Misha accese una sigaretta. Non fumava, non troppo almeno, ma negli ultimi tempi la media era triplicata. - E' qualcosa che va oltre, che fa parte del mio essere e risiede molto in profondità. Un richiamo, capisci? Un specie di faro che si accende a intermittenza e comincia a pulsare nella mia testa. E quelle immagini: cose del passato che solo io e mio fratello conosciamo.

Con un gesto spazientito Nata_a si staccò da lui. - Tuo fratello è in carcere, e non ti servirà a nulla credere che sia lui a provocare tutto questo. Venti anni Misha, venti anni di coma punitivo, questa è la sentenza che ha subìto, ed è una pena che non lascia molte possibilità, faresti bene a convincertene.

Cominciava a sentire freddo. Il razionamento faceva sì che solo tre ore per notte i riscaldamenti funzionassero, e ormai anche il mercato nero era impotente, soprattutto dopo gli ultimi sabotaggi nelle condotte siberiane.

- Spero di no, davvero - disse, allungando la mano e accarezzandole i capelli neri. - Sarà bene riposare un po' ora.

Nata_a brontolò qualcosa e si diresse in camera, lasciando cadere la vestaglia sul pavimento. Lui spense la sigaretta e restò qualche secondo a guardare il fumo che si dissolveva contro il vetro della finestra. Poi la raggiunse.

Misha incontrò gli altri in un vecchio appartamento, al secondo piano di un edificio in fondo a via Entuziastov, l'ultimo prima della chiesa sconsacrata che, non senza qualche pretesa di troppo, era stata trasformata in un museo dedicato alla Nuova Confederazione Baltica. Bussò il segnale convenuto e attese. Dopo qualche secondo venne ad aprirgli un vecchio che teneva per mano un bambino. Senza dire nulla l'uomo si scansò, lasciandolo entrare.

Alexei e Yuri se ne stavano seduti su un divano che aveva sicuramente conosciuto giorni migliori. Accanto a loro solo due casse e un samovar. Il mobilio era tutto lì. Non appena videro Misha si alzarono in piedi.

- Maggiore... - dissero all'unisono.

Misha fece un cenno col capo. - Non c'è più bisogno di gradi, è inutile che continuiate a chiamarmi maggiore.

I due si guardarono a vicenda, l'aria poco convinta. Avevano i vestiti stropicciati e un'espressione stanca. Probabilmente avevano trascorso la notte su quello stesso divano. Misha si domandò cosa potesse ancora chiedere a quegli uomini. Li aveva avuti al proprio comando quando la sua sezione era ancora operativa, ma ora non poteva garantire nulla, a nessuno dei due, e il fatto di averli più volte tirati fuori dai pasticci costituiva una magra giustificazione. Sapeva che avrebbero fatto qualunque cosa per lui; erano entrambi ingusci, e questo valeva più di qualsiasi raccomandazione. Tutti e tre non avevano nulla da perdere.

Sedette a terra e indicò loro di fare altrettanto, poi tirò fuori dalla tasca del cappotto una piantina. - Il contatto crede d'essere improvvisamente diventato indispensabile, solo per aver fornito la sezione dell'istituto e i dati catastali che qualche burocrate negligente aveva dimenticato di far sparire. In periodo di crisi non è possibile avere certe pretese, e sperare di ottenerle. Avete provveduto?

- Sì, ieri sera - rispose Yuri. Le spalle muscolose si alzarono d'un niente, quasi volesse scusarsi. - Non lo troveranno per un bel pezzo.

Misha sentiva le voci negli altri appartamenti. Un mormorio di fondo che sembrava essere l'unico rumore identificabile in tutto il palazzo. Si concentrò sull'intricato dedalo di linee che aveva davanti; ai margini della piantina aveva appuntato alcuni riferimenti e orari. Quello era il suo territorio, pianificare azioni ed elaborare strategie; finalmente si sentiva a proprio agio dopo mille incertezze.