Una tipica raccomandazione è quella di pensare con la propria testa, come se fosse possibile pensare con la testa degli altri. Naturalmente è solo una metafora, con cui si intende suggerire di non farsi influenzare. Tuttavia, non è 

possibile non essere influenzati, in particolare dagli altri (oltre che dagli eventi), la raccomandazione stessa è un tentativo (benevolo) di influenzare, e in ogni 

relazione ci si influenza a vicenda.

Secondo il costruttivismo, i pensieri non si trasmettono in senso stretto (non siamo telepatici) ma possono solo essere ricostruiti più o meno fedelmente (è il processo di comprensione). In questo senso, dicevamo che non si può pensare con la testa degli altri. A cosa corrisponde dunque il suggerimento di pensare con la propria testa? Di certo non vuol dire che ci deve interessare solo ciò che pensiamo noi, perché senza l’influenza positiva del pensiero di altri (riportato ad esempio sui libri) la nostra capacità di pensare non si svilupperebbe nemmeno (è il processo di apprendimento).

Già nel 1964, Marshall McLuhan in Understanding Media: The Extensions of Man (tradotto in italiano come Gli strumenti del comunicare) aveva interpretato la tecnologia come estensione delle facoltà umane, capace di influenzare profondamente il modo in cui gli esseri umani pensano e agiscono. Per McLuhan un medium (o tramite) è qualunque tecnologia, compresa la ruota che ha permesso di viaggiare più velocemente. Tuttavia, la sua analisi si concentra sui media della comunicazione di massa, detti ormai semplicemente “media”: stampa, radio, telefono, televisione (e ora internet). Benché egli si soffermi sul medium in sé, è consapevole del fatto che un medium può essere utilizzato a scopi manipolatori. Ad esempio parla di cedere occhi, orecchie e nervi a interessi commerciali. Il termine “nervi” sta qui a indicare le sensazioni, le percezioni e i processi cerebrali in genere, dunque i pensieri, il che ci riporta alla questione dell’influenza.

Se non possiamo evitare di essere influenzati, che cosa distingue il pensiero riflessivo da ciò che sembra pensiero, ma non lo è? La differenza è che il pensiero è analitico, mentre lo pseudo-pensiero si limita a ripetere cose memorizzate. Lo pseudo-pensiero è in realtà riconoscibile, benché non dal soggetto che lo ha assorbito passivamente. La differenza tra le due forme sta nella consapevolezza. È ancora McLuhan a parlare di consapevolezza, che è una caratteristica della riflessione e una qualità che egli attribuisce in particolare agli artisti, i quali possiedono la capacità di anticipare in qualche modo gli effetti delle innovazioni tecnologiche (e qui viene da pensare agli scrittori di fantascienza).

Il pensiero riflessivo viene a volte chiamato pensiero “critico”, il che può creare qualche equivoco. In molti casi, chi ripete una critica assimilata in modo “acritico” (cioè irriflessivo) ha la sensazione (e può darla ad altri) di esercitare un pensiero critico. La confusione è tra “critico” come aggettivo, e “critica” come sostantivo. Non sempre una “critica” è fatta in maniera critica.

Lo pseudo-pensiero, fatto di contenuti puramente memorizzati (Gregory Bateson lo definisce “il grado zero dell’apprendimento”), è veicolato da slogan, ripetizioni, parole d’ordine, ragionamenti circolari e (in forma più ampia) da intere ideologie. A monte del finto pensiero c’è spesso un processo manipolatorio attuato da qualcuno per i propri fini. La fonte classica più apertamente riconosciuta è quella della propaganda commerciale. Lo scopo della comunicazione commerciale non è informativo, bensì manipolativo.

Subito dopo viene la fonte politica, dove per “politica” intendiamo il meccanismo sociale tramite il quale un gruppo di persone prende il controllo di un paese. La possibilità del controllo sugli altri è di per sé gratificante (si pensi a 1984 di George Orwell, 1949) ma si porta dietro molti altri vantaggi collaterali. In terza battuta, abbiamo la propaganda come arma da guerra ibrida. Tutto ciò è in realtà ben noto, ma ne parliamo per via di un fenomeno più recente: il contagio mediatico.

Per contagio mediatico intendiamo qualcosa di analogo al propagarsi del meme. Il termine, coniato da Richard Dawkins nel 1976, indica un elemento culturale che si auto-propaga per imitazione da un soggetto all’altro. Il contagio avviene per contatto diretto tra individui, oppure per contatto indiretto tramite i media, tra cui quelli ufficiali e quelli privati (i social). Nel caso della manipolazione, la diffusione di un meme non serve solo a pilotare l’opinione pubblica in una specifica direzione. Esso funziona (e quindi può essere usato) come un trigger (grilletto) per innescare delle reazioni emotive e comportamentali.

Non tutti i memi sono patogeni, dato che di per sé servono a propagare la cultura, ma alcuni memi interferiscono sulla struttura democratica della società. Essi fanno ammalare la democrazia, e sono potenzialmente in grado di ucciderla. L’analogia con un contagio di tipo infettivo è notevole. La caratteristica di un contagio è la velocità crescente di propagazione e la grande massa di soggetti coinvolti. Uno degli effetti più negativi di questo fenomeno è l’insofferenza nei confronti dei dissidenti, vale a dire i soggetti non raggiunti dal contagio, o protetti dagli anticorpi creati dalla propria capacità di pensiero critico.

Donald Sutherland in <i>L'invasione degli ultracorpi</i>
Donald Sutherland in L'invasione degli ultracorpi

Questa insofferenza è uno dei sintomi più appariscenti del fenomeno, e permette di riconoscere a prima vista un contagio mediatico in atto. Per cogliere questa dinamica, che contrappone in modo feroce i contagiati ai non contagiati, si pensi a L’invasione degli ultra-corpi (Invasion of the Body Snatchers, Don Siegel, 1956, tratto dal romanzo di Jack Finney The Body Snatchers, 1954). Un altro notissimo esempio cinematografico è La notte dei morti viventi di George Romero (Night of the Living Dead, 1968).

Ciò che spinge gli umani a non pensare è il fatto che pensare costa fatica, esattamente come uno sforzo muscolare. Benché si possa praticare sport per hobby, e dilettarsi con giochi enigmistici, c’è una tendenza di fondo negli organismi a evitare gli sforzi ritenuti (a torto o a ragione) non necessari. Uno pseudo-pensiero già pronto viene adottato per lo stesso motivo per cui si compra del cibo pronto, e lo si consuma senza distinguere quello migliore da quello scadente.

Chi adotta lo pseudo-pensiero ne trae l’illusione di pensare senza fatica, e c’è inoltre da considerare l’istinto gregario. Un individuo può inserirsi in un gruppo di minoranza perché questo lo fa sentire parte di una élite, ma spesso sceglierà di conformarsi alla maggioranza perché questo lo fa sentire in una posizione più facile da difendere. I fenomeni di intolleranza si manifestano tipicamente nei confronti delle minoranze dissidenti. Ci sono però gruppi di minoranza aggressivi, che cercano invece di imporre il loro punto di vista a una maggioranza meno decisa.