- Chi sei tu?

- Io sono la madre del mostro

Nel finale Ripley e la nuova Regina assistono entrambe alla nascita del nuovo bambino alieno, uno dei momenti più controversi e criticati del film. Il nuovo nato è un ibrido per metà alieno e per metà umano, alto e dal teschio oblungo e scheletrico ma con occhi inequivocabilmente umani. La donna, nonostante il sentimento di tenerezza che in qualche misura la lega a lui, decide di ucciderlo perché non vuole che finisca trasportato sulla Terra e sottoposto a esperimenti in qualche laboratorio. La scena ha varie pecche: il look della nuova creatura non è certo tra i più convincenti e anche in fatto di logica ci sono varie incongruenze. Ripley raccoglie con la mano il sangue dell'alieno e lo lancia verso il finestrino che da sull'esterno della nave. La sua carne non si corrode, il vetro del finestrino si. C'è poi il solito vecchio problema della decompressione: sia Ripley che (Ryder) morirebbero all'istante nell'esplosiva decompressione di un ambiente pressurizzato posto a contatto col vuoto assoluto dello spazio, ma a Hollywood si usa trattare la situazione con una sorta di forte vento che invece è del tutto non scientifica. Ma tant'è: l'errore è stato fatto tante e tante volte ma continua ad essere riproposto. Finale truculento col baby alien che viene risucchiato orrendamente attraverso un piccolo buco nel cosmo, creando una sorta di fontana sanguinolenta che sembra uscita da un film della serie Nightmare. Il film è in effetti in assoluto il più gore della serie. Sul versante musicale nuovo cambio della guardia, con John Frizzell che subentra col compito di sostenere con le note le atmosfere volute da Jeunet. Lo fa in modo egregio, componendo un soundtrack funzionale ed efficace e concedendo anche un doveroso tributo al grande Jerry Goldsmith (recentemente scomparso), riproponendo il suggestivo Ripley's Theme da lui composto per il primo Alien.

Il film fu presentato in prima mondiale a Parigi il 6 novembre del 1997. Gli incassi finali del film ammontarono, nel mondo, a 160 milioni di dollari. In totale la serie ha accumulato oltre 600 milioni di dollari di incassi, e questo limitandoci ai soli introiti provenienti dalla vendita dei biglietti al cinema. Bisogna poi aggiungere le vendite di videocassette e DVD, più i diritti sul merchandise, videogiochi, diritti di trasmissioni prima da parte delle emittenti satellitari infine da parte delle emittenti televisive commerciali. Dal punto di vista dell'accoglienza della critica il film fu accolto molto meglio in Europa che non negli USA. In Italia Lietta Tornabuoni su La Stampa si soffermò in particolare sulla scena della stanza dei cloni, che evidentemente l'aveva colpita in modo particolare: "Il corpo sconnesso, gonfio, tagliato e ricucito, dagli organi spiazzati e dalle funzioni invertite, dal candore cadaverico, sta fra altri mostri ibernati: umani non umani, esseri con tre bocche o senza occhi, con la coda o con un rostro al posto della faccia, sono i prodotti o la materia prima degli atroci tentativi di creare combinazioni tra genetica umana e genetica aliena, compiuti da medici eredi del dottor Mengele, lo sperimentatore assassino dei Lager nazisti." Sul film più in generale: "L'attualità della quarta puntata della serie non è rappresentata dalla clonazione, tema prediletto dai talk show televisivi, ma dallo stile del nuovo regista, già autore insieme con Marc Caro di due film esemplari sulla decadenza e sulla degradazione del mondo, Delicatessen e La città dei bambini perduti. Jean-Pierre Jeunet ha immaginato l'astronave come un ammasso di ferraglia da prima rivoluzione industriale; il suo direttore della fotografia Darius Khondji ha scelto tonalità scure, nero o marrone profondo, e un procedimento all'argento che aveva già adottato in Seven o in Io ballo da sola." Emanuela Martini su FilmTV scrisse un'ottima recensione che si concludeva con queste condivisibili parole: "Jeunet, pur apertamente disinteressato alla parte action del film (che è infatti la più debole), si è trovato a casa propria nei cunicoli tecnologici-fatiscenti della base spaziale Auriga, tra i cloni mal riusciti, i mostri da laboratorio, nel vivaio di alieni "impiantati" negli umani. Il film è segnato dal suo senso nerissimo del grottesco e, naturalmente, dalla presenza dominante di Sigourney Weaver, eroina tornata dal regno dei morti, ormai "mutata", disseccata e cupa, capace di un rapporto quasi carnale con l'alieno (che, in fondo, è carne della sua carne). La sua ostinazione a proteggere l'umanità (lei che non è più umana) la consegna quasi alla tragedia."