In American Acropolis (il cui titolo originale - All Tomorrow's Parties - è preso in prestito da una ballata rock dei Velvet Underground) ritroviamo Laney in una città di cartone, sepolto nella metropolitana di Tokyo da dove continua a perlustrare i sentieri della rete. Fin dalle prime pagine è evidente un fortissimo senso di attesa, accentuato da un’atmosfera di continua sospensione, con i continui richiami ai “punti nodali” (come vengono chiamati i modelli emergenti nel tessuto della Storia) e l’apparente approssimarsi di un qualche tipo di sconvolgimento epocale: qualcosa di simile a un misterioso avvenimento – ricostruito a fatica e ancora molto nebuloso – che nel 1911 cambiò i destini dell’Europa e del mondo intero, portando nel giro di tre anni alla Grande Guerra. Autoesiliatosi nelle viscere di Shinjuku, l’analista continua ad accumulare informazioni e dati, attenendosi con rigore a una disciplina che gli ricorda che “il passato è passato, il futuro è privo di forma. Esiste solo l’attimo, ed è lì che preferisce essere”. Ma uno degli effetti collaterali della droga sperimentale ha indotto in lui una forte fascinazione per una particolare personalità carismatica: il tycoon Cody Harwood, uno degli uomini più potenti d’America, del cui zampino si sospetta anche nell’affare politico dell’indipendenza della Padania (forse i lettori italiani avrebbero preferito che il nostro Paese entrasse nel romanzo per qualcosa di più credibile, ma resta il significativo segnale dell’interesse tributato da Gibson alle nostre questioni nazionali). Studiandone le abitudini, Laney arriva a convincersi che Harwood svolgerà un ruolo cruciale nell’imminente cambiamento. E prevede che Harwood, anche lui consumatore di 5-SB, farà di tutto per volgere gli eventi a proprio vantaggio.Mentre Laney chiede a Rydell di recarsi a San Francisco, dove è sicuro che si sprigionerà il prossimo “punto nodale”, anche Chevette è di nuovo diretta nell’area della Baia: in fuga da un ex-fidanzato alquanto ossessivo, sta facendo ritorno al Ponte per cercare momentaneo rifugio. Anche Harwood ha incaricato un suo uomo di tenere d’occhio il Ponte: cultore di arti marziali e della disciplina del Tao, descritto in maniera vaga attraverso rapidissime pennellate (mezz’età, occhialini cerchiati d’oro), con pochissimi accenni al suo passato (qualche richiamo a una esperienza militare, il ricordo di una donna che lo perseguita), Konrad è forse il perfetto antagonista di Laney. Sembra infatti capace di sfuggire alle indagini e alle stesse capacità di analisi del net-runner, aggirandosi non visto nella trama della realtà, incombendo come un’ombra o una variabile impazzita sul futuro del mondo. Per sottolineare questa sua peculiarità, Gibson stesso evita di farne il nome nei capitoli che dedica alla sua storia, descrivendo l’azione con una significativa terza persona impersonale. Ma c’è anche un altro spettro che incombe sulla Storia ed è quello di Rei Toei, l’aidoru
Ancora Walled City, prima della sua demolizione: il futuro di Gibson affonda salde radici nel nostro presente.
Ancora Walled City, prima della sua demolizione: il futuro di Gibson affonda salde radici nel nostro presente.
venerata come una dea del cyberspazio dal piccolo Silencio, altra memorabile invenzione gibsoniana che sembra rievocare il Manfred Steiner del dickiano Noi, Marziani : un ragazzino autistico che sembra riuscire a vedere laddove i “normodotati” normalmente non arrivano con il loro sguardo. Proprio come i personaggi de La Svastica sul Sole inseguivano negli oggetti del modernariato americano una traccia immanente dello spirito dell’America perduta e, per estensione, il segno rivelatore di un tempo che trascendesse l’ambiguità e la precarietà del loro tempo alternativo, così in American Acropolis gli orologi dei piloti della Prima Guerra Mondiale tramandano ai posteri l’essenza di un’epoca (lo Zeitgeist) che non è più