Ci occupiamo questa volta di un film sperimentale e molto particolare che presenta – lo diciamo subito – non poche difficoltà interpretative.

Si tratta di Il tunnel sotto il mondo (1969), opera prima di Luigi Cozzi, tratto dall’omonimo racconto di Frederik Pohl del 1955 e pubblicato in Italia su Urania “Le Antologie” nel 1979.

Luigi Cozzi (nato a Busto Arsizio nel 1947) è conosciuto anche con il nome d’arte di Lewis Coates è una figura molto nota nel mondo della fantascienza italiana che è stata il suo primo interesse giovanile.

Personaggio poliedrico, si occupa di regia e sceneggiatura e contemporaneamente scrive racconti.

Il film attira l’attenzione di Dario Argento che gli fa firmare il soggetto e la sceneggiatura di due famosi film dell’orrore: Il gatto a nove code (1970) e Quattro mosche di velluto grigio (1971).

Dal 2000 si occupa quasi esclusivamente di saggistica cinematografica nel campo dell’horror e della fantascienza.

Ma veniamo al film che è stato presentato al Festival Internazionale del Film di Fantascienza di Trieste del 1969.

Si tratta in realtà della ripetizione di un solo giorno, un fantomatico “32 luglio” (nel film è però una giornata invernale), che ovviamente non esiste nel calendario.

Il protagonista della vicenda deve quindi ripetere all’infinito la stessa giornata, nella stessa città, con le stesse persone. Ad ogni “ripetizione” la trama si arricchisce di nuove vicende, cioè si fa più completa la narrazione della vicenda.

La durata del film è di 79 minuti e il soggetto e il montaggio sono dello stesso Luigi Cozzi su racconto – come detto – di F. Pohl con sceneggiatura di Alfredo Castelli – anche produttore – e Tito Monego.

Abbiamo detto che si tratta di un film particolare e assolutamente sperimentale.

Infatti cercando la trama sul web o sui libri rimarreste insoddisfatti perché non c’è niente di strutturato per un motivo semplice: nessuno ha capito bene cosa accade nel film e per questo parlarne è una sfida complessa dove il lavoro di interpretazione è preminente.

Intanto si può dire che il racconto di Pohl tratta di altro e cioè di una intera città scomparsa in cui la coscienza degli abitanti viene installata su Robot, una tematica Transumanista chiamata mind-uploading. Il tutto, nel racconto, è un esperimento pubblicitario sulla civiltà dei consumi.

Nel film di Cozzi, invece, c’è semplicemente una scena che si ripete all’infinito e cioè un uomo biondo, molto elegante, con barba e i capelli lunghi che il 32 luglio alle ore 12.35, in giacca e cravatta, sale sul campanile di una Chiesa prende la mira e colpisce con un fucile di precisione un altro uomo, che ha appena comprato qualcosa da mangiare da un venditore ambulante e che stramazza al suolo.

L’azione si svolge nel periodo invernale.

Subito dopo l’uomo colpito si risveglia nel suo letto. La moglie lo chiama dicendo “Bruno è ora” e poi si vede lui che con un motorino va a lavorare nel traffico cittadino (si tratta di una Milano invernale).

Su questa scena base poi si aggiungono altre storie che vengono raccontate per aggiunte progressive.

Nella seconda ripetizione della giornata, ad esempio, c’è un uomo vestito da Babbo Natale con la barba finta calata che dice “Ho fatto solo il mio lavoro. Basta”. Segue una intervista data ad una giornalista fuori campo su come passare il Natale.

Nelle scene domestiche è presente, in evidenza, il quotidiano Il Giorno di Milano.

Poi di nuovo un pezzo di intervista con una voce femminile fuori campo che dice: “Perché mi ha picchiato?” e Bruno risponde: “Scherza? Io non picchio nessuno”.

Poi un dialogo con la moglie che vuole fare l’amore ma il protagonista no e rimanda tutto al “sabato sera” perché “domani devo svegliarmi presto”.

Nuova giornata e nuova ripetizione della scena dell’omicidio dal campanile.

Nuova intervista in cui Bruno dice che di lavoro seleziona aspiranti per un “lavoro”. Esamina la gente. Si scopre poi che seleziona ragazze per “andare a letto con i clienti importanti”. Seguono disegni da fumetto di scene erotiche. Alla fine una ragazza accetta “per il bene della ditta”. La ragazza lo invita a cena da lei che vive con il padre, ex deputato. Bruno, dopo cena, cede alle avances e va a letto con lei. Si risveglia da solo e una voce narrante gli dice “hai appena chiamato tua moglie per scusarti ed hai scoperto che sei appena uscito di casa” mentre viene mostrato lui dal giornalaio.

