La notte tra il sei e il sette febbraio del 2024 ci ha lasciato a 77 anni Alfredo Castelli, il papà di Martin Mystère (e non solo). Nonostante le sue precarie condizioni di salute, non ha mai fermato il suo lavoro: completare ricerche e scrivere articoli. La sua morte è rimbalzata online ovunque nella rete mentre veniva quasi snobbato dalla maggioranza dei telegiornali della nazione, inflazionati da notizie riguardanti le crisi internazionali e nazionali, compreso l’immarcescibile festival della canzone nostrana.

Per scrivere un ricordo di un personaggio della sua mole, nella storia del fumetto italiano, quantomeno degno, dovremmo realizzare una piccola (e neanche tanto in verità) enciclopedia, cosa che trascende dal nostro compito. Quel che si potrà fare sarà cercare di ripercorrere in maniera incompleta la sua vita, con qualche approfondimento volutamente non esaustivo.

Il bambino che non poteva leggere fumetti

Storico conoscitore del fumetto a livello mondiale, Castelli da piccolo doveva leggere le strisce di nascosto a casa di parenti amici a causa di un sacrale divieto imposto dai genitori. La mamma, maestra elementare, aveva già insegnato al piccolo Alfredo a leggere e scrivere, ben prima di andare a scuola. Alfredo doveva appagare la sua innata curiosità divorando libri e riviste che gli cadevano a tiro. Presto i suoi occhi si posarono sulle strisce del Corriere dei Piccoli. Una diffusa convinzione sociale però vuole i fumetti come mezzo deleterio per la crescita sana dei pargoli e i genitori di Alfredo impediscono l’ingresso di qualsiasi striscia disegnata. Doveva nascondere i suoi albi a fumetti, per non incorrere in punizioni e distruzione degli stessi. Una provvidenziale quarantena sancirà la definitiva caduta del veto. Un giorno, tornato a casa da scuola febbricitante, si accasciò sul letto senza forze. Addormentatosi, lascia in bella vista un gruppo di fantomatici giornaletti. La diagnosi del medico sarà scarlattina e Alfredo si dovrà apprestare a una lunga quarantena. La mamma mossa a pietà chiude un occhio sulla presenza delle riviste, sdoganando poi l’ingresso delle stesse in casa Castelli.

Al contempo, oltre al solo divorare i fantomatici giornaletti la fervida mente del giovane Alfredo comincia a rielaborare, buttando giù anche qualche schizzo.

Incontra Luciano Secchi, autore di Kriminal e direttore dell’editoriale Corno, ancora lontano dall’assumere lo pseudonimo di Max Bunker. Il potenziale delle sue tavole comincia ad essere notato e Secchi suggerisce di lasciare perdere il tratto realistico per abbracciare quello umoristico. Nasce SuperDan, parodia neanche troppo originale per stessa ammissione di Castelli, con lo stile grafico palesemente ispirato a quello di Giorgio Rebuffi (Cucciolo e Beppe, Tiramolla). Anche all’interno dei pochi numeri realizzati come portfolio da mostrare agli editori compaiono citazioni varie e incontri con personaggi della cultura dell’epoca come la sfida tra SuperDan e il conduttore di programmi per ragazzi Febo Conti (li rinominato Fobo Canta). Rimarrà un esperimento felice di cui Alfredo ha sempre parlato con piacere, ma ancora non un lavoro professionale (ossia retribuito).

Nel 2025, per lui sarebbero scoccati i sessant’anni di attività ufficiale cominciati sulle pagine di Diabolik – il Re del Terrore. Non scrisse subito della creatura delle sorelle Giussani (sarebbe comunque avvenuto in seguito), ma propose in appendice un personaggio: Scheletrino questo il titolo della sua piccola striscia ironica, creata sullo stile dei personaggi della rivista americana MAD. Si tratta di uno sfortunatissimo ladro mascherato a cui, a differenza del blasonato collega che lo ospitava nella sua rivista, tutto va male. Partito per fare il verso a tutto il fumetto nero dell’epoca diverrà, nel suo lustro di vita, veicolo di satira dei fatti sociali del nostro paese e un meta-fumetto dove il suo protagonista, anni prima dei personaggi di Attilio Micheluzzi e del marvelliano Deadpool, presa coscienza di vivere nella sua gabbia di carta, chiacchiera con i suoi lettori e prende in giro i suoi redattori.

