Arriva sugli schermi italiani la seconda parte di Dune, il film di Denis Villeneuve, nuova trasposizione cinematografica del romanzo di Frank Herbert, dopo quella del 1984 di David Lynch. Un film già osannato dalla critica americana e che si appresta a fare un record di incassi al di là e al di qua dell’Oceano. Ma soprattutto, così come era già accaduto nel 2021 con Dune parte prima, la space opera e si riprende la scena mondiale, dimostrando di essere un filone più vivo che mai e che promette di offrire ancora molto, non solo agli appassionati ma anche a chi vuole avvicinarsi alla fantascienza, passando proprio per una sala cinematografica.

Del resto, il romanzo di Herbert si dimostrò già quando uscì sul mercato anglosassone, nel lontano 1965, come un romanzo innovativo e che si distaccava dalla space opera fino ad allora pubblicata. Il suo successo letterario fu notevole all’epoca, per almeno due motivi che ci sembrano i più interessanti. Il primo è che è stata la prima opera di science fiction a travalicare il fossato degli appassionati e a finire nelle mani di chi normalmente non leggeva fantascienza, fino ad arrivare, nel tempo, alla considerevole cifra di venti milioni di copie vendute in tutto il mondo, dato che ne fa ancora oggi il libro di fantascienza più venduto. Il secondo è che il romanzo di Herbert ha alzato il livello di complessità della fantascienza letteraria, mostrando ai lettori, e alla stessa industria editoriale, le potenzialità di un filone narrativo che fino a quel momento era considerato adatto solo ai ragazzi, se non addirittura a lettori ancora più giovani: la space opera.

Certo, Dune non è assimilabile solo alla space opera, ma nel complesso è un romanzo che ne ricalca alcune idee di fondo, esaltandole e rendendole parte di una narrazione epica, costruita anche intorno a tematiche come la religione, l’ecologia, la politica, la guerra.

Il capolavoro dello scrittore americano è ambientato su un pianeta quasi totalmente desertico, Arrakis o come viene soprannominato Dune. L’idea era venuta allo scrittore americano nel corso di un servizio giornalistico che stava realizzando sulla città di Florence, nell’Oregon. Gli abitanti erano alle prese con un serio problema: la sabbia del vicino deserto stava letteralmente seppellendo le strade e i prati della piccola cittadina. Il problema ecologico fu risolto con l’importazione dall’Europa di un’erba, l’ammophila arenaria, che aveva la caratteristica di crescere nel deserto e di innalzarsi fino ad impedire alla sabbia di passare, anche quando cera vento.

Herbert rimane affascinato dalla forza del deserto e da come l’uomo era riuscito a contrastarla, creando un vero e proprio ecosistema. Da qui l’idea di un pianeta quasi totalmente coperto di sabbia.

Tutta l’ecologia del pianeta Dune, infatti, ruota intorno alla sabbia, ma anche all’elemento più prezioso per chi vive nel deserto: l’acqua. Su Dune tutto si misura con l’acqua, dal valore di un animale da soma a quello di un uomo. I Fremen, gli abitanti del deserto, indossano tute distillanti, che raccolgono tutti i liquidi espulsi dal corpo umano, dal sudore all’urina, per essere raccolti in apposite sacche e quando un uomo viene ucciso o muore accidentalmente c’è sempre qualcuno che eredità la sua acqua. Ma non solo. Il sogno dei Fremen è quello di cambiare faccia al pianeta proprio grazie all’acqua, che viene raccolta in enormi vasche, nascoste agli occhi di tutti, negli anfratti rocciosi disseminati nel deserto di Dune.

Il romanzo ha per protagonista il quindicenne Paul della casa nobiliare degli Atreides. Suo padre, il Duca Leto, ha preso possesso di Dune su ordine dell’Imperatore, inimicandosi la casa degli Arkonnen, che ha dominato il pianeta per oltre cento anni e contro cui i Fremen hanno opposto una strenua resistenza. Tra complotti e assassini, gli Arkonnen si riprendono il pianeta e distruggono gli Atreides. Solo la madre e Paul si salvano, rifugiandosi presso i Fremen. Qui, Paul apprende la vita nel deserto e l’importanza che l’acqua riveste nella vita degli uomini e delle donne che vivono continuamente a contatto con la sabbia.

Herbert disegna un grande affresco narrativo con i colori dell’intrigo, del potere, dell’inganno e del tradimento, aggiungendo al classico impianto della space opera le teorie new age e il tema ecologico, scrivendo una saga unica e affascinante, composta originariamente da ben sei romanzi.