La voce in sottofondo commenta “per tutta una lunga giornata d’autunno hai camminato da solo a piedi per uno scorcio di una città che non conoscevi fino a ritrovarti dove finisce il mondo e ricominciano i sogni”. Bruno fugge nella neve inseguito da due Babbi Natale che vogliono ucciderlo ma alla fine un terzo uomo ucciderà loro. Segue l’incontro con una ragazza bionda, Isabel, “scesa dai petali delle stelle”. Poi è la volta del racconto di una Terra dominata da donne con i pochi maschi superstiti che “si nascondevano tra i boschi” e l’abbandono da parte di Isabel.

Nella seconda parte, ritmata dal suono dell’organo, si parla di “tempo”, del suo “odore” e della sua fondamentale presenza. Compare in riva al mare un enigmatico “uomo di Marte”.

E’ a questo punto che prorompe anche una componente metafisica con un computer, il “calcolatore P10” che studia l’ “essenza di Dio” per poterlo prevedere nei suoi comportamenti e preservare quindi l’umanità dalla fine.

P10 è stato creato dalla razza umana per proteggerla.

Delle entità immateriali – che però uccidono gli uomini per bere il loro sangue – dichiarano fuori campo “ e così noi assumemmo l’aspetto delle folgori e del fuoco azzurro”.

Nello strano finale c’è un eremita, un “falso messia”, David (nome biblico), che vive in una foresta nebbiosa e che cede all’esperienza del sesso ma viene ucciso – insieme alla donna – dallo stesso assassino iniziale che però questa volta è vestito da soldato nazista e fa il saluto hitleriano.

Si sente una voce che dice: “Per quanto si possa essere apostati nella mente nella carne si diventa necessariamente apostoli”.

Il film si chiude naturalmente con una nuova ripetizione della giornata del 32 luglio, iniziando dall’assassinio, con una suggestiva sinfonia d’organo in sottofondo.

È in effetti molto difficile fare un raffronto con il racconto di Pohl con cui il contatto appare solamente ideale e non concreto sebbene sia stato lo stesso Cozzi a dichiarare di ispirarsi ad esso.

L’eremita di stampo nietzschiano pare avere a che fare con la metafisica gnostica e cioè quella dei veri “creatori del mondo” che –come dice l’eremita- almeno un risultato l’hanno ottenuto e cioè separare il tempo dallo spazio. La donna dice che “il pianeta mercurio canta come un bicchiere di cristallo”.

Sono evidenti qui le influenze anche scientifiche perché la Relatività generale di Einstein ci dice proprio il contrario e cioè che spazio e tempo costituiscono un unicum a meno di non intendere la Terra, il nostro pianeta, come luogo di proiezione di un tempo e di uno spazio separati.

In ogni caso il vero protagonista del film è il “tempo” che infatti è spesso iconicamente presente sotto forma di orologi

Il film appare alla maggioranza degli spettatori come un guazzabuglio in cui non si capiscono gli elementi portanti, ma occorre appunto rifarsi all’epoca in cui uscì e alla concezione sperimentale e a basso costo che l’opera aveva.

Lo stesso Alfredo Castelli, il creatore di Martyn Mistere nel 2000 ci regala un ironico e divertente mea culpa dal titolo La vergogna che viene dal passato in cui cerca di rimediare al supposto danno fatto.

Lo si può trovare a questo link:

https://www.fucinemute.it/2000/11/la-vergogna-che-viene-dal-passato/

Il film è stato accusato dai critici di eccessivo intellettualismo sessantottino, ma comunque resta un’opera con cui confrontarsi.

Il piacere non è dato dalla linearità della vicenda ma, al contrario, dalla quasi incompressibilità della stessa che costringe lo spettatore e il critico ad un intenso lavoro di interpretazione mentale che qualche frutto lo dà, almeno come soddisfazione di aver contribuito alla soluzione di un complesso puzzle una specie di puzzle cibernetico.

Un epigono recente del film di Cozzi è Ricomincio da capo (1993) di Harold Ramis con Bill Murray, in inglese “il giorno della marmotta” (Groundhog Day), in cui il protagonista rimane incastrato in un loop temporale che lo porta a rivivere sempre lo stesso giorno.