- Contro l'entropia ci sono i meccani. Lui è contro ladri, intrusi, collezionisti. Quelli di libri, non quelli di Argento...

- E tu, eventualmente, cadresti nella prima categoria, non nella seconda.

- Io non ho lo spirito del collezionista. - Rallenta il passo, cercando le parole giuste. - Voglio solo raggiungere ciò a cui tengo, che considero importante. Per me il mondo è fatto di esemplari unici.

"Sei davvero certo di essere immune?" vorrebbe chiedergli ancora. Ma l'ha già fatto questa notte e adesso non ha più senso domandare.

- Tra poco saremo fuori, nei giardini, una piccola giungla nel mezzo della città. E questa è la strada più breve e più sicura, siamo rimasti in pochi a conoscerla, e di qui non passa mai nessuno.

Ha appena finito di parlare che una figura appare all'altro capo del corridoio, rimpicciolita dalla distanza. Art, con ogni probabilità. Ma è ancora troppo lontano per farsene un'idea.

I loro passi riecheggiano, riflessi dalle tubature del soffitto. La distanza si riduce poco a poco.

Il nuovo venuto è un giovane scuro di pelle, il viso incorniciato da un filo di barba, che indossa una tuta leggera sotto un camice svolazzante. Se lo era immaginato diverso, Art, un vecchio atleta trasandato riconvertito, dopo quindici anni di manovra delle gru di fondale, ad un tranquillo lavoro impiegatizio.

Il giovane li guarda insistente ma non parla, giunge alla loro altezza, li supera e procede oltre.

Nemmeno Stenwall ha detto una parola, lo sguardo assente, immerso nei suoi pensieri.

- E' là dentro, nel seminterrato.

Jeremy detto Artiglio, Art per Stenwall e pochissimi altri, li invita a seguirlo con un cenno silenzioso. Alto, robusto e dritto, capelli sale e pepe, occhi celesti e baffetti curatissimi, camicia di taglio militare, somiglia a un ufficiale prussiano da vecchio film.

Le scarpe scivolano sulla ghiaia bagnata e sull'erba fradicia. Intorno a loro preme la vegetazione un tempo tenuta a bada dai giardinieri. Alberi stenti e decrepiti, il tronco annerito dallo smog del secolo precedente e le foglie rose dalla pioggia acida, occhieggiano dalle aiuole, dietro i loro discendenti sani e rigogliosi cresciuti qua e là dalla terra abbandonata a se stessa. Su viali e sentieri marcia l'avanguardia delle erbe parassite e dei cespugli ornamentali inselvatichiti che guadagnano spazio invadendo la ghiaia, sollevando l'asfalto con le radici. Un'avanzata lenta e inesorabile ma fragile, che qualche ruspa basterebbe a spazzare via riportando quelle poche decine di ettari sotto il dominio umano.

Artiglio imbocca un vialetto laterale che conduce a una vecchia palazzina, un cubo di cemento e vetrate sporche costruito poco dopo la metà del secolo scorso. Sale gli scalini consunti, spinge il portone sovrastato dalla scritta "Biblioteca Medica" e la sua lunga schiena diritta scompare nell'ombra.

Il buio è fresco e non sa di stantio, il pavimento di vecchio marmo è pulito, una modernissima reception ammicca a destra della porta. Ai due lati dell'atrio una doppia scalinata porta ai due piani superiori, ma Art imbocca la scala centrale in discesa.

- Detesto gli ascensori - li informa dal basso. - Troppo tempo trascorso là sotto, al chiuso.

Sotto l'oceano, immagina, non nel seminterrato.

- Ecco. Guarda se fa al caso tuo.

Art si ferma al fondo della scala e Nic lo raggiunge. Parlottano sottovoce, l'hanno lasciato solo.

Percorre lento il breve corridoio, raggiunge l'unica porta aperta.