Filigrana dei tempi (post)moderni
Il 2001 segna uno spartiacque anche nell’evoluzione della scrittura di William Gibson. I tragici eventi di settembre aprono una ferita nella coscienza di tutto l’Occidente, e a farne le spese maggiori non possono che essere coloro che con la sua storia hanno ancora un conto aperto. Gibson, pur risiedendo in Canada da più di trent’anni, non ha mai rinunciato alla cittadinanza americana, a testimoniare il legame viscerale che lo avvince alla sua terra natale. Negli anni ha fatto più volte ritorno nel suo Sud, e non si è mai tirato indietro quando gli veniva chiesta un’opinione sull’attualità politica, economica e sociale degli Stati Uniti d’America.
I suoi insegnamenti, se non altro, le tornano utili non appena si scopre invischiata in uno strano intrigo, intrappolata negli ingranaggi di una macchinazione che sembrano colpirla da più di una direzione. Win Pollard era infatti un esperto di sicurezza che prestava le sue consulenze ai enti privati e governativi. La sua ossessione per la “messa in sicurezza del perimetro” si è trasmessa alla figlia, la prima eroina gibsoniana a meritarsi un intero libro tutto per sé, un’innovazione che – attraverso la stessa assonanza del nome: Case-Casey-Cayce – si ricongiunge direttamente al passato e alle origini di Neuromante, il primo romanzo di Gibson e finora l’unico ad aver presentato il punto di vista di un unico, inconfondibile protagonista.
E dopo gli hacker, dopo gli analisti quantitativi, Gibson introduce anche una nuova
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