Il filone della space opera, termine coniato dallo scrittore Wilson Tucker nel 1941, mutuato dalle definizioni di horse opera, termine che indicava i romanzi western più squisitamente avventurosi, e da soap opera, i radiodrammi mielosi che venivano trasmessi all’epoca. Non a caso, spesso il nucleo di queste storie ruotavano intorno a trame del tipo: “l’eroe di turno viaggia nel cosmo, salva la principessa, affronta epiche battaglie spaziali e nemici che vogliono distruggere la galassia”. Un genere che spesso veniva etichettato come buono per intrattenere i ragazzini e che aveva in Flash Gordon e Buck Rogers i suoi beniamini.

Il tempo e un’attenta storiografia hanno dimostrato che anche quella fantascienza avventurosa, incentrata sui viaggi nello spazio a bordo di immense astronavi, stupefacenti segreti scientifici, armi spaziali dall’incredibile potenza e sulla descrizione di imperi galattici, aveva più di un motivo d’interesse e assolveva, in ogni caso, all’utile funzione di base che anche la fantascienza deve sempre avere, anche oggi: intrattenere il lettore e donargli qualche ora di semplice e salutare svago.

Il punto d’origine di questo filone narrativo lo possiamo individuare nella saga di romanzi Skylark of Space dello scrittore Edward Elmer Smith – famoso con il nome di E. E. “Doc” Smith –, da molti considerato uno dei padri della space opera, il primo dei quali è Skylark 1. L'allodola dello spazio, pubblicato prima a puntate sulla rivista Amazing Stories nel 1928 e poi in volume nel 1948, a cui seguirono altri tre romanzi. A Smith dobbiamo anche un’altra serie, quella denominata dei Lensman, formata da ben sette romanzi, il primo dei quali è stato anch’esso pubblicato a puntate su Amazing Stories nel 1934 e poi in volume nel 1948.

Una variante picaresca la fornisce lo scrittore Ray Cummings con I pirati dello spazio (Brigands of the Moon, 1930), ma sulla scia di Smith, altri autori si cimentano con il filone della space opera. Jack Williamson introdusse la figura del legionario spaziale con i romanzi La legione dello Spazio (The Legione of Space,1934), Quelli della cometa (The Comeeters, 1936) L'enigma del Basilisco (One against the Legion, 1938) e La regina della Legione (The Queen of the Legion, 1983), il cui eroe, non a caso, si chiama John Star, un nome che è tutto un programma.

John Campbell jr. oltre ad essere stato il direttore della rivista Astounding Science-Fiction, una delle più importanti dell’epoca, ha scritto anche una serie di romanzi all’insegna dell’avventura spaziale, tra cui spicca la serie di Aarn Munro, composta dai romanzi I figli di Mu (The Mightiest Machine, 1935), Avventura nell’iperspazio (The Incredible Planet, 1949) e L’atomo infinito (The Infinite Atom, 1949), il cui protagonista e un giovane scienziato.

Edmond Hamilton è stato, a sua volta, uno degli esponenti di punta dell’avventura spaziale, fin dal 1928, con l'uscita di The Crushing Suns, primo racconto del ciclo di Interstellar Patrol, ma soprattutto, nel corso degli anni Quaranta, col ciclo imperniato sul personaggio di Captain Future e con quello dei romanzi de I sovrani delle stelle, ovvero The Star Kings (1949) e Return to the Stars (1970).

Lo scrittore americano Alfred Van Vogt non ha resistito alla tentazione di scrivere la sua epopea avventurosa, regalando ai lettori quel piccolo gioiello che è Crociera nell’infinito (The Voyage of the Space Beagle, 1951). I protagonisti del romanzo sono gli uomini della Space Beagle, una gigantesca astronave, che nel loro viaggio lungo la galassia incontreranno strane creature aliene, il cui unico denominatore comune è l’ostilità nei confronti dell’uomo.

All’inizio degli anni Cinquanta il genere si rinnova e gli scrittori cominciano a delineare mondi narrativi più articolati e che si dilatano nel tempo e nello spazio, come ad esempio Isaac Asimov con il ciclo della Fondazione, composto originariamente solo dai romanzi Cronache della Galassia (Foundation, 1951), Il crollo della Galassia centrale (Foundation and Empire, 1952) e L’altra faccia della spirale (Second Foundation, 1953). Personaggio singolare di questa saga è Hari Seldon, primo e più grande psicostoriografo dell'Impero Galattico, che utilizzando complesse equazioni matematiche, arriva alla conclusione che presto arriverà un periodo di barbarie, stimato in trentamila anni.

