- Le radici: lo scoutismo e la formazione militare
- Le missioni Gemini: prove generali di futuro
- La “Terra sorgente” di Apollo 8 e il “fallimento di successo” di Apollo 13
- Dal cosmo al cinema: Jim Lovell nell’immaginario collettivo
- Dopo la NASA: una nuova vita sulla Terra e il suo lascito
Il 7 agosto 2025, a Lake Forest (Illinois), si è spento James A. "Jim" Lovell Jr., leggendario astronauta e comandante della storica missione Apollo 13, all’età di 97 anni. La NASA e il mondo intero hanno ricordato con emozione un uomo che seppe incarnare il coraggio, la calma e l’ingegno nei momenti più critici della corsa allo spazio.
Nato in Ohio da padre canadese costruttore di fornaci, morto quando Jim aveva solo 5 anni, e madre di origine ceca, visse dopo la perdita del padre prima da un parente nell’Indiana e in seguito Milwaukee, nel Wisconsin dove frequentò le superiori. Fin da giovanissimo si diletta, seguendo le orme di Robert Goddard [1], nella costruzione amatoriale di razzi.
Le radici: lo scoutismo e la formazione militare
Prima ancora della Marina e della NASA, Lovell trovò una famiglia nello scoutismo. Entrò nei Boy Scouts of America (oggi Scouting America) e raggiunse il grado di Eagle Scout, il più alto riconoscimento del percorso.
Amava ripetere che il motto scout “Be Prepared” (Sii preparato) fu la lezione più importante della sua giovinezza, utile tanto in un bosco quanto nello spazio profondo. Qualche anno fa disse: “Quel vecchio motto era molto appropriato nella mia situazione […] essere preparati significa essere consapevoli di ciò con cui si ha a che fare e di ciò che si sta facendo, di quali sono le probabilità e di come uscire da certe situazioni. Ad esempio, nel programma spaziale non ci siamo mai addestrati per più di singoli guasti, perché se ci fossimo addestrati per ogni possibile guasto, saremmo ancora laggiù in attesa del primo decollo” [2].
La resilienza, la disciplina e l’ingegno che dimostrò nello spazio hanno radici anche lì, nelle notti in tenda e nelle prove di pionierismo. Rimase legato agli scout per tutta la vita, partecipando a eventi e incoraggiando i giovani a credere nell’avventura e nella preparazione.
Nel 1946 a Madison frequenta Ingegneria presso l’università del Wisconsin, grazie al programma della marina “Flying Midshipman” [3] che gli garantiva una modesta borsa di studio integrata da altri lavori come quello del lavapiatti e accudendo perfino i topi del laboratorio dell’Università. Nel ‘48 riesce ad entrare all’Accademia navale di Annapolis dove scriverà un lavoro sui razzi a propellenti liquidi. Si laurea in Scienze e inquadrato nei ranghi della Marina sarà scelto insieme ad altri 50 tra i quasi 800 del suo corso per accedere ai corsi di Pilota imbarcato presso la Naval Air Station di Pensacola.
Diventato pilota di caccia notturni F2H Banshee parteciperà anche a una missione nel pacifico imbarcato sulla porterei Uss Shangri-La. Nel 1958, dopo avere alle spalle quasi 110 appontaggi su portaerei torna a terra come ufficiale addetto all’addestramento dei piloti sui nuovi caccia della marina tra cui gli F8 Crusader [4]. Al termine dello stesso anno iniziò un corso per piloti collaudatori di sei mesi dove incontra Wally Schirra e Pete Conrad, altri futuri astronauti. Pur essendo tra i 110 piloti collaudatori selezionati dalla Nasa per il programma Mercury, per un momentaneo problema dovuto a un eccesso di Bilirubina nel sangue, non fu tra i sette scelti (passati alla storia come i Mercury Seven tra cui Schirra) e dovrà aspettare il 1962 con il reclutamento per i programmi Gemini ed Apollo. Risultato uno dei New Nine, i vincitori di questa seconda selezione, condividerà tra l’altro l’addestramento con Neil Armstrong e John Young rispettivamente il primo e il nono uomo a metter piede sulla luna oltre, Young, ad essere l’unico a volare con i moduli Gemini, Apollo e lo Space Shuttle.
Le missioni Gemini: prove generali di futuro
Il progetto Gemini aveva lo scopo di raccogliere l’eredità di quanto appreso nel programma Mercury per poi essere utilizzato nel successivo programma Apollo, che in verità sarebbe partito quando il Gemini non era ancora terminato.
