- Il passato: Tron e Tron: Legacy
- Il presente: Tron: Ares
- Bonus: Jared Leto, tra fantascienza, cinecomics e rock visionario
Nel 1982, la Disney era in un momento difficile. Il suo modello produttivo classico era entrato in crisi con l’avvento del cinema blockbuster moderno. In quel contesto, il produttore Donald Kushner e lo sceneggiatore-regista Steven Lisberger presentarono un progetto audace: un film che raccontasse un mondo digitale dall’interno, usando effetti visivi mai tentati prima. Lisberger, già animatore e sperimentatore audiovisivo, sognava di portare sullo schermo l’estetica dei videogiochi e della grafica vettoriale.
Il film fu uno dei primi lungometraggi a usare massicciamente la computer grafica (benché meno del 20% del film ne facesse realmente uso), combinata con rotoscoping, animazione a luce fluorescente, retroilluminazione e fotografia sperimentale. I pionieri degli effetti visivi come Richard Taylor e la società MAGI (Mathematical Applications Group, Inc.) furono fondamentali. Il risultato fu Tron, un film dall’estetica unica e ancora oggi riconoscibile.
Il passato: Tron e Tron: Legacy
Jeff Bridges, già attore di successo, interpretava Kevin Flynn, hacker e game designer intrappolato nel mondo digitale. Bruce Boxleitner era Tron, il programma guerriero protagonista, mentre David Warner interpretava il villain Ed Dillinger/Sark/MCP. Cindy Morgan completava il cast come Lora/Yori, collega di Flynn. La fotografia era affidata a Bruce Logan (Star Wars, 2001: Odissea nello Spazio), che sperimentò con filtri ottici e tecniche inedite. I costumi furono una rivoluzione: aderenti e stilizzati, poi modificati in post-produzione con fluorescenze disegnate frame-by-frame. La colonna sonora fu composta da Wendy Carlos, pioniera della musica elettronica, già celebre per A Clockwork Orange. Carlos combinò sintetizzatori Moog con orchestra tradizionale, creando un sound avveniristico che contribuì al fascino immersivo del film.
Tron fu accolto freddamente dalla critica e incassò meno del previsto (circa 50 milioni su 17 di budget). Ma divenne presto un film di culto, soprattutto tra i fan della tecnologia, dei videogiochi e dell’animazione sperimentale. La sua estetica ispirò generazioni di creatori digitali e gettò le basi per l'animazione CGI moderna. Ironia della sorte, il film non fu candidato all’Oscar per gli effetti speciali perché l’uso del computer fu ritenuto “barare”.
Disney e Bally Midway lanciarono nel 1982 una serie di videogiochi ispirati al film, tra cui: Tron (arcade), un successo da sala giochi con 4 minigiochi, tra cui Light Cycle, I/O Tower e MCP Cone e Discs of TRON (1983), ovvero sfide in ambienti 3D contro nemici lanciando dischi. Trasposto poi su Intellivision, Atari, e successivamente su PC e console.
Il franchise ispirò fumetti Marvel, merchandising, un ride temporaneo nei parchi Disney e numerosi fan film.
Nonostante il culto crescente, la Disney non sviluppò subito un sequel. Negli anni ‘90, Tron divenne una pietra miliare per l’industria dei VFX. Pixar, ILM e DreamWorks riconobbero il suo valore fondativo. Jeff Bridges e Bruce Boxleitner rimasero coinvolti in varie iniziative celebrative. La prima vera svolta arrivò nel 2008, con la presentazione di un concept teaser al Comic-Con di San Diego. Il successo del teaser, mostrato inizialmente come esperimento segreto, convinse la Disney a discutere concretamente la possibilità di un sequel. Dopo anni di impasse nella fase di sviluppo, la Disney rilanciò l’universo Tron sotto la spinta di un rinnovato interesse per i mondi digitali, l'identità virtuale e il design immersivo. All'inizio degli anni Duemila, l'idea di un sequel veniva valutata con scetticismo, ma grazie all’avanzare della CGI e alla crescente influenza della cultura cyberpunk, il progetto prese forma concreta. Arriviamo così al 2010, quando la Walt Disney Pictures lanciò nei cinema di tutto il mondo Tron: Legacy, sequel ambizioso, visivamente spettacolare e sonoramente rivoluzionario. Il ritorno nel “Grid” prometteva non solo una nuova avventura digitale, ma anche un'esplorazione più profonda della fusione tra uomo e tecnologia, tra etica dell'IA e identità postumana. Effettivamente Legacy è stato molto più di un film: è diventato anch’esso, come il primo capitolo della saga, un oggetto di culto, un'opera estetica, una mappa del futuro mediale della Disney. Il budget iniziale di 170 milioni di dollari fu rapidamente gonfiato da ambizioni estetiche e soluzioni tecniche all’avanguardia, tra cui il pionieristico utilizzo del de-aging digitale su Jeff Bridges, all'epoca ancora una tecnologia sperimentale.