La legge dei Vardda (The Starmen, 1952) della scrittrice Leigh Brackett, definita la “Regina della space opera” e famosa anche per le sue numerose storie ambientate su Marte, ci offre una trama che racconta di come l’uomo si sia adattato a resistere all’accelerazione necessaria per intraprendere viaggi interstellari. Di questa straordinaria, e forse sottovalutata autrice, ricordiamo anche altri romanzi importanti come Oltre l'infinito (The Big Jump, 1953), La città proibita (The Long Tomorrow, 1955) e La stella amara (The Ginger Star, 1974), con il personaggio di alcune sue storie marziane Eric John Stark.

Con Uller Uprising (1952) di H. Beam Piper nasce un filone più squisitamente bellico, la cosiddetta space opera militare. La cruenta guerra su un pianeta alieno tra umani e alieni dalle fattezze di gorilla è, infatti, raccontata per la prima volta dal punto di vista di un soldato.

Ancora una guerra, questa volta tra i pianeti interni e quelli esterni della Via Lattea, la nostra galassia, è al centro di Destinazione stelle (The Stars My Destination, 1956) di Alfred Bester, mentre nel ciclo della città volanti di James Blish, si narra di come le città terrestri lascino la Terra, protette da una cupola e spinte da generatori antigravità, per avventurarsi nello spazio.

Fanteria dello spazio (Starship Troopers, 1959) di Robert Heinlein è uno dei capolavori della variante militare e racconta la vita di Johnny Rico, un giovane cadetto dei marines spaziali, impegnato in una sporca guerra contro una razza aliena.

Una presa in giro, ma allo stesso tempo un omaggio, sono i romanzi di Harry Harrison Bill, eroe galattico (Bill, The Galactic Hero, 1965) e Galaxy Rangers (Star Smashers of the Galaxy Rangers, 1973) di Harry Harrison.

Il 1965 è l’anno di Dune, in cui

Negli anni Sessanta e nei successivi Settanta, la space opera approda sul piccolo e sul grande schermo, laddove la narrativa di fantascienza sposta il suo interesse primario verso l’uomo e la società, grazie soprattutto al movimento definito New Wave e, almeno inizialmente, ad un manipolo di autori britannici.

Negli anni Sessanta arrivano serie TV come Star Trek e Lost in Space, nei Settanta Spazio 1999 e Battlestar Galactica, ma è al cinema che la space opera trova una consacrazione mondiale con l’inizio della saga di Star Wars (1977) di George Lucas, che attingendo a un fumetto come Flash Gordon e al romanzo Dune di Herbert, tra le altre fonti d’ispirazione, rende familiare a milioni di spettatori in tutto il mondo questo filone della fantascienza che solo qualche decennio prima era sbeffeggiato dalla stessa industria dell’intrattenimento.

Non mancarono, in quegli anni, romanzi che si richiamavano esplicitamente alla space opera, come Nova (1968) di Samuel Delany, Tau Zero (1970) di Poul Anderson, La strada delle stelle (The Mote in Gods Eyes, 1974) di Larry Niven e Jerry Pournelle, Guerra eterna (The Forever War, 1974) di Joe Haldeman, La porta dell’infinito (Gateway, 1977) di Frederik Pohl e Spedizione Sundiver (1980) di David Brin, primo romanzo del ciclo delle cinque galassie.

Quasi a voler fare una sorta di punto di cosa sia la space opera e come si stia evolvendo, lo scrittore Brian Aldiss cura un’antologia dall’esplicito quanto efficace titolo di Space Opera (Space Odissey, 1974), con racconti che spaziano dalla fine degli anni Venti fino all’inizio degli anni Settanta e con una gran parte degli autori che hanno fatto la storia di questo filone della science fiction.

Sul finire degli anni Settanta, invece, esplose il fenomeno Carolyn Janise Cherryh, scrittrice che è stata definita anche lei come la “Regina della space opera”, grazie al ciclo della “Lega e Confederazione”, di cui segnaliamo il romanzo La lega dei mondi ribelli (Downbelow station, 1981).

