Critico e storico dell’arte, Michele Loffredo si è laureato all’Università degli Studi di Napoli in Storia dell’Arte e specializzato all’Università di Siena in Arte Contemporanea. Ha frequentato il fandom negli anni del boom della fantascienza, allontanandosene poi, ma restando sempre con lo sguardo aperto sull’immaginario visivo e artistico legato alla science fiction. È stato direttore del Museo di Casa Vasari e del Museo nazionale d’arte medievale e moderna di Arezzo. Negli ultimi anni si è riavvicinato al mondo della fantascienza, collaborando con alcune riviste e pubblicando Le meraviglie del futuro. Arte e illustrazione italiana di fantascienza dal Settecento all’intelligenza artificiale, opera divisa in quattro volumi che è una vera e propria storia ed enciclopedia dell’illustrazione fantastica italiana. Grazie all'etichetta indipendente FaseHobArt, ha appena varato una collana denominata Maestri dell'arte fantastica e di fantascienza, le cui prime monografie sono dedicate a Victor Togliani e Roberto Bonadimani. Ne parliamo in quest’intervista, in cui Loffredo ci racconta anche il ruolo dell’illustrazione di copertina e come hanno influito le nuove tecnologie digitali e l’IA sul mercato dell’illustrazione fantastica.
Sono appena usciti due volumi di una nuova collana, da te curata per che ha per titolo “Maestri dell’arte fantastica e di fantascienza”. Ci spieghi com’è nato questo progetto editoriale e qual è il suo obiettivo?
Nasce dalla volontà di sensibilizzare all’illustrazione fantastica e di fantascienza e, più in generale, all’arte dell’immaginario, che in Italia godono di poca attenzione, con l’obiettivo di promuoverne gli studi.
I primi due volumi sono dedicati a Victor Togliani e Roberto Bonadimani. Ci racconti cosa contengono i volumi in dettaglio e perché sei partito con questi due artisti?
Un motivo è senz’altro che sono tra i veterani – Togliani 74 anni e Bonadimani 80 – quindi con una carriera alle spalle compiuta e sono forse i meno conosciuti dalle nuove generazioni. Victor Togliani è stato tra i maggiori protagonisti dell’illustrazione di fantascienza a tutto campo. Ha lavorato sia per l’editoria specializzata, tra cui copertine per “Urania”, sia nel campo discografico, per gli album dei Rondò Veneziano o dei Rockets, nel cinema, come gli oggetti di scena di Nirvana di Gabriele Salvatores, nei film di animazione, è stato scenografo di programmi Mediaset, ma soprattutto ha svolto la sua attività nel campo della pubblicità in cui ha dato sempre un tocco fantascientifico. Questa monografia, che raccoglie alcuni tra i suoi migliori lavori, è il suo primo catalogo. Bonadimani invece ha operato in un campo diverso. È autore cult nel fumetto, conosciuto per i suoi lavori fin dalla metà degli anni Settanta. Anche in questo caso nel saggio ho ripercorso oltre cinquant’anni di carriera. Siccome Bonadimani per i fumetti ha lavorato sempre in b/n, per l’occasione ha colorato Eram nel sogno, tra le sue migliori storie e vincitrice del Premio Italia nel 1978. La monografia inoltre raccoglie per la prima volta una trentina di illustrazioni sempre a colori, alcune inedite, altre sparse in pubblicazioni difficilmente reperibili.
I primi due artisti di cui ti sei occupato sono italiani, ma ci saranno anche volumi dedicati a illustratori stranieri? Ci puoi anticipare qualche nome di cui ti occuperai?
Al momento sono in programma gli italiani, Brambilla, Manzieri, Miani, Cremonini, ma non escludo anche stranieri, bisogna vedere che riscontro avrà la collana. Inoltre ci saranno anche monografie su argomenti specifici. La prossima uscita è dedicata alle copertine delle riviste italiane tra gli anni Cinquanta e Sessanta, una sorta di catalogo cartaceo che ancora manca. In questa operazione di recupero, non tutti gli illustratori hanno materiale sufficiente per una monografia, poiché hanno operato marginalmente nel campo della fantascienza. Su alcuni ho scritto dei saggi su riviste specializzate, per Fortunino Matania, Walter Molino, Giorgio De Gaspari, Nevio Zeccara, che intendo poi raccogliere insieme ad altri in un’unica pubblicazione.
Ci spieghi qual è il ruolo di un’illustrazione di copertina di un libro di narrativa di fantascienza?
Come sanno bene gli editori, in mancanza di altre informazioni, la copertina fa vendere il libro. La bellezza attrae. L’illustrazione è comunicazione. Più di altri media visivi, quali il cinema, il fumetto o i videogiochi, consente una fruizione immediata. Ma non può essere considerata una mera riproduzione a corredo di romanzi, racconti, film e in senso lato a tutto l’immaginario fantascientifico. In quanto raffigurazione creativa e originale, supportata dal proprio linguaggio visivo, essa ha sviluppato una dimensione parallela che si mostra prima, più velocemente e in maniera più diffusiva della parola scritta, basti pensare l’evoluzione dei social media transitati in poco tempo dalla parola all’immagine. Purtroppo vi è un consumo bulimico delle immagini senza una vera consapevolezza “critica”. È importante sapere con cosa nutriamo la nostra mente, così come nel mangiare è fondamentale saper scegliere cosa ingeriamo per una migliore qualità di vita.