Il tunnel sotto il mondo

Alfredo era solito frequentare sin dai primi anni il Festival internazionale del film di fantascienza di Trieste, nato nel 1963 da un’idea della sua amica Flavia Paulon, critica, scrittrice e sceneggiatrice che tra l’altro sarebbe stata per anni la biografa ufficiale della Mostra del cinema di Venezia. Oltre la Paulon, numerosi erano gli habitué della manifestazione che Castelli conosceva bene tra cui un certo Luigi Cozzi, fondatore nel 1962 di Futuria Fantasia prima fanzine italiana di fantascienza. Luigi chiese ad Alfredo di tirare giù una sceneggiatura basata su un romanzo di Frederick Pohl (I mercanti dello spazio, Pompei 2079). Il romanzo scelto è Il tunnel sotto il mondo: tutti gli abitanti di una cittadina, scomparsi a causa di un incidente, vengono fatti “resuscitati” all’interno di minuscoli corpi cibernetici in uno scenario miniaturizzato; lì, senza rendersene conto, rivivono sempre la medesima giornata come cavie di sperimentazioni pubblicitarie. La critica alla civiltà dei consumi alla base del libro viene tralasciata nella sceneggiatura. Nel film vi sarà la ripetizione sempre della stessa giornata della vita di una persona, dal momento in cui si sveglia nell’immaginario giorno del 32 luglio (anche se nel film è un giorno palesemente invernale anche per la presenza di alcuni Babbo Natale), fino al suo assassinio ad opera di un cecchino. Di volta in volta però particolari donano alla vicenda connotati fantascientifici, filosofici e metafisici.

A causa del ritararsi di un finanziatore, come racconta lo stesso Castelli in un’intervista, per non perdere tutto il lavoro fino a quel momento fatto e ancor di più poiché era l’unico a quell’epoca a lavorare, si prenderà anche l’onere di far da produttore. Scherzando, ha rivelato Castelli in seguito che furono capaci di rendere quel film uno dei più noiosi della storia.

Presentato all’edizione del festival del 1969 il film ebbe una pessima accoglienza da parte del pubblico, mentre la critica non gli perdonò un certo intellettualismo sessantottino; come per altre pellicole è quel che basta per farle diventare dei piccoli cult riscoperti poi. A seguito di questa pellicola Cozzi comincerà a collaborare con Dario Argento al soggetto di 4 mosche di velluto grigio, continuando una splendida carriera fino ai giorni nostri, ma questa è un'altra storia.

L’omino bufo e gli Aristocratici.

Nel 1966, Castelli fonda Comics Club 104, riconosciuta come la prima fanzine Italiana sulle strisce disegnate, mentre comincia a collaborare con una serie di storiche riviste di settore: Tilt, Eureka, Horror, Il Giornalino e Il Corriere dei Ragazzi; è su quest’ultima che vedranno la luce due sue famose e diversissime creature.

Sui disegni di Ferdinando Tacconi dà vita a Gli Aristocratici, un team di elegantissimi ladri gentiluomini che si pongono come moderni Robin Hood: con colpi impossibili sottraggono tesori il cui ricavato viene dato in beneficenza (stornando un modesto dieci per cento per le spese). Tradotti in una dozzina di lingue, a volte faranno capolino in altre opere Castelliane, anche se la loro vita editoriale ufficialmente terminerà nel 1977. A causa di un errore tecnico vi è uno spazio vuoto nell’impaginato del Corriere, e Alfredo ci scarabocchia l’Omino Bufo, un personaggio che ha i lineamenti grezzi e parla in maniera sgrammaticata, progenitore di tutti una serie di fumetti “mal disegnati”.

