor. Sarò più tranquillo dopo che avrò visto quel robot all'opera in perfetta efficienza. Il mezzo è quasi pronto, partiamo tra pochi minuti.

Gilbert provò a insistere cercando, allo stesso tempo, di restare calmo. – Capitano, se vuole andare siamo ben lieti di accompagnarla. Ma, avendo progettato io stesso quei robot, posso assicurarle che la vostra unità adesso funziona perfettamente.

– Partiamo tra pochi minuti –, ripeté McCaw, incurante dell'obiezione di Gilbert.

I due scienziati si ritrovarono con McCaw sui sedili posteriori di un mezzo blindato. Il capitano disse con tono mellifluo: – Signori, qui occorre essere in continuo movimento, altrimenti qualcuno potrebbe pensare che la tua presenza in questi luoghi sia superflua.

Gilbert non capì se il capitano stesse giustificando il proprio comportamento ottuso oppure stesse facendo insinuazioni sul conto dei due scienziati. Gilbert si limitò ad annuire e a constatare con disperazione che stavano viaggiando in direzione opposta rispetto alla meta prefissata: Sausalito.

Raggiunsero una zona in cui erano all'opera una decina di Robot Minatori, tra questi l'unità che si era guastata. Davanti ai loro occhi uno scenario straziante: una palazzina di sei piani rasa al suolo, i parenti dei dispersi bloccati dietro le transenne, nella disperata attesa di notizie dei propri cari.

McCaw fece segno ai due: – Quella è l'unità bloccata, occupatevene voi. Io vado a fare un sopralluogo nei paraggi.

Il robot era in perfetta efficienza; infatti aveva appena estratto vivo dalle macerie un bimbo di otto anni.

Hastings si rivolse all'amico. – William, se vogliamo avere una minima speranza di salvare la bimba e il TM dobbiamo andarcene ora.

– Sì, Michael, la situazione è disperata. Vorrei aiutare queste persone ma la nostra missione è fondamentale. Se riesce, in futuro potremo salvare molte più vite di quante ne stiano salvando ora i Robot Minatori.

Cominciarono a camminare lentamente mescolandosi tra la folla assiepata dietro le transenne.

Attraversarono tutta San Francisco, da sud a nord. A piedi.

Camminarono tra macerie, rovine, morte e disperazione. Con un costante rumore di sottofondo: le sirene delle ambulanze, le pale degli elicotteri.

Fecero attenzione a evitare i posti di blocco: McCaw aveva certamente segnalato la loro scomparsa.

Quella sagoma metallica che prima appariva in lontananza, si fece via via più grande, fino a essere raggiunta, toccata. Il Golden Gate Bridge. Il ponte tra la grande San Francisco e la piccola Sausalito.

Lo attraversarono percorrendo il marciapiede est. In silenzio. In fila indiana. Hastings davanti, dietro Gilbert che portava la valigetta con la sua attrezzatura. Era tutto ciò che era restava ai due scienziati. Gli zaini con viveri e bagagli erano rimasti al campo al Park Lafayette: non era certo prudente passare a prenderli.

Arrivarono dall'altra parte del ponte con le ultime luci del tramonto. Allo stremo delle forze e con la parte più dura della missione ancora da compiere. Attraversare il Morning Sun Trail. Di notte e senza nemmeno sapere se il sentiero sarebbe stato accessibile.

Sausalito sembrava aver subito meno danni della vicina San Francisco. Le case basse e le villette a schiera della località di villeggiatura avevano retto meglio dei palazzi e dei grattacieli della metropoli. Qualcuno si apprestava già a riprendere una vita più o meno normale. Quell'uomo, ad esempio. Stava lavorando alacremente aiutato da due ragazzi, probabilmente i figli, per liberare il proprio negozio dalle macerie.

Hastings lo indicò a Gilbert. – Forse quell'uomo può aiutarci.

Gilbert capì. – Hai ragione, andiamo.

All'uomo non parve vero ricominciare a vendere ancora prima di aver riaperto il proprio negozio. Quei due sconosciuti acquistarono due torce elettriche, due paia di scarpe da lavoro e una motosega. Attesero con pazienza che l'uomo rovistasse tra gli scaffali alla ricerca del materiale richiesto e, per ricompensarlo, gli diedero il doppio dei soldi che aveva chiesto. Ricevettero anche una bottiglia d'acqua e un pacco di gallette, beni preziosi in quel posto in quel momento.

