Laureato in ingegneria aeronautica al Politecnico di Milano, con una tesi sui satelliti a filo, Marco Passarello è giornalista, scrittore, traduttore e curatore editoriale. Vive e lavora a Bolzano come redattore della TGR RAI, ma nella sua lunga carriera giornalistica è stato anche redattore delle riviste di informatica Computer Idea e ComputerBild e ha a lungo collaborato col settimanale scientifico Nòva 24 de Il Sole – 24 Ore e con la rivista Urania della Mondadori. Ha curato una rubrica di fantascienza per il mensile XL, e si è occupato di musica e libri per Rolling Stone e Repubblica Sera. Insieme alla moglie Silvia Castoldi ha tradotto diversi romanzi. Lunga è anche la sua attività come scrittore, pubblicando molti racconti su riviste e antologie. Ora per Urania Speciale ha curato l’antologia Tecnologie del Futuro, in cui ha intervistato ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia, chiedendo poi a alcuni dei più importanti scrittori italiani di fantascienza di ispirarsi alle interviste con gli scienziati per scrivere un racconto. Da questa premessa è nata l’antologia, che Franco Forte ha deciso di pubblicare nel numero speciale di Urania dedicato alla fantascienza italiana. Lo abbiamo intervistato per raccontarci come è nato il progetto e cosa deve aspettarsi il lettore da questo libro.

Facciamo un passo indietro. Tecnologie del Futuro nasce dall’esperienza di altre due antologie da te curate, ovvero Fanta-Scienza e Fanta-Scienza 2, entrambe edite da Delos Digital, ma andando ancora più indietro da una tua intervista a Bruce Sterling da cui è scaturito un discorso intorno al Progetto Hieroglyph, in cui lo scrittore Neal Stephenson nel 2011 invitava i suoi colleghi a scrivere fantascienza per stimolare l'innovazione nella scienza e nella tecnologia. Qual è oggi, a tuo avviso, il rapporto tra scienza e fantascienza? 

Premetto che non condivido le premesse da cui Stephenson partì per realizzare quel progetto. È verissimo che la fantascienza di oggi è molto meno ottimista di quella degli anni d’oro, ma c’è un motivo ben preciso, e cioè che oggi siamo molto meno fiduciosi sulla possibilità che il futuro sarà migliore del presente, o che il progresso tecnologico sia da solo in grado di migliorare l’esistenza. Si possono fare molti esempi di casi in cui la fantascienza ha ispirato il lavoro degli scienziati, ma quella fantascienza non nasceva nel vuoto, era a sua volta ispirata da fermenti e tendenze già presenti nella società. Oggi viviamo in un mondo sull’orlo della catastrofe climatica, con nuove forme di autoritarismo in forte ascesa e crescenti minacce di guerra, e questo non può non influire sulla fantascienza che viene scritta oggi. Io penso che compito della fantascienza sia di porre domande, non di offrire soluzioni, e questo vale anche nel rapporto con la scienza. Non a caso mi sembra che raramente i racconti di Tecnologie del futuro siano improntati all’ottimismo acritico: in quasi tutti c’è una vena marcatamente agrodolce.

In un articolo pubblicato dal World Policy Institute, intitolato "Innovation Starvation", Stephenson ha formulato le idee alla base di Hieroglyph e per promuovere un ottimismo nella fantascienza che potrebbe ispirare una nuova generazione di giovani a fare grandi cose. La fantascienza, secondo lo scrittore americano, in questo può aiutare, grazie a “simboli” ormai accettati da tutti, come i robot di Isaac Asimov, le astronavi di Robert Heinlein o il cyberspazio di William Gibson. Non credi che, tuttavia, viviamo in un mondo in cui ci sono tecnologie che possono certamente ispirare i giovani, ma allo stesso tempo incutere non pochi timori? Penso ad esempio a una tecnologia come l’Intelligenza Artificiale… 

Concordo. Durante la stagione del cyberpunk, anche se la fantascienza dipingeva un futuro distopico, c’era anche una forte aspettativa di libertà verso ciò che la Rete poteva portare. Il cyberspazio era un luogo in cui ci si poteva immergere per reinventare se stessi e per vivere con regole differenti rispetto al mondo reale. Purtroppo bisogna riconoscere che quelle speranze sono state quasi del tutto disattese. Non solo il mondo virtuale è ormai irreggimentato, ma minaccia di diventare uno strumento di sorveglianza e controllo del mondo reale. E guardiamo come vengono manipolati i “simboli” di cui hai parlato, con personaggi come Elon Musk che sfruttano un immaginario fantascientifico (e libertario, come quello della Cultura di Iain M. Banks) per promuovere agende reazionarie che ne sono l’esatto opposto. Anche l’intelligenza artificiale rientra in questo modello, viene promossa come soluzione a tutti i problemi sfruttando un immaginario che la fantascienza ha creato, mentre servirebbe un’analisi critica e razionale di come dovrebbe essere usata.