Disney affidò il timone all’esordiente Joseph Kosinski, architetto e regista pubblicitario, che propose un’estetica influenzata dal design industriale, dal minimalismo e dall’architettura brutalista. Il suo background si rivelò ideale per progettare un mondo coerente, astratto e allo stesso tempo tangibile. Kosinski impostò il Grid come un ambiente fisico e logico, dove ogni linea luminosa e ogni edificio seguivano uno schema coerente, quasi funzionalista. Il suo lavoro influenzò profondamente l’identità visiva del film, oggi ancora ammirata per pulizia formale e impatto sensoriale. La sceneggiatura fu affidata a Edward Kitsis e Adam Horowitz, noti (ahinoi!) per il loro lavoro sulla serie TV Lost. Il loro script intrecciava miti della creazione con teorie informatiche. Kevin Flynn diventava una sorta di “Dio digitale”, Clu il suo Lucifero informatico, Quorra una nuova Eva sintetica e Sam un messia riluttante del mondo reale. La narrazione, seppur criticata per la sua semplicità, celava numerosi spunti filosofici su IA, identità, perfezione e fallibilità della creazione digitale. Un tema che negli anni successivi sarebbe diventato centrale nell’immaginario fantascientifico contemporaneo.
Il versante degli effetti speciali di Tron: Legacy fu affidato principalmente a Digital Domain, fondata dallo stesso James Cameron. Il film rappresentò uno dei primi utilizzi intensivi di volumetria digitale per ricreare il volto di un attore (Bridges) giovane, creando però reazioni miste per l'effetto. La fotografia fu affidata a Claudio Miranda, collaboratore di lunga data di David Fincher e vincitore dell’Oscar qualche anno dopo per Vita di Pi. La sua scelta di girare in 3D nativo e di giocare con luci al neon, ombre nette e paesaggi digitali immersivi contribuì all'unicità visiva del film. Il design dei veicoli e delle ambientazioni fu invece supervisionato da Daniel Simon, ex designer Bugatti, che diede ai recognizer e alle light cycle un’impronta credibile, elegante e futuristica.
Grande punto di impatto fu la colonna sonora affidata ai Daft Punk, duo francese al culmine della propria fama che per oltre due anni lavorarono con Joseph Trapanese e la London Philharmonic Orchestra, creando un ibrido di musica sinfonica e synth epico. Tanto che la soundtrack, pubblicata su CD, vinile e piattaforme digitali, divenne un successo a sé. Mantenendo Jeff Bridges nel ruolo di Kevin Flynn/Cru il cast si arricchì con Garrett Hedlund nel ruolo di Sam Flynn, figlio/orfano di Kevin, Olivia Wilde (Quorra), programma auto-generato (ISO), personaggio chiave nel ponte tra digitale e reale e Michael Sheen (Castor) che offre un altro dei suoi riusciti antagonisti.
Alla sua uscita, Tron: Legacy ottenne incassi globali per oltre 400 milioni di dollari. La critica, però, si divise. Vennero molto apprezzate l’estetica visiva, la colonna sonora e il design di produzione, ma altrettanto criticati la trama esile (gli sceneggiatori di Lost?!?) e i dialoghi basilari.
