E finalmente arriva la seconda parte di Dune!

Penso sia un commento abbastanza diffuso, visto che tra peripezie produttive e pandemia sono passati ben tre anni. Abbiamo lasciato Paul Atreides e sua madre Lady Jessica in cammino nel deserto del pianeta Arrakis, meglio conosciuto come Dune, dopo essere scampati alla mattanza della loro casata (gli Atreides) per mano degli Harkonnen (loro nemici giurati), appoggiati dalle truppe speciali dell’Imperatore: i Sardaukar.

In termini di romanzo, le vicende del primo film di Denis Villeneuve abbracciano tutta la prima parte e metà della seconda, questo secondo film procederà nel finire la seconda e la terza.

Se il primo film ci ha introdotto alla grandiosità dell’ambientazione, con un ritmo riflessivo, una colonna sonora ipnotica e una fotografia di grande impatto, la seconda (a detta di regista e interpreti) riserverà più azione e dinamicità nella storia. E non potrebbe essere altrimenti, visto che assisteremo alla riscossa di Paul Atreides, a capo di un esercito micidiale formato dai Fremen (il popolo autoctono di Arrakis) e protetto dalle sue truppe speciali: i Fedaykin.

Austin Butler come Feyd-Rautha in <i>Dune - Parte due</i>
Austin Butler come Feyd-Rautha in Dune - Parte due

Al cast della prima parte, in cu ritroviamo Timothée Chalamet e Zendaya, si aggiungeranno Christopher Walken nel ruolo dell’Imperatore Shaddam Padisha IV e Florence Pugh in quello di sua figlia Principessa Irulan Corrino; Austin Butler sarà Feyd-Rautha Harkonnen nipote del Duca e fratello minore del Bestiale Glossu Rabban Harkonnen, interpretato da Dave Bautista, che stavolta avrà più minutaggio sullo schermo rispetto al risicatissimo quasi cameo di Sting nel film di David Lynch. Ci saranno inoltre Léa Seydoux nel ruolo di Lady Margot Fenring e Souheila Yacoub in quello di Shishakli, questi due personaggi minori (va detto per chi ha letto i romanzi) avranno un ruolo maggiore rispetto a quello letterario per creare il giusto aggancio alla serie in produzione incentrata sul potente ordine delle “suore/genetiste” Bene Gesserit.

Evitando spoiler, ma per dovuta precisione, va detto che manca il nome di una interprete, il cui personaggio sarà un perno della narrazione di questo finale.

Ma il vero protagonista sarà il deserto di Arrakis, quello nel quale vivono i vermi della sabbia che producono la spezia, ovvero quello che rende il pianeta essenziale alla sopravvivenza dell’Impero. È in questo scenario desolato, quello dove vengono formati i veri uomini, come amano dire i Fremen, che Paul Atreides maturerà divenendo Il Messia di Dune.

A questo proposito, Villeneuve (da sempre grande fan del libro, che ha dichiarato di aver spulciato una enorme mole di materiale dell’autore Frank Herbert e di averne intervistato collaboratori e familiari) ha avuto modo di dire: “Quando Frank Herbert scrisse il libro, e poi quando il libro uscì, rimase deluso da come la gente percepiva Paul Atreides. A quel tempo sentiva che la gente parlava di Paul come di un eroe mentre per lui era un antieroe. Era una figura oscura. Il libro era per lui un monito riguardo a una figura messianica. E per questo scopo ha scritto Messia di Dune, cercando di assicurarsi che le persone capissero le sue intenzioni. Io ho avuto il vantaggio di aver letto Messia di Dune, quindi ho scritto la Parte due avendolo bene in mente. Questo è il motivo per cui il personaggio di Chani (interpretato da Zendaya) è leggermente diverso nel mio adattamento rispetto al libro, e mi ha aiutato a portare sullo schermo l'intenzione originale di Frank Herbert.”