Tecnologie del Futuro è la prima antologia che esce su Urania Speciale che non porta la firma di Franco Forte come curatore. Forte ha “giustificato” questa scelta con queste parole: “era arrivato il momento di cambiare un pochino l’aria nelle stanze di «Urania», restando comunque nell’ambito della narrativa italiana di fantascienza”. Ci racconti come è nato il progetto, come hai proposto l’antologia a Forte? 

Tecnologie del futuro nasce in pratica in occasione di Stranimondi 2023. Fanta-Scienza 2 era uscita un anno prima, e alla convention ho incontrato più di una persona che mi ha chiesto se e quando sarebbe uscito un terzo volume. Io all’epoca ritenevo l’esperienza conclusa: non avevo alcuna voglia di replicare tutto lo sforzo che un’antologia come questa richiede per raggiungere sempre le stesse persone. In quell’occasione però rimasi colpito dal discorso che fece Franco Forte: disse che stavamo vivendo un momento particolarmente positivo per la fantascienza italiana, e che lui, che aveva appena assunto il ruolo di coordinatore della fantascienza Mondadori anche per le pubblicazioni da libreria, avrebbe fatto il possibile per sfruttarlo. Lo stesso giorno fu annunciato che l’Italcon del 2025 sarebbe stata a Genova, dove ha sede l’IIT. Improvvisamente si materializzò nella mia mente l’idea di un terzo volume di “Fanta-Scienza” pubblicato con Mondadori in concomitanza con l’Italcon genovese. Ero però molto scettico sulla possibilità di realizzarla, vista l’innumerevole quantità di rifiuti che avevo ricevuto in precedenza da innumerevoli case editrici italiane. Lo stesso Franco Forte, anni prima, mi aveva risposto negativamente quando gli avevo proposto Fanta-Scienza per Urania. Provai a sentire per prima cosa l’IIT, che mi rispose che volentieri avrebbe collaborato a una nuova edizione del progetto… se avessi coinvolto un grosso editore come Mondadori. Alla fine mi dissi che era inutile rimuginarci sopra, e tanto valeva verificare subito l’irrealizzabilità dell’idea e non pensarci più. Rimasi alzato fino a tardi a scrivere una mail a Franco Forte, descrivendogli minuziosamente tutti i pregi del progetto “Fanta-Scienza”, e sottolineando il valore pubblicitario che avrebbe potuto avere una presentazione all’Italcon genovese. La spedii convinto che avrebbe fatto la stessa fine delle tante mail che avevo scritto in passato ad altri editori, e la mattina dopo partii per una vacanza. Ero in treno quando ricevetti la telefonata di Franco. Mi disse che, no, una pubblicazione nell’aprile 2025 era troppo vicina, gli scadenziari erano già pieni. Ma aveva un’idea migliore: pubblicare un terzo volume di “Fanta-Scienza” come antologia annuale di racconti italiani su Urania, come speciale estivo. Cosa ne pensavo? Io non credevo alle mie orecchie: non avrei mai osato sperare tanto. Ti confesso che per mesi ho temuto di aver capito male, o comunque che sarebbe sopravvenuto qualche ostacolo a impedire la pubblicazione. Tuttora non so bene cosa abbia spinto Franco a dirmi di sì. Sicuramente la solidità del progetto ha contribuito, ma credo anche di avere avuto molta fortuna: la mia proposta è arrivata al momento giusto, proprio quando Franco aveva deciso che la formula delle antologie andava rinnovata.