Nel tempo, il film ha acquisito lo status di cult movie, soprattutto tra designer, artisti digitali e sviluppatori. La sua estetica ha influenzato videoclip, videogame, come: Tron: Evolution (2010), action prequel su PS3/Xbox 360/PC, che narra l’ascesa di Clu e la caduta di Tron. Non un successo commerciale, ma considerato oggi importante nel canon. Arrivarono poi Tron Run/r (2016), platform futurista con design affilato e soundtrack retro-futurista, Tron: Identity (2023), visual novel investigativa ambientata nel Grid, creata da Bithell Games.
Il film portò alla produzione anche della serie animata Tron: Uprising (2012), ambientata tra Tron e Legacy, che segue le vicende di Beck, un giovane ribelle allenato da Tron. Visivamente straordinaria, fu cancellata dopo una sola stagione ma oggi è considerata una perla dell’animazione sci-fi.
In quel periodo, però, la Disney aveva appena scoperto la gallina dalle uova d’oro del Marvel Cinematic Universe (nel 2010 uscirono Iron Man 2 e Thor) e progetti più “sperimentali” come l’universo Tron, messi sul piatto della bilancia spesa/guadagno, vennero momentaneamente sospesi. Adesso che i cinecomic vacillano Disney ha deciso di proporre il terzo episodio: Tron: Ares.
Il presente: Tron: Ares
Tron: Ares è il nuovo capitolo, o forse rilancio, del franchise di Tron. Concepito come continuazione indiretta di Legacy che mette in scena la collisione tra Grid e mondo reale, utilizzando come protagonista un soldato digitale immortale, Ares (interpretato da Jared Leto). Fin dall’annuncio, Tron: Ares è stato presentato come una svolta: non solo nel senso estetico e narrativo del franchise, ma anche per l’intento dichiarato di “portare il digitale nel mondo reale” in modo più forte rispetto alle storie precedenti.
Le prime tracce di un terzo film Tron risalgono l 2010, subito dopo Legacy, ma il progetto subì numerosi rallentamenti, cambi di strategia e revisioni.
In un primo tempo, Disney aveva contemplato un “soft reboot” con Jared Leto come nuovo protagonista, per differenziarsi dal legame stretto con Legacy. Garth Davis era stato inizialmente proposto accostato alla regia, con Jesse Wigutow al soggetto/sceneggiatura, ma nel gennaio 2023 Davis si è defilato dal progetto e poco dopo è subentrato Joachim Rønning.
Le riprese erano previste inizialmente per agosto 2023, ma gli scioperi della Writers Guild of America e della SAG-AFTRA hanno costretto a posticiparle: la produzione è infine partita a gennaio 2024 a Vancouver e si è conclusa a maggio 2024. La sceneggiatura definitiva è firmata da Jesse Wigutow, basata su una storia scritta da David Digilio e dallo stesso Wigutow. Tra i produttori figura lo stesso Jared Leto
Joachim Rønning – regista norvegese con esperienza in produzioni d’avventura, azione e fantasy – ha dichiarato di voler evitare che Ares risultasse solo “visivamente spettacolare” senza sostanza emotiva. In un’intervista ha affermato che uno dei suoi principali “appunti” su Tron: Legacy è che pur essendo tecnicamente notevole, mancava di una connessione emotiva forte con il pubblico — e che in Ares avrebbe voluto correggere questa lacuna.
Uno degli elementi più interessanti è il casting: accanto ad attori già legati al mito Tron, ci sono nomi nuovi e scelte coraggiose. Jared Leto veste i panni di Ares, un programma digitale altamente sofisticato che viene “trasferito” nel mondo reale con una missione determinante. Jeff Bridges torna nel ruolo di Flynn che aveva interpretato nei film precedenti. Greta Lee è Eve Kim, attuale CEO di Encom, coinvolta nella ricerca del cosiddetto “permanence code” di Flynn. Evan Peters interpreta Julian Dillinger, antagonista legato alla famiglia Dillinger (figlio di Ed Dillinger – tale padre tale figlio e con una mamma interpretata da Gillian Anderson), e responsabile della creazione di Ares.
