Il temporaneo se ne stava seduto a un tavolino della hall. Intorno c'erano un paio di tizi con una divisa azzurra cielo e le spalline grigie, ufficiali di ArmaCon e qualche Prediletto, ma solo del tipo più importante. Mi aspettavo una conferenza, un collegamento multiplo, qualcosa di molto generale e molto ufficiale. Quelli dell'hotel avevano polarizzato le reti dei coibenti e così la sala era silenziosa. Se anche fuori fosse stata in corso una battaglia l'avremmo saputo soltanto uscendo. Mi aspettavo una conferenza e invece dovevamo passare davanti all'icona di Eini ez Vadùa uno alla volta, sederci su una poltrona conformante e fare una domanda, se lo desideravamo. Faccia a faccia, occhi negli occhi. Negli occhi di un temporaneo quasi perfetto. Quando fu il mio turno mi sedetti senza smettere di fissarlo.
- Dimmi, Verena.
Non era un prodigio, bastava essere connessi al Casuale per pescare dati dall'anagrafe intersistemi. E poi avevo cartellino appuntato sul petto con il mio nome e una mia oloimmagine rotante: di fronte, profilo destro, nuca, profilo sinistro, di fronte eccetera.
- Perché ce l'hanno con noi?
Eini annuì lentamente. Socchiuse gli occhi e si accarezzò il dorso di una mano. La trasmissione era buona da non crederci: potevo distinguere i peli chiari, sottili sull'ultima falange del medio. Si prese il suo tempo per rispondere, o forse, più semplicemente, era un normale ritardo nella connessione. Pensai che se avesse detto una cosa geniale, unica, saremmo stati solo io e i suoi guardiaspalle a sentirla. Uno spreco notevole. Forse non dovevo aspettarmi qualcosa di tanto geniale. Eini aveva un maglione a collo alto, da marinaio e pantaloni neri, nessun cappello. Non aveva targhette, la sua faccia era conosciuta in molti sistemi: naso stretto, fronte alta, occhi diversi di forma e di colore. Magro, biondo, seduto storto, con le gambe strette, non del tutto a suo agio.
- Sono manovrati da forze che non comprendono, che sfruttano i loro timori. In fondo - stringeva le dita a cono puntandole alla bocca dello stomaco - ognuno di noi teme la morte, la perdita definitiva dell'identità. Noi perle, come amano chiamarci, esistiamo finalmente anche per un grande sistema connesso con l'universo abitato. Di noi resterà traccia. Di me, di te. Il Casuale ci ascolta e si arricchisce delle nostre parole e dei nostri pensieri. Loro vivono nell'oscurità, nel caos delle loro piccole vite. Il Grande Gioco ne avrà cura, un giorno. E fornirà anche a loro un'occasione.
Alzò lo sguardo verso un ometto grasso in piedi a pochi metri da noi, il successivo.
Annuii - grazie - e scivolai via. Niente di troppo geniale. Nei corridoi la schermatura era disattivata e si sentivano urla e l'esplodere dei candelotti di gas urticante.
Allo schermo del punto di raccolta ci sono soltanto un paio di sistemi con un modello al traino. I sistemi chiacchierano tra loro a bassa voce mentre il modello guarda lo schermo. E' un conformato umano arricchito con una batteria di utensili - saldatore, forbici, pinze eccetera - che spuntano dai polsi. A fine turno può smontarli, riinstallare le mani in biofibra e riprendere un aspetto che non somiglia a quello di un torturatore pazzo. Chissà perché guarda? Il vento è caduto e la Chiodo viaggia lentamente tra lunghe dune di sabbia grigia. Il cielo è giallo limone, attraversato da poche, lunghissime nubi sfilacciate.
- Abbiamo superato la zona di transizione. - Dice il modello. Ha il viso di Brand, un famoso aidoru di un serial gratuito. "Fino all'ultimo dei giorni" o "Distacchi", due tra quelli che sono passati su tutti i mondi federati, tranne forse sui mondi credenti perché c'era troppo sesso. O forse anche su quelli, con gli opportuni tagli. E' biondo, con i capelli lisci e un sorriso regolato al millimetro per risvegliare un'ombra di tranquillo desiderio negli interessati - femmine o maschi - e simpatia negli altri - maschi o femmine. In genere i Brand sono modelli da socializzazione, ma non è il primo che vedo nei Sistemi.
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