I tredici racconti sono tutti preceduti da un’intervista ad altrettanti ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia, che è il nostro centro di eccellenza per lo sviluppo di nuove tecnologie. Quali sono le ricerche che ti hanno destato maggiore meraviglia tra quelle che ti hanno raccontato gli scienziati dell’IIT? Quali sono state, invece, a tuo avviso, le ricerche, diciamo così, più fantascientifiche? In altri termini, più adatte a diventare il fulcro di una storia? 

Premetto che non sempre sono gli spunti più spiccatamente fantascientifici a essere i più adatti per ispirare un buon racconto, perché in quanto tali sono già stati utilizzati spesso dalla letteratura, fino a diventare dei cliché. Per esempio, nella scorsa antologia tenni per me lo spunto delle ricerche di Luca Berdondini sulla comunicazione tra cervello e macchine, che erano estremamente interessanti ma di cui gli autori non volevano occuparsi, in quanto in un racconto di fantascienza è quasi banale che si possa comandare una macchina col pensiero!

Secondo la mia personale sensibilità, gli spunti più ghiotti erano quelli di robotica, dove c’era da sbizzarrirsi tra robot umanoidi, quadrupedi, volanti, esoscheletri, in telepresenza. Ma forse, anche se più difficili da traslare in un racconto, i più affascinanti erano quelli relativi alla genetica e biologia sintetica, tecnologie che vanno a rendere permeabile il confine tra l’umano e l’artificiale.

Però credo che uno dei piaceri maggiori che può dare la lettura di Tecnologie del futuro risieda nello scoprire come l’immaginazione degli scrittori sia andata a spesso lavorare sugli aspetti meno ovvi e prevedibili delle interviste.

Passiamo ai racconti. Ci racconti un po’ chi hai scelto tra gli scrittori da coinvolgere in questo progetto editoriale e per quale motivazione? Al di là del fatto, che tutti hanno studi o comunque un solido rapporto con la scienza… 

In effetti, quando ho creato la prima antologia, inizialmente mi sono preoccupato di invitare autori con un solido background scientifico. Tuttavia, a mano a mano che la squadra si formava, mi sono preoccupato che un’impostazione troppo “hard SF” risultasse noiosa, e ho deciso di includere anche qualche scrittore con un approccio più “umanistico”. Alla fine non mi sono pentito di questa scelta, che penso abbia dato maggiore varietà e vivacità all’insieme.

Quanto ho cominciato a meditare sulla possibilità di una terza antologia, avevo l’intenzione di formare un gruppo di autori completamente nuovo, per variare. Tuttavia, quando mi è arrivata da Forte la proposta di pubblicare su Urania, ho fatto marcia indietro: mi sembrava ingiusto escludere a priori dal progetto proprio gli autori che mi avevano consentito di fare partire il progetto. Quindi per prima cosa ho mandato una mail a tutti loro, chiedendogli se avrebbero voluto prendere parte a un terzo volume. Bada bene, senza specificare che si trattava di Urania! Ho detto solo che questa volta avremmo avuto un editore più grande. E tutti, nessuno escluso, hanno risposto di sì: undici autori e autrici, più il sottoscritto. A quel punto la squadra era già quasi completa. L’Istituto mi ha proposto quattordici ricercatori, quindi rimanevano solo altri due posti liberi, e ho scelto occuparli con autori che mi sembravano interessanti ma erano al di fuori del classico giro di Urania, perché cerco di fare in modo che le mie antologie facciano anche da “ponte” tra aree separate della fantascienza italiana. (Successivamente si è reso necessario qualche rimaneggiamento della “formazione”, infatti nella versione finale gli autori sono tredici.)

Non ti chiediamo di parlarci dei singoli racconti, ma almeno il tuo, visto che sei tra gli anche tra gli autori delle storie 

Il mio racconto, L’abito non fa il monaco, è ispirato alle ricerche di Daniele Pucci. Lui mi ha parlato di come stia cercando di creare un robot umanoide volante (e qui siamo veramente già nel campo della fantascienza più sfacciatamente spettacolare!) e di come stia cercando di analizzare i movimenti del corpo umano per renderli comprensibili ai robot. Quest’ultima partesi è subito legata nella mia testa a una vecchia idea che non avevo mai portato a termine, quella di una persona che usa la tecnologia per imitare alla perfezione lo stile di un musicista.