Il sole era tramontato da un pezzo quando i due scienziati si avviarono lungo il Morning Sun Trail. Dopo poche decine di metri dovettero fermarsi. Il sentiero era ostruito da alcuni enormi alberi secolari sradicati dalla forza del terremoto e caduti al suolo.

Era notte fonda. Josephine si svegliò, forse per un rumore, forse per la sete. Cominciò a piangere. Smise dopo pochi minuti. Tata Mary non la sentì.

Hastings era alle prese con il taglio di alcuni grossi rami. La motosega fungeva egregiamente allo scopo, ciononostante i due avanzavano di pochi metri l'ora, a causa dell'elevato numero di tronchi lungo il percorso.

– Michael, l'ho perso! Ho perso il segnale GPS del TM! –, gridò Gilbert, pochi passi dietro di lui.

– Oh, no! –, si disperò Hastings. – E il log è arrivato? Quanta energia è rimasta?

Gilbert chinò il capo. – È arrivato pochi minuti fa. Energia residua prossima allo zero.

Hastings gli si avvicinò. – In base ai tuoi ultimi calcoli il TM avrebbe dovuto avere ancora qualche ora di autonomia.

– Già –, mormorò Gilbert in preda allo sconforto. – Probabilmente nel corso della giornata ha avuto un consumo inaspettato di energia –. Sollevò il capo e aggiunse: – Michael, dobbiamo fare presto. La bimba sta dormendo accanto a un ammasso di rottami.

A Gilbert costò molta fatica paragonare una sua splendida creatura a un mucchio di ferraglia. Hastings comprese il suo stato d'animo, la paura del fallimento di quella missione eroica. Provò a incoraggiarlo. – Forza, William, andiamo avanti. Mancano poche centinaia di metri. Hai memorizzato l'ultima posizione del TM?

– Sì –, rispose Gilbert con un filo di voce.

– Bene, allora andiamo avanti!

Josephine si svegliò molto presto quel mattino. Qualche minuto dopo l'alba.

Tata Mary era inerme accanto a lei. Si era spenta pochi istanti dopo aver inviato l'ultimo log.

Era stata una scelta consapevole. Disattivarsi completamente prima che le riserve di energia si esaurissero del tutto. Quest'operazione le consentì un lieve recupero di energia da poter sfruttare almeno per le prime ore della giornata.

Le riserve erano comunque agli sgoccioli.

Alla riaccensione Tata Mary aveva una voce insolitamente metallica, molto simile a quella dei primi robot, antenati dei perfetti robot umanoidi attuali.

Accarezzò il capo di Josephine. Fu un tentativo goffo, quasi uno schiaffo. La regolazione fine dei giroscopi non consentiva di dosare i movimenti.

Tata Mary sapeva che stava per spegnersi. Stavolta definitivamente.

Si mise a preparare quello che occorreva a Josephine per sopravvivere. Almeno per quella giornata.

Prese due biberon grandi e uno piccolo. Nel piccolo versò solo dell'acqua. Nei due grandi versò latte in polvere e acqua. Li chiuse e iniziò a mescolare. Buona parte del contenuto fuoriuscì poiché i biberon non erano stati chiusi correttamente. La parte solida, poi, non si era disciolta del tutto. Provò comunque a riscaldare il contenuto ma i fasci a microonde si rivelarono completamente scarichi.

Prese Josephine dal passeggino e la adagiò sul telo impermeabile sistemato sull'erba. Si sedette accanto a lei, coordinando giroscopi e sensori in un ultimo movimento sincronizzato.

La voce metallica era a stento percettibile. – Tesoro… non… muoverti… da… qui… –. Tata Mary restò immobile in quella posizione.

A Josephine sembrò l'inizio di un gioco. Si alzò in piedi e si mise a camminare intorno a Tata Mary. – Giro giro tondo…

Fece alcuni giri intorno al TM poi si cominciò a correre in linea retta. Due figure in lontananza, lì, ai margini della radura.

– Papà! –, esclamò euforica Josephine.

Hastings gettò via la motosega e corse verso di lei.

Gilbert si mise in contatto con il Tenente Edwards. Gridò tra le lacrime: – Sono William Gilbert, ci raggiunga subito in elicottero a queste coordinate! C'è una bimba di diciotto mesi scampata al terremoto! È qui con noi!

Il Tenente Franklin Theodore Edwards, in quel momento, non poteva certo immaginarlo. Non poteva immaginare che anche il suo nome stava per finire sui libri di Storia.