Paul Atreides, nel romanzo, è una figura profetizzata a lungo nonché portatore di un potere immenso, quello dello kwisatz haderach (dall’ ebraico, “K'fitzat ha-Derekh” letteralmente, “Il salto della via”, quella facoltà per mezzo del quale un iniziato può percorrere una certa distanza istantaneamente, apparendo in due o più posti a una volta). È, quindi, una delle poche persone con capacità tali da concedergli il potere di rivaleggiare con l'Imperatore e le gilde che reggono le sorti dell’impero. I Fremen progressivamente lo considereranno una figura messianica dopo aver avuto prova delle sue capacità straordinarie anche nel cavalcare i vermi della sabbia. Ma il suo vero scopo è destituire l'Imperatore e smantellare la sua casata e quella degli Harkonnen, per compiere fino in fondo la sua missione di vendetta. Tuttavia, il potere che troverà durante questa impresa, e la conoscenza che acquisirà sulla sua ascendenza, lo distaccheranno progressivamente dal lato “umano” di se stesso portandolo a diventare Altro. Ma una parte interessante è anche quella che riguarda il linguaggio utilizzato da Herbert in alcune terminologie.

Nel costruire storia e personaggi, lo scrittore americano si è molto ispirato alla storia delle origini dell’Islam, in particolar modo quella riguardante la predicazione di Maometto e la prima espansione militare (quella che viene chiamata Jihad, pervertendo purtroppo il significato del termine coranico) tanto da usare l’idioma degli arabi per alcuni termini essenziali nel romanzo.

Il popolo dei Fremen (ovvia la traduzione in Uomini Liberi) deriva da una razza di nomadi galattici chiamati Zensunni (dove si coglie benissimo il riferimento alla religione Zen e ai Sunniti Islamici) e vive nel deserto usando come mezzi di locomozione gli enormi vermi produttori di spezia chiamati Shai-Hulud, altro termine derivato dall’arabo composto da Shai che può essere grossolanamente tradotto con “cosa” e Hulud ugualmente tradotto col significato di “eternità” o “immortalità”. Nella loro cultura i Fremen traducono il termine come “L’antico del deserto” o anche “Vecchio padre dell’eternità”. Sono interessanti anche i termini usati per denominare le due milizie “personali”: quella dell’Imperatore (Sardaukar) che racchiude radici arabe, hindi e persiane, la loro gente proviene dal pianeta Sardau e vota la propria vita al servizio militare per la salvezza dell’impero e dell’imperatore, costituendo una vera razza guerriera come i Sikh.

I Fedaykin che costituiscono la guardia scelta di Paul, hanno un nome chiaramente derivato dai Fedayyn (i fedeli), denominazione presa direttamente dai commando palestinesi delle guerre arabo israeliane degli anni ‘60 (e poi ricomparsi accanto a Saddam Hussein).

Oltre alla fascinazione dell’utilizzo di una lingua come l’arabo e altri idiomi orientali (incluso l’ebraico) è indubbio che questo stratagemma costituisce un ulteriore elemento che facilità l’immersione in un mondo talmente fantasioso da risultare reale, insomma tale da aiutarci a operare la sospensione dell’incredulità.

Questa seconda parte di Dune, dunque, ci offrirà la conclusione della storia, e noi seguiremo le vicende di Paul ovviamente parteggiando per lui e per quello che vuole conseguire, affronteremo rivelazioni importanti, che ci mostreranno come il profeta di Dune, il condottiero dei Fremen, sia qualcosa che non solo sfugge al controllo che le Bene Gesserit avrebbero voluto avere su di lui o ai piani che suo padre e Lady Jessica potevano avere auspicato, ovvero un Messia.

E di come mai una figura messianica nella fantascienza sia spesso legato ad un ecosistema desertico, a qualche strano tipo di concepimento e alle inevitabili prove da superare avremo modo di parlare, magari, se e quando Villeneuve riuscirà a girare il terzo film.