Durante la direzione della rivista Eureka nei primi anni 80, la terza rivista a fumetti a essere creata in Italia dopo Linus e Sgt. Kirk, un grosso contributo in termini di articoli (che lo stesso scrive e firma con lo pseudonimo Ronin) e serie viene portato alla fantascienza. Un intero numero (il 248) riguarda il futuro con una copertina dedicata a un Lupo Alberto spaziale, contornato da un cerchio rosso stile copertina degli Urania Mondadori. Numerose sono le serie di fantascienza portate sulle sue pagine come lo storico primo arco narrativo di Guerre Stellari di Archie Goodwin e Al Williamson, il post-apocalittico con tinte erotiche Sarvan disegnato da Jordi Bernet, Milady nel 3000 di Magnus. Continua anche la tradizione dei direttori precedenti portando numerosi manga tra cui il Black Jack di Osamu Tezuka.

Questo medico senza licenza delle operazioni impossibili è personaggio molto caro ad Alfredo, tanto da fargli fare un famoso cameo all’interno di Martin Mystère: sarà lui ad impiantare un’arma atlantidea a raggi nel braccio dell’antitesi del protagonista, Serghei Orloff. E visto che abbiamo citato Martin Mystère, non possiamo esimerci da una breve introduzione.

Quel professore in quella casa di Washington Mews

L’aprile del 1982 sarà una data indelebile per la storia culturale del nostro paese: appare nelle edicole il primo numero di Martin Mystère dal titolo Gli Uomini in Nero. Dopo una serie di false partenze, prima disegnato da Paolo Busticchi e chiamato Allan Quatermain (chiaro omaggio al protagonista del romanzo Le miniere di Re Salomone di Henry Rider Haggard), rifiutato da il Giornalino delle edizioni Paoline, avrà una brevissima vita editoriale su Supergulp, rivista che chiuderà nel 1981. Il personaggio migra alla Daim Press (il vecchio nome della Bonelli), dove si pensa a un reboot con una nuova ideazione grafica dovuta a Giancarlo Alessandrini. Inizialmente chiamato Doc Robinson assumerà il titolo definitivo di Martin Mystère.

Martin Jacques Mystère, che condivide lo stesso giorno di nascita, il 26 Giugno, con quello del suo creatore è laureato in antropologia ad Harvard, poi specializzato in archeologia alla Sorbona, in Cibernetica applicata al linguaggio al Mit e in Storia dell’arte a Firenze, città dove ha vissuto per molti anni e dove si è formato culturalmente. Autore di numerosi bestsellers è sempre in giro per il mondo a raccogliere materiale per il suo programma televisivo, “I Misteri di Mystère”. Si occupa di tutti quegli enigmi che la scienza ufficiale non affronta o non ha ancora risolto; siano essi storici e archeologici soprattutto, ma senza tralasciare i poteri extrasensoriali, ectoplasmi, la magia e talvolta incappando in presenze extraterrestri, e per questo soprannominato dai media “Il Detective dell’impossibile”.

Vive al numero 3/a di Washington Mews a Manhattan, una stradina dal sapore antico (che gli appassionati nella nostra realtà, come chi vi scrive, visitano in una sorta di pellegrinaggio), e dove sosta una Ferrari F40 Mondial. Ha sposato nel 1995 la sua storica fidanzata, l’assistente sociale Diana Lombard, donna di qualità uniche tra cui l’innata pazienza con cui sopporta il dottor Mystère. Durante una spedizione nel 1979 tra gli inaccessibili monti Hangaj (Mongolia), il professore riporta con se Java (che in seguito adotterà), un uomo di Neanderthal di una comunità scampata all’estinzione; Java si esprime con il resto del mondo tramite il linguaggio dei segni mentre solo Martin comprende il suo linguaggio gutturale.