Per i racconti di queste antologie ho usato una tecnica molto diversa di quella che uso di solito. Normalmente non inizio a scrivere se non ho ben chiara la trama. Prendendo ispirazione da un’intervista, invece, mi vengono in mente tanti frammenti di trama che non so dove portino, e li porto avanti tutti insieme sperando che alla fine si “annodino” e formino una trama completa. Finora ha sempre funzionato, anche se questa volta ho tenuto di non arrivare da nessuna parte!

Spero che i lettori mi perdoneranno se, dovendo condurre una trama investigativa che ruota intorno a dei robot, ho plagiato Asimov e ho proposto un investigatore con assistente robot, alla maniera Eliah Bailey e R. Daneel Oliwav. Peraltro la mia coppia, Fabrizio e Attilio, non sembra venuta male, dato che tutti i miei beta-reader mi hanno chiesto se scriverò altre loro avventure. E non escludo di farlo In futuro.

Se volessimo provare a immaginare i potenziali lettori dell’antologia, potremmo individuarli sicuramente in queste tre categorie: giovani appassionati di scienza, lettori abituali di fantascienza e scienziati a vario titolo. Riesci a immaginarne altri? Quali lettori ti auguri di avere con questo Speciale Urania? 

Domanda difficile! Nella scelta degli autori ho cercato di fornire al pubblico la più grande varietà di stili, in modo da non scontentare nessun tipo di pubblico. Con le precedenti antologie ci sono stati alcuni lettori che mi hanno detto di avere apprezzato le interviste anche più dei racconti. Ecco, spero che questa parte giornalistica, che ho cercato di rendere accessibile anche a chi è digiuno di scienza, possa incuriosire anche chi di solito non frequenta la fantascienza italiana e possa fornirgli un “punto di ingresso” per conoscerla.

Al di là delle polemiche che hanno interessato proprio Urania negli ultimi mesi, qual è a tuo avviso la situazione della fantascienza italiana? Si parla sempre di un possibile salto in avanti, ma poi la sensazione e che “guerre” partigiane, intendo con quest’espressione quelle interne al movimento, la facciano restare sempre nel ghetto in cui alla fine sembra stare… 

Credo di avere un punto di vista privilegiato, essendo stato giurato del premio Urania per decenni, e a mio avviso la professionalità degli autori italiani in questi anni è cresciuta tantissimo. Purtroppo  però questo non si riflette in una crescita del genere nel suo insieme, perché questo è frammentato in una serie di nicchie che non comunicano tra loro. Io sono rimasto molto perplesso sentendo dire “Non ha importanza se Urania pubblica italiani o no, perché tanto la vera fantascienza sta altrove”. Mi pare un giudizio miope, perché Urania, anche con le tirature ridotte di oggi, fa comunque numeri enormi rispetto a qualunque piccola casa editrice. In un sistema editoriale sano piccola e grande editoria coesistono e sono permeabili tra loro. Occorre spezzare queste barriere.

Nella sua introduzione a Tecnologie del futuro, Franco Forte mi riconosce “la capacità di navigare con piglio sicuro nelle tumultuose acque della fantascienza nazionale, aggregando e riuscendo a coinvolgere anche quei focolai di ostilità con cui non è facile rapportarsi”. Un complimento che mi ha fatto molto piacere: spero, nel mio piccolo, di aver contribuito a spezzare qualche barriera.

Il fiore all’occhiello di queste antologie italiane è l’illustrazione di copertina di Franco Brambilla. In questo caso, hai avuto modo di interagire con lui, con dei suggerimenti, o ti sei affidato alla sua innegabile creatività? 

Franco è un amico, e per ciascuna antologia (ha illustrato anche quelle pubblicate con Delos Digital) ci siamo sentiti e gli ho fornito, su sua richiesta, alcuni spunti. In questo caso, visto che la robotica è uno dei filoni principali della ricerca dell’IIT, e anche quello più riconoscibile, ho pensato che sarebbe stato appropriato avere dei robot in copertina, e ho suggerito a Franco di usare i robot descritti in vari racconti dell’antologia. Gli avevo anche proposto di metterli tutti insieme, e in una delle versioni che ha creato lo aveva anche fatto, ma poi è stata preferita la versione ispirata dal racconto Wandercity di Kremo, in cui ci sono case e città che si spostano su enormi zampe robotiche. A me piace molto, mi pare che renda molto bene l’idea di una tecnologia che trasfigura una realtà altrimenti familiare.