3. Le virtualità reali

Sulla realtà virtuali (o virtualità reali? tutto dipende da quale dei due termini si preferisce evidenziare ) si è detto molto, forse anche troppo, e comunque dando per scontato l'avvento immediato di una tecnologia che invece, dopo l'exploit dei primi anni Novanta, resta un po' defilata (tra l'altro proprio il rapporto tra la RV e la sf era il tema di un mio precedente intervento, due o tre anni fa.) Qui mi limiterò, per non ripetermi, a ricordare che la RV si è evoluta soprattutto come strumento di ricerca, con risultati importanti e interessanti in campo chirurgico, medico, in quello della riabilitazione di handicappati, in ambito di difesa militare; o in settori di estremo fascino come l'architettura o il design; e naturalmente ci sono i videogiochi immersivi.

Il motivo di questo spiazzamento delle RV è noto: l'interesse del pubblico e dei media si è spostato verso Internet. Numerose aziende, e governi di stati importanti (ahinoi, non l'Italia) hanno capito che sono fondamentali gli investimenti nel settore delle autostrade telematiche e se arriviamo a questione di quattrini, siamo purtroppo all'argomento più convincente. Ciò, tuttavia, sia chiaro, non toglie assolutamente nulla all'interesse teorico e alla forza potenziale d'impatto delle RV.

Nelle quali, è ovvio, ciascuno ci ha trovato ciò che gli piaceva. Le RV continuano a stimolare un dibattito fecondissimo; perché, credo, esse contribuiscono a minare quel rapporto tra organismo e identità che rimette in discussione la definizione tradizionale di uomo. Tomás Maldonado -- che pure non ne sottovaluta l'utilità in certi impieghi sostiene che le RV rischiano di "assottigliare sempre più la nostra possibilità di esperienza con l'universo della fisicità" (Tomás Maldonado, "Reale e virtuale", Feltrinelli 1992.). Per Michael Heim il cyberspazio è "platonismo realizzato", perché chi naviga in esso "lascia la prigione del corpo per emergere in un mondo di forme ideali" (Michael Heim, in "Cyberspace" (a cura di Michael Benedikt), Muzzio 1993.); ed è interessante questo concetto, che rimanda a tutta una serie di luoghi comuni della sf cyberpunk. Basti pensare a Case, il protagonista di Neuromante di William Gibson. Gibson l'ha dichiarato apertamente in una intervista: "La chiave della personalità di Case risiede nel suo distacco dal proprio corpo, dalla carne" (Citato da Mark Dery in: Mark Dery, "Velocità di fuga", Feltrinelli 1996). Come ricorderete, a Case per vendetta è stato danneggiato il sistema nervoso, in modo tale che ora egli non potrà più accedere al cyberspazio:

Per lui, che era vissuto per l'euforia incorporea del cyberspazio, fu la Caduta. Nei luoghi che aveva frequentato come numero uno fra i cowboys della console, vigeva un atteggiamento di disprezzo per la carne. Il corpo, era carne. Case era ricaduto nella prigione della propria carne.

William Gibson, Neuromante (Neuromancer, 1984)

Elemire Zolla si riferisce a sua volta alle RV come ad una "avventura sciamanica virtuale". Quindi tramite questa esperienza, mix di antica sapienza e nuova tecnologia, "gli occhiali magici mostreranno la natura illusoria di ogni realtà", e ciò potrà portare alla "liberazione" (Elemire Zolla, "Uscite dal mondo", Adelphi 1992). E c'è chi non manca di sottolineare le analogie tra RV e droghe, allucinazioni, i mondi dello psicotico, il mondo psichico molto particolare del neonato, e infine l'universo del sogno: entrambi infatti sogno e RV -- sono luoghi nei quali ci si spoglia del corpo per riapparire come simulacri, superando lo stadio della fisicità. Se il corpo è una struttura pesante, il nostro simulacro cyberspaziale quello che si definisce avatar appare sgravato da vincoli fisici e psicologici.