Il risultato dell’operazione è accettabile, la sceneggiatura parte affidando ai titoli di testa un riassunto parziale dei primi episodi mantenendosi sul vago riguardo la mancanza dei protagonisti di Legacy, quindi l’azione si sposta tra cattivi (Evan Peters), coadiuvati da programmi guerrafondai profilati in rosso e buoni (Greta Lee), che invece producono con la medesima tecnologia alberi da frutto. Il problema centrale è che nessuna di queste creazioni riesce a sopravvivere nel mondo reale per più di 29 minuti e tutti sono alla caccia del Permanence Code che invece permetterebbe prodotti di durata maggiore e quindi più utili. Il resto dell’azione è giocato nella seconda parte con switch tra realtà e Grid, per mostrare la progressiva ribellione del programma malfunzionante (Jared Leto), aiutato nella sua missione da Flynn/Jeff Bridges che compare nella zona “Anni Ottanta” del Grid in panni che somigliano tremendamente ad un Obi Wan fantasma della Forza. Il finale (con scena post credit!) apre (eventualmente) ad un ritorno del “cattivo” Master Control e della “buona” Quorra in un prossimo episodio.
Niente di rivoluzionario, ad essere sinceri, e soprattutto, cinicamente, viene da chiedersi perché un programma dovrebbe voler diventare umano, se ne vale davvero la pena oppure è solo l’illusione di superiorità di noi biologici a farcela raccontare in questo modo.
Quando venne proposto nel 1982 Tron voleva essere un campo di prova per estetiche, linguaggi, tecnologie e miti digitali che ponesse questioni sull’evoluzione del rapporto tra uomo e macchina, tra realtà e simulazione, tra codice e coscienza. A quanto pare il riscontro al botteghino fa piazza pulita di eventuali congetture per nuovi episodi, confermando l’abilita Disney nell’affondare i franchising propri e altrui. Per l’ennesima volta viene da chiedersi: ma cercare qualcosa di originale? Possibile che ormai perfino sui social c’è un gioco a “chi metteresti nel remake di (nome franchising a piacere)?” piuttosto che chiedere nuove idee e nuove storie?
Bonus: Jared Leto, tra fantascienza, cinecomics e rock visionario
Jared Leto è una delle figure più eccentriche e divisive del panorama pop contemporaneo. Attore premio Oscar (Dallas Buyers Club), leader carismatico e voce dei Thirty Seconds to Mars, ha costruito la sua carriera scegliendo ruoli spesso radicali, legati a universi fantastici, distopici o iper-stilizzati. Non a caso, molti dei suoi film più iconici appartengono al territorio della fantascienza e dei cinecomics, due generi che sembrano dialogare direttamente con l’immaginario musicale e visivo della sua band.
Nell’ambito sci-fi, Leto ha dimostrato una predilezione per personaggi enigmatici, spesso sospesi tra il genio e la follia. In Blade Runner 2049 (2017) interpreta Niander Wallace, industriale cieco e demiurgo oscuro, ossessionato dalla creazione di replicanti perfetti. Qui Leto incarna un visionario inquietante, quasi messianico, con una recitazione ipnotica che esalta il suo stile teatrale e “weird”.
In Tron: Ares è il protagonista, un programma digitale che varca la soglia del mondo reale. La scelta è coerente con la sua filmografia: ancora una volta Leto veste i panni di un’entità liminale, sospesa tra tecnologia, spiritualità e identità fluida. Anche in produzioni meno celebrate, come Mr. Nobody (2009), ha esplorato temi legati al multiverso, alle possibilità infinite dell’esistenza e al rapporto tra tempo e memoria. Il film, diventato cult, mostra un Leto trasformista, capace di incarnare diverse versioni dello stesso personaggio lungo linee temporali alternative.
Nel mondo dei fumetti portati sul grande schermo, Leto ha privilegiato figure borderline, più legate all’ambiguità che all’eroismo classico:
Il suo Joker in Suicide Squad (2016) resta tra i ruoli più discussi della sua carriera. Anziché ripercorrere la follia anarchica di Heath Ledger o il clown sociopatico di Nicholson, Leto propone un Joker gangster, iper-estetizzato, con tatuaggi e atteggiamenti da rockstar decadente. L’interpretazione è stata divisiva: molti l’hanno trovata forzata, altri ne hanno apprezzato la radicalità.