Tu sei l’autore anche dell’opera Le meraviglie del futuro. Arte e Illustrazione italiana di fantascienza dal Settecento all'Intelligenza Artificiale, che è divisa in quattro volumi. Com’è nata l’idea di quest’opera?
Verso la seconda metà degli anni Settanta ho partecipato attivamente al fandom, poi me ne sono distaccato, ma ho sempre avuto passione per l’illustrazione, il fumetto e l’arte fantastica e ne ho fatto il motivo dei miei studi. Mi sono laureato all’ateneo napoletano in storia dell’arte con una tesi sull’iconografia del robot, un lungo lavoro di studio delle immagini comparato alla narrativa sulla creatura artificiale, il relatore era Alberto Abruzzese. Poi mi sono specializzato in arte contemporanea all’Università di Siena con una tesi sull’Illustrazione italiana di fantascienza, che è poi stato il nucleo de Le Meraviglie del futuro. Purtroppo per molto tempo non ho potuto mettervi mano, sebbene abbia continuato a fare ricerca. Il mio lavoro “ufficiale” alla Soprintendenza mi ha impegnato nella direzione di musei, restauri e catalogazione di opere d’arte, e così via, mentre come critico d’arte ho curato numerose mostre, tra cui rassegne di pittura fantastica e visionaria, anche in controtendenza rispetto alle ricerche di arte contemporanea orientate al concettuale, arte processuale e sperimentalismi vari. In pensione ho finalmente potuto dedicarmi ad approfondire gli studi sulle figurazioni proposte dalla fantascienza che hanno rappresentato una vera rivoluzione e segnato profondamente l’immaginario della modernità. Portare alla luce artisti e illustratori di cui si stanno perdendo le tracce e tramandarne la memoria per me è affascinante. È più facile che una pala del Trecento arrivi ai nostri pronipoti anziché copertine di riviste popolari dallo scarso valore, ma quello che è importante non è la valutazione estetica bensì conservare il significato delle immagini nel rapporto con le trasformazioni sociali e, nel caso specifico, indagare come si è sviluppata l’immaginazione degli italiani. È stato un lavoro durato diversi anni, con circa 650 immagini e 600 tra artisti e illustratori che in un modo o nell’altro hanno eseguito fantascienza. Credo che il recupero di quella che può apparire una storia artistica minore potrà un domani risultare significativo, più di quanto non appaia ora.
Agli albori era di moda illustrare i romanzi, accompagnarli con disegni e illustrazioni. Una tendenza che oggi è quasi scomparsa, complice il fatto che siamo bombardati da immagini in ogni dove. Quali sono a tuo avviso gli illustratori italiani più importanti nel campo della letteratura fantastica, dal Settecento fino agli inizi del Novecento? E per quali motivi?
È sorprendente vedere che in Italia vi sia stato un repertorio insospettabile di illustrazioni, anche in anticipo sugli analoghi statunitensi. Un esempio in tal senso può essere La macchina del tempo di Wells uscita nella collana “I romanzi d’avventure” nel 1924, con le belle illustrazioni di Alfredo Bea, precedenti a quelle su “Amazing Stories”, in questo caso piuttosto modeste, di Frank R. Paul, considerato il padre dell’illustrazione fantascientifica. Ci sono incisioni settecentesche e litografie ottocentesche misconosciute di autori italiani dedicate ai viaggi sulla Luna. Oggi soffriamo di un pregiudizio secondo cui certe storie e immagini siano prerogativa del presente, invece ci accorgiamo che non abbiamo inventato niente, tutt’al più abbiamo perso la memoria. Se consideriamo gli anni e l’ambito sociale e culturale in cui sono state realizzate, i nostri predecessori non avevano certo meno fantasia e capacità artistiche anche maggiori. Dei nomi italiani sicuramente Fortunino Matania, illustratore del ciclo di Venere di Edgar Rice Burroughs, è tra i migliori sebbene poco conosciuto perché ha trascorso la sua vita a Londra, più noto è invece Yambo, che ha scritto e illustrato tutti le tematiche di quella che va sotto il termine di protofantascienza, ma anche Antonio Rubino, squisito illustratore e fumettista.
Quando si pensa all’illustrazione fantascientifica, la mente dell’appassionato finisce per approdare a Urania e a Karel Thole? Qual è stato, a tuo avviso, l’apporto di Thole per il successo della collana mondadoriana?