Martin Mystère per molti versi non è niente altro che l’alter ego di Alfredo Castelli: un uomo simpaticamente burbero, che non lesina spiegazioni e a cui compete una conoscenza semplicemente sconfinata dello scibile umano. In un’epoca, l’inizio degli anni 80, dove internet è ancora lontano dalla diffusione capillare, i primi personal computer cominciano a entrare in famiglia (Martin ehm Castelli possiede uno dei primi Mac), ma dove il pubblico ha sete di cultura e soprattutto curiosità, anni in cui le speculazioni pseudoscientifiche di Peter Kolosimo e le più disparate teorie prendono piede o vengono riscoperte e durante i quali nascono le trasmissioni Quark e Alla Ricerca dell’Arca. È un’epoca in cui la sete di conoscenza è mista anche a curiosità spesso fantastica e dove le ipotesi sono ancora lontane da diventare fake news. La divulgazione mista a una buona dose di ironia con un poco di comicità sono gli ingredienti vincenti di Martin Mystère, primo fumetto ponte tra una certa serialità tipica del dopoguerra e le opere d’autore. In ogni albo è presente, curato quasi sempre dallo stesso Castelli, un notevole apparato editoriale, dove è lo stesso BZVM (Buon vecchio zio Marty, come si fa chiamare nella serie il protagonista), con precisione ma senza mai annoiare, ad approfondire le tematiche trattate, invitando anche a migrare sulle varie fonti. Oggi è molto più semplice reperire un certo tipo di informazioni tramite il web, ma a quel tempo non era assolutamente semplice e ci si rende conto che il lavoro di approfondimento di Alfredo per ogni numero era lodevole. Una parte di queste informazioni saranno alla base dei volumetti che ogni anno erano allegati con lo speciale estivo e poi del Dizionario dei Mysteri, piccola Bibbia dell’argomento uscita a metà degli anni 90.

Oltre il Detective dell’impossibile: la Straordinaria invenzione di Al Levin e altro

Il lavoro di Castelli fatto come divulgatore è parallelo e a volte concatenato a quello di autore. Durante la stesura della citata Comics Club 104, nello stilare le schede sul fumetto americano, deve lavorare alle pubblicazioni di Topolino degli anni 40. Tutto si sapeva del decennio precedente e del lavoro di Floyd Gottfredson (Topolino e il mistero dell’uomo nuvola), mentre non si sapeva a chi avesse dato il cambio nel decennio successivo. Lo stile grafico del personaggio era completamente diverso, e vi sono eventi fondamentali come la nascita del personaggio Eta Beta. Nessuna risposta dalle lettere inviate alla Disney e non esistendo all’epoca una letteratura specifica in Italia che possa colmare questo dubbio. Non può lasciare la scheda vuota, e assegna la paternità delle storie di quel periodo al fantomatico Al Lewin. L’operazione non passa inosservata e il nome Al Lewin (o Levin) comincia ad apparire su testi e riviste, ed ancora oggi si ritrova sulle varie enciclopedie. Dagli Stati Uniti una missiva fa luce sull’errore: Mike Barrier, direttore e della rivista Funnyworld, chiarisce che non vi è stato nessun nuovo autore, anche negli anni ‘40 alle matite c’è sempre Gottfredson, con nuovo stile per adeguarsi ai cambiamenti grafici nell’azienda compresi quelli dell’animazione.

La rettifica arriva nel 1968, non sulla fanzine che visto il termine al quinto numero nel 1967, bensì sulla rivista Eureka. L’idea di Al Levin si era però talmente radicata che perfino in una dichiarazione ufficiale della Walt Disney negli anni ‘70, in risposta a una precisa domanda, si affermava che non era possibile escludere che Al Levin avesse negli anni ‘40 lavorato da loro.

Eccoci ancora qui è un’opera che vede la pubblicazione nel 2006 e che raccoglie il lavoro di anni sul fumetto americano del diciannovesimo secolo. Una prima edizione del 1996 raccoglieva già 700 schede monografiche di opere che retrodatavano la nascita delle strip a decine di anni prima della nascita di Yellow Kid, ritenuto da molti il primo fumetto ufficiale della storia. Dopo dieci anni, nella versione ampliata, anche con l’aiuto dello storico americano Allan Holtz, le schede censite arrivano a 1800. Visto che già nel 1880 i quotidiani americani erano circa 11500, l’opera sarà incompleta, ma la più esaustiva esistente sull’argomento, riconosciuta a livello mondiale e amata sia dagli appassionati che dagli addetti ai lavori come ad esempio da Eddie “From Hell” Campbell.

Senza sosta di potrebbe parlare della vita e le opere di Alfredo Castelli (come se poi fossero in qualche modo distinte), ma per anni potremmo non fermarci, e forse cosi sarà.

Parleremo per sempre di Alfredo Castelli e del suo lascito, cosi come fatto per Will Eisner, Osamu Tezuka e Héctor Oesterheld, e chissà che non siano seduti insieme in qualche posto al di là delle nuvole a disquisire della nona arte.