In Morbius (2022) ha interpretato il controverso antieroe Marvel, un medico malato che si trasforma in vampiro a seguito di un esperimento. Qui il corpo e la metamorfosi tornano a essere al centro della sua recitazione, in un mix di dramma fisico e sovrannaturale.
Il filo conduttore è evidente: Leto predilige personaggi “al limite”, che sfidano le convenzioni del bene e del male, e che spesso incarnano la fascinazione per l’alterità. Parte del fascino (e delle critiche) che accompagnano Jared Leto risiede nella sua attitudine weird, che emerge sia nella vita pubblica che nei ruoli scelti. La sua recitazione è spesso teatrale, con pause lunghe, movimenti rituali, un uso quasi performativo del corpo. A volte questa intensità sfocia nell’eccesso, come testimoniano le storie dal set di Suicide Squad, in cui avrebbe inviato ai colleghi regali bizzarri per “rimanere nel personaggio”. Questa stranezza non è fine a se stessa, ma sembra parte di una ricerca di identità mutevole, specchio dei mondi che interpreta: artificiali, distorti, visionari.
La connessione con i Thirty Seconds to Mars, band fondata da Jared e suo fratello Shannon, è evidente. I videoclip del gruppo sono spesso veri e propri cortometraggi fantascientifici.
In From Yesterday il gruppo appare in un set che mescola fantascienza e oriente medievale, con estetica quasi cinematografica, Kings and Queens mostra cavalcate notturne a Los Angeles con un’aura apocalittica. Hurricane è un cortometraggio di 13 minuti con forti toni distopici, intriso di simbolismo oscuro, maschere e figure borderline.
Musicalmente, la band alterna rock melodico a atmosfere elettroniche e sinfoniche, con testi che parlano di trascendenza, battaglie interiori, mondi paralleli. È lo stesso tipo di sensibilità che Leto porta nei suoi personaggi: un gusto per l’epico, il visionario e il perturbante.
Guardando all’insieme, emerge un tratto coerente: Jared Leto non interpreta semplicemente ruoli, ma costruisce universi. Che si tratti del Joker, di un industriale cyberpunk, di un vampiro o di un programma digitale, egli porta sempre in scena la stessa tensione verso l’altro, l’oltre, il “non umano”.
I suoi film di fantascienza e i cinecomics non sono quindi incidenti di percorso, ma espressioni della stessa poetica che ritroviamo nella musica dei Thirty Seconds to Mars: un’arte che cerca costantemente il confine tra realtà e mito, carne e macchina, palco e universo.
La critica cinematografica ha sempre avuto un rapporto complesso con Jared Leto.
In ruoli drammatici come Requiem for a Dream o Dallas Buyers Club ha ottenuto consensi quasi unanimi, grazie alla sua capacità di trasformarsi fisicamente e di incarnare fragilità estreme.
Nel campo della fantascienza e dei cinecomics, invece, le reazioni sono più contrastanti:
In Blade Runner 2049, molti hanno apprezzato la sua presenza scenica magnetica e quasi “sacerdotale”, ma altri hanno visto in Wallace un personaggio più estetico che narrativamente incisivo. Il suo Joker ha diviso profondamente: per alcuni era un’interpretazione coraggiosa e destabilizzante, per altri un esercizio di stile fuori fuoco. Morbius è stato accolto in gran parte negativamente, con accuse di “camp serioso” e di eccesso di drammaticità in un film narrativamente debole sebbene diversi critici abbiano riconosciuto che Leto ci credesse fino in fondo, con un approccio totalizzante.
Il buon Jared, fino ad ora, ha suggellato con la sua presenza la fine dell’universo DC (Suicide Squad) vecchia gestione, lo stop produttivo di Blade Runner, la chiusura dello spiderverso liveaction Sony con Morbius e, udite udite, anche quello di Tron, visto gli incassi e l’ondata di commenti negativi che attribuiscono la responsabilità del flop proprio alla sua interpretazione.
L’elemento comune che raramente passa inosservato, resta questo: il suo lavoro è oggetto di discussione accesa, e che, dopo un periodo di “luna di miele”, quello che sta attraversando ora è forse il periodo peggiore della sua carriera.


















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