Tra gli anni Novanta e Duemila, si può parlare di una vera e propria rinascita del filone spaziale, tant’è che David G. Hartwell e Kathryn Cramer, curatori di antologie sul meglio della fantascienza americana, notano in un articolo apparso sulla fanzine SFRevu, come nel ventennio 1982-2002 il premio Hugo sia stato quasi sempre vinto da un romanzo di space opera.

Ne è un esempio Il gioco di Ender (The Ender's Game, 1985), dell’americano Orson Scott Card, primo della saga di Ender, che vince nel 1986 sia il premio Hugo sia il Nebula, portando la space opera sul campo minato della narrativa per ragazzi, visto che il protagonista dei suoi romanzi è un ragazzino addestrato alla guerra.

Negli anni Novanta, in Gran Bretagna, le opere di un manipolo fra i principali scrittori di fantascienza vengono etichettati come New British Space Opera, tra i quali spicca lo scozzese Iain Banks.

Nel 1986, poi, è la scrittrice americana Lois McMaster Bujold a riportare l’attenzione di critica e lettori sul genere avventura spaziale, con il romanzo L’onore dei Vor (Shards of Honor, 1986). Insieme alla McMaster Bujold, sono Iain Banks e l’americano Dan Simmons, a restituire in chiave moderna tutto il sapore dell’epopea galattica, il primo con il ciclo della Cultura, e il secondo con quello di Hyperion. Così come il britannico Peter F. Hamilton con la saga dell'Alba della notte, formata dai romanzi La crisi della realtà (The Reality Disfunction, 1996), L'alchimista delle stelle (The Neutronium Alchemist, 1997) e Il dio nudo (The Naked God, 2000).

Sul versante più militaresco del genere, invece, si sono attestate due scrittrici: Nancy Kress ed Elizabeth Moon. La prima, con il ciclo delle Porte sull’Infinito, che comprende Porta sullo spazio (Probability Space, 2002), Porta per l’infinito (Probability Moon, 2000) e Porta per il sole (Probability Sun, 2001). Ad Elizabeth Moon, si deve, invece, la Saga dell’Eroina dello spazio, in cui si raccontano i primi passi della carriera militare di Esmay Suiza: Eroe della Galassia (Once a hero, 1997), Ponte di comando (Rules of engagement, 1998), Cambio al comando (Change Of Command, 1999) e Contro ogni nemico (Against the Odds, 2000).

Non possiamo non citare, almeno, altre saghe composte da uno svariato numero di opere, come la saga dell’Impero Skoliano di Catherine Asaro (dal 1995), il Ciclo dell'Età dell'oro (dal 2001) di John C. Wright, la trilogia Dread Empire's Fall di Walter Jon Williams dal 2002, la Serie di Eschaton (dal 2006) di Charles Stross, la serie The Expanse (dal 2011) di James S. A. Corey, pseudonimo di Daniel Abraham e Ty Franck, la trilogia di romanzi dell’Impero del Radch (dal 2013) di Ann Leckie e la serie The Interdependency (dal 2017) di John Scalzi.

Nel 2000 irrompe sulla scena della space opera lo scrittore Alastair Reynolds, che in questo momento può esserne considerato il maggior esponente, con il ciclo della Rivelazione che comprende romanzi, racconti e romanzi brevi, tra cui ricordiamo Rivelazione (Revelation Space, 2000), La città del cratere (Chasm City, 2001), Redemption Ark (2002), Absolution Gap (2003), Il Prefetto (The Prefect, 2007) e I fuochi di Elysium (Elysium fire, 2018). Si tratta di un grande affresco, in cui in un prossimo futuro l’umanità è sparsa nell’universo, ma l’universo stesso è stato abitato in passato da varie razze, alcune estinte e altre che hanno lasciato tracce della loro esistenza. Si tratta di una space opera, o per meglio dire una New Space Opera, ossia romanzi che usano l’armamentario classico di questo filone della science fiction innestandola, però, con la nuova sensibilità della fantascienza cyberpunk e posthuman e con la hard science fiction.

Nel 2007, escono due antologie che consacrano per l’appunto la New Space Opera: The New Space Opera curata da Gardner Dozois e Jonathan Strahan (sempre con gli stessi curatori, nel 2009 uscirà un seguito dal titolo The New Space Opera 2) e The Space Opera Renaissance a cura di Kathryn Cramer e David G. Hartwell.

Dopo l’uscita dei due film di Villeneuve, non ci meraviglieremmo di un ritorno anche della narrativa di fantascienza al filone della space opera. Nel segno di Paul Atreides, ovviaemnte.