In occasione di questo quarantennale, sentiremo raccontare “il sessantotto” di qualunque cosa. D’altra parte resta il fatto che qualsiasi generalizzazione, per quanto riguarda la storia e la cultura degli Stati Uniti, deve partire da un dato: rispetto all’Italia e in generale all’Europa quell’anno è molto meno emblematico e significativo. Nell’immaginario e nella memoria collettiva, l’astrazione rimasta è “the Sixties”, il decennio, non un anno specifico. E allora, giochiamo questo gioco nella maniera giusta. Senza illusioni di fornire resoconti dettagliati ed enciclopedici, accettando il rischio della parzialità e della soggettività, proviamo a vedere cosa lega anni Sessanta e fantascienza nella cultura americana.

Di certo, gli anni 60 appartengono alla fantascienza. Per molti di noi appassionati della SF scritta, si tratta della vera Età dell’Oro, un periodo ineguagliato dal punto di vista qualitativo, che si conclude grosso modo a metà anni 70. Anche al di fuori di collane e riviste specializzate, tanti autori di provenienza “alta” scoprono il genere. In altre forme narrative, film come 2001: Odissea nello spazio di Kubrick, serie TV come Star Trek e i nuovi fumetti della Marvel Comics rappresentano delle vere e proprie rivoluzioni nei rispettivi linguaggi.

Molto semplicemente, la SF si è diffusa ovunque. Come e più che in precedenza, in quegli anni tutti sembrano parlare in termini di fantascienza, anche in campi come la politica e la teoria filosofica. Forse per l’ultima volta nella storia, progresso sociale e  modernizzazione sono concetti ispirati da una totale fiducia nel futuro: e allora la fantascienza fornisce il lessico giusto. La scoperta dei limiti allo sviluppo cambierà molte cose.

Anni di fantascienza

Negli anni Cinquanta, come sappiamo, ci avevano già pensato la Bomba e la Guerra Fredda a far entrare la fantascienza nel vissuto quotidiano. La ricostruzione post-bellica viene condotta all’insegna di un ottimismo nazionale pieno di sospetto, in cui lo slogan ufficiale della politica estera è “strategia del contenimento”, e tutto è pervaso da un senso di accerchiamento, di pericolo proveniente da germi, alieni, estranei e ultracorpi sempre pronti a invadere il “nostro” campo, a rubarci o contaminarci il corpo e l’anima, di cui massima espressione sono tanti monster movie di serie B, resi affascinanti proprio dal semplicismo che li muove. L’ideologia può talvolta essere rozza, ma le paure e il generale senso di precarietà di quegli anni di ripresa sono reali e profondi. La SF scritta, al contrario, si

propone come voce scettica, esprimendo lo spavento davanti agli scenari bellici di distruzione totale globale: il dopobomba. E la colonna sonora di un documentario ironico come Atomic Cafè (1982) ci può aiutare a renderci conto di quanto fosse forte la presenza della Bomba anche nella musica popolare, gospel, jazz, folk, country, rock’n’roll: su tutti, è memorabile l’apocalisse nucleare di una canzone di Bill Haley & the Comets, Thirteen Women (and Only One Man in Town) (“13 donne, e solo un uomo in città”). In toni ben più seri e drammatici, una delle canzoni del movimento antinucleare inglese, ripresa in America da Pete Seeger, include un’immagine orwelliana sulle perversioni del linguaggio usato per giustificare Hiroshima (“quella libertà è una menzogna”): la canzone si chiama The Easter Marchers (1958), e l’autore è un giovane John Brunner, di cui la SF sentirà poi molto parlare.

Nel segno dello spettro dell’apocalisse atomica inizia il nuovo decennio, con la crisi dei missili cubani. Ma un altro tipo di scenario fantascientifico, contemporaneamente si sta affermando, ed è uno scenario di fiducia. Durante la convenzione democratica del 1960 il futuro presidente John Fitzgerald Kennedy, nel discorso di accettazione della candidatura, dichiara:

“Siamo sull’orlo di una nuova frontiera. […] E io chiedo a ciascuno di voi di essere pioniere di questa nuova frontiera”, e parla di spingersi verso i “territori della scienza e dello spazio, fuori dalle mappe”. E in un discorso al Congresso nel maggio 1961, prende l’impegno che l’allunaggio avverrà “prima che questo decennio sia terminato”: “Non sarà un uomo solo che va sulla luna, […] sarà un’intera nazione. […] Lo spazio adesso si è aperto a noi”.