Certo non possiamo sapere come sarebbe andata senza Karel Thole, ma di sicuro il suo apporto è stato decisivo per il successo della collana. Thole non è un illustratore come gli altri, è un fuoriclasse. Con lui l’iconografia di fantascienza si emancipa dai luoghi comuni o, piuttosto, diventa materiale di repertorio da riutilizzare in un perturbante gioco di straniamento. Con lui la fantascienza passa dalla raffigurazione descrittiva alla rappresentazione simbolica. Astronavi, mostri extraterrestri, robot e pianeti alieni sono un mezzo per portarci sulla soglia dell’ignoto e lasciarci là, inquieti, a trattenere il fiato. Per fare ciò, e questo è il suo genio, opera una sorta di “volgarizzazione” dei linguaggi colti dell’arte, riconnettendosi e rielaborando la tradizione pittorica, dal surrealismo alla metafisica, dalla pop art all’optical art, riprendendo anche antichi maestri. Le sue copertine, alimentando interrogativi irrisolti e scardinando le nostre comode certezze, aprono universi sconosciuti, nuove dimensioni mentali che è poi il pregio della migliore fantascienza.
Nel secondo volume, ti occupi sia di manifesti cinematografici sia di figurine di fantascienza e anche qui gli italiani sono stati dei Maestri…
Infatti, per abbracciare lo sviluppo complessivo dell’illustrazione ho preso in considerazione oltre l’ambito specialistico, che poi è quello più conosciuto dagli appassionati, anche periodici come “La Domenica del Corriere”, pubblicazioni e collane generaliste dove appariva la fantascienza, quindi anche i manifesti e le figurine che tra gli anni Cinquanta e Settanta hanno conosciuto il massimo splendore. I manifesti cinematografici hanno consentito la grande diffusione della fantascienza a livello popolare e il cinema, avendo più capitali delle modeste riviste dell’epoca, si serviva di più abili pittori tra cui Anselmo Ballester, Silvano Campeggi, Averardo Ciriello, i fratelli Nistri, Sandro Simeoni, Carlantonio Longi, Giovanni di Stefano e tantissimi altri che hanno segnato un’epoca. Con Renato Casaro, morto il 30 settembre 2025, scompare anche l’ultimo grande cartellonista. Le figurine invece sono un settore più ristretto, alcuni album erano riproduzioni di illustratori stranieri o non se ne conosce l’autore, ma tra gli italiani bisogna certamente ricordare Amedeo Gigli e Massimo Jacoponi, illustratori di Oltre il cielo, e il secondo anche dei primi libri della Fanucci.
Una vera e propria rivoluzione è stata il digitale. Com’è cambiata l’illustrazione fantastica nell’epoca moderna?
Con gli strumenti digitali è cambiata la manualità, mi riferisco soprattutto alla materialità dell’azione pittorica, oltre a velocizzare i tempi di esecuzione. Non utilizzare il digitale per gli illustratori significa essere fuori dal mercato editoriale. Se questo ha influito sulla fantasia e sull’immaginazione non credo. La creatività sebbene sia anche legata agli strumenti operativi non penso dipenda da essi, piuttosto dai riferimenti che l’illustratore si dà. Era più difficile immaginare un’astronave un secolo fa che oggi, proprio perché gli attuali illustratori hanno un secolo di repertorio visivo che i nostri antenati non avevano e qui in effetti sorge la difficoltà di immaginare qualcosa di realmente nuovo, solo i migliori riescono a rompere gli schemi.
Non posso non chiederti, ovviamente, dell’Intelligenza Artificiale. Ci sono illustratori che la usano e altri che la combattono. Qual è il tuo pensiero a proposito dell’ingresso di tale tecnologia nel mondo dell’illustrazione fantastica?
Il processo di smaterializzazione della manualità pittorica ha raggiunto il suo apice con l’I.A. Qui non si tratta più di disegnare o dipingere su una tavoletta grafica ma di dare comandi alla macchina. L’abilità manuale sulla quale si erano basati millenni di storia viene meno. Indubbiamente le immagini generate dalla I.A. sono seducenti. Ma si può fare arte semplicemente dettando a un computer cosa deve realizzare? In tal caso bisogna rivedere molti dei concetti che ci hanno accompagnato per secoli. D’altra parte non si può fermare il progresso, se di progresso si tratta, inevitabilmente l’I.A. entrerà potentemente nelle nostre vite. Mi chiedo a chi giovi tutto ciò? A fare lavori migliori, a velocizzare un mercato già pieno, a farci tutti artisti? Certamente ridurrà la categoria degli illustratori, così come altre professioni. Molti illustratori l’hanno rifiutata, negli Stati Uniti è bandita, altri invece affermano che può essere utilizzata come un pennello particolarmente evoluto, una sorta di garzone di bottega a cui far fare le cose più onerose e stancanti e che l’illustratore deve comunque rielaborare l’immagine, dandovi il tocco della propria personalità ma non è chiaro fino a che punto arrivi la macchina e riparta l’uomo. Il rischio è quello di ritrovarci con una mole di raffigurazioni omologate e stucchevoli. Da amante della fantascienza dovrei avere la mente aperta al futuro ma mi ritrovo dubbioso. Mi chiedo solo se questo renderà migliori i nostri “artefatti” o è solo un altro passo verso una civiltà per le macchine dove gli uomini saranno alienati e fuori posto. Ma, come sai, c’è una vasta letteratura in merito. Sono domande ancora aperte.


















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