Il nome derivava dal fatto che la navicella aveva due posti ed era un notevole passo in avanti visto che, le navicelle Gemini, potevano alterare la propria orbita, permettendo l’EVA (attività extraveicolare, le famose passeggiate spaziali), oltre che manovre di Docking e Rendez vous (aggancio e incontro tra due veicoli spaziali).
Lovell sarà presente in due missioni gemini: la Gemini 7 e la 12. Nella prima insieme a Frank Borman (che ritroverà nell’equipaggio di Apollo 8 qualche anno dopo) trascorre due settimane nello spazio, dimostrando che l’uomo può sopravvivere a lungo in microgravità, prova decisiva in vista delle future missioni lunari. Nella seconda con Buzz Aldrin (che sarà poi il secondo uomo a metter piede sulla luna) completa manovre cruciali EVA, perfezionando le tecniche che permetteranno poi agli astronauti di lavorare in sicurezza sulla superficie lunare.
La “Terra sorgente” di Apollo 8 e il “fallimento di successo” di Apollo 13
Nel dicembre del 1968, Lovell vola come pilota del modulo di comando nella missione Apollo 8, la prima missione a orbitare attorno alla Luna. Alla vigilia di Natale si alterna con i compagni Frank Borman e Bill Anders e legge in diretta televisiva i versetti della Genesi, davanti a milioni di telespettatori, e il giorno dopo, appena ristabilite le comunicazioni esordirà con altra sua frase famosa che diverrà famosa: “Vi informiamo che esiste Babbo Natale”. Durante la permanenza orbitale sulla faccia nascosta della Luna Jim chiamerà una formazione rocciosa Monte Marylin, in onore di Marilyn Lillie Gerlac che aveva sposato nel 1952 ad Annapolis e che gli avrebbe dato 4 figli. È in questa missione che Anders scatterà la celebre fotografia “Earthrise”, la Terra che sorge oltre l’orizzonte lunare: un’icona planetaria. Apollo 8 dimostra che il sogno di raggiungere la Luna è tecnicamente possibile.
Nell’Aprile del 1970, Apollo 13 decolla con destinazione il cratere Fra Mauro, ma due giorni dopo un’esplosione in un serbatoio d’ossigeno devasta il modulo di servizio. Lovell trasmette al centro di controllo le parole destinate a diventare leggenda: “Houston, abbiamo un problema”. La missione si trasforma in una lotta per la sopravvivenza.
Il modulo lunare, progettato per due uomini e due giorni di esplorazione della superficie, diventerà una scialuppa per tre astronauti e quattro giorni di permanenza in orbita. Temperature gelide, scarsità di energia e anidride carbonica in aumento mettono a rischio la vita dell’equipaggio. È la leadership calma e determinata di Lovell a guidare la squadra e a collaborare con gli ingegneri a terra per inventare soluzioni improvvisate e correggendo per ben due volte la rotta con manovre manuali ai propulsori. Alla fine, l’equipaggio rientrerà sano e salvo. Non arrivarono sulla Luna, ma trasformarono un disastro in un trionfo di resilienza e ingegno. Non a caso la NASA lo definì “un fallimento di successo”.
In una delle sue ultime interviste, rilasciata ad Emilio Cozzi qualche anno fa, chiedendo se in Apollo 13 tutto fosse andato bene cosa sarebbe cambiato il comandante Lovell rispose: “[…] se tutto avesse girato per il verso giusto, la nostra missione sarebbe finita nel dimenticatoio della storia spaziale, […] Apollo 13 ha invece tirato fuori quello che la gente sa fare quando c’è una crisi […] quell’esplosione fu la cosa migliore potesse capitare al nostro programma spaziale e in quel momento specifico: è lei ad aver consentito a gente di talento di trasformare una catastrofe quasi garantita in un atterraggio sicuro” [5].
Dal cosmo al cinema: Jim Lovell nell’immaginario collettivo
Un mese dopo il rientro tutto il cast fu accolto dal conduttore Jhonny Carson nella storica trasmissione The Tonight Show [6], mentre nel 1976 interpreterà in un cameo se stesso in L'uomo che cadde sulla Terra di Nicolas Roeg con l’esordio sul grande schermo nel ruolo di protagonista di David Bowie. Il film era tratto dall’omonimo romanzo di fantascienza di Walter Tevis.
La vicenda dell’Apollo 13 non poteva restare confinata nei libri di storia. Nel 1994 Lovell scrive con l’editor Jeffrey Kluger il libro Lost Moon: The Perilous Voyage of Apollo 13. Da questo libro l’anno dopo Ron Howard girerà il film Apollo 13. Lovell vista la somiglianza aveva suggerito Kevin Costner per impersonificarlo ma la scelta ricadrà su Tom Hanks [6]. Non ci si pentirà della scelta visto che l’attore, reduce del successo di Forrest Gump l’anno precedente, per entrare nella parte parteciperà ad alcune routine addestrative degli astronauti come volare in un aereo KC135 (il cosiddetto Vomit Comet ed è superfluo spiegare il perché) che, effettuando una serie ripetuta di parabole, simula la gravità ridotta come in orbita.
Hanks interpreta Lovell con intensità e misura, trasformando quella vicenda tecnica in un dramma umano universale. Il film ottiene nove candidature agli Oscar (vincendone due) e numerosi altri premi, entrando nel pantheon del cinema dedicato ai voli spaziali e non solo. La pellicola è stata utilizzata in ambito didattico, studiata nei corsi di ingegneria (e testimone è chi vi scrive) e citata in libri di management come esempio di problem solving.
Lovell compare anche qui in un cameo, nei panni del capitano della USS Iwo Jima [6] che accoglie l’equipaggio al ritorno: un tocco di realtà dentro la finzione. Da allora, “Houston, abbiamo un problema” diventa una delle frasi più celebri della cultura pop, citata in film, fumetti e serie di fantascienza.
Dopo la NASA: una nuova vita sulla Terra e il suo lascito
Nel 1973 Lovell lascia la NASA e la Marina. Guida aziende nel settore delle telecomunicazioni e dei trasporti, rimanendo sempre un leader rispettato. Nel 1999, con la famiglia, apre il ristorante “Lovell’s of Lake Forest” poi chiuso nel 2015, dove erano presenti numerosi cimeli e memorabilia delle missioni spaziali.
Riceve onorificenze come la Presidential Medal of Freedom e viene incluso nella U.S. Astronaut Hall of Fame restando nel cuore di chi lo conobbe come “Smilin’ Jim”: sorridente, ironico, capace di alleggerire anche i momenti più bui.
Jim Lovell è stato un protagonista della conquista dello spazio, ma anche un simbolo culturale, ed esempio per generazioni visto che ha vissuto la sua vita come un romanzo d’avventura scritto con formule matematiche, bulloni e coraggio umano. In un’epoca in cui l’immaginario fantascientifico era scandito dalle utopie di Star Trek e dalle atmosfere più cupe di 2001: Odissea nello Spazio e Solaris, lui ha incarnato la fantascienza resa reale: uomini chiusi in navicelle fragili, alle prese con il vuoto cosmico, che con coraggio e ingegno sopravvivono all’impossibile.
Un esempio eterno di come la realtà possa superare l’immaginazione.
Note
[1] Robert H. Goddard (1882-1945), fisico e ingegnere statunitense, è considerato il pioniere dei razzi moderni: nel 1926 realizzò il primo lancio riuscito di un razzo a propellente liquido, aprendo la strada all’astronautica.
[2] Jim Lovell: The Eagle Scout That Saved Apollo 13 di Alvin Townley pubblicato sul sito di The History Reader.
[3] Letteralmente “il mezzo marinaio volante”. Mezzo marinaio è il grado più basso della marina degli Stati Uniti, corrispondente al nostro guardiamarina
[4] Dopo l’F14 Tomcat salito alla ribalta con il film Top Gun, il Vought F-8 Crusader è probabilmente uno degli aerei imbarcati più famosi tra i non addetti ai lavori anche perché è il velivolo del protagonista del manga poi anime di successo Area 88 di Kaoru Shintani.
[5] Emilio Cozzi, Geopolitica dello spazio. Storia, economia e futuro di un nuovo continente, Il Saggiatore, 2024.
[6] Attualmente condotto da Jimmy Fallon
[7] Il personaggio di Jim Lovell sarà portato altre due volte sullo schermo: avrà il volto di Tim Daly nella miniserie HBO del 1998 Dalla Terra alla Luna e Pablo Schreiber in First Man, film del 2018 su Neil Armstrong.
[8] I produttori avevano proposto di fargli interpretare un ammiraglio a bordo della nave, ma Lovell disse: «Mi sono ritirato come capitano e capitano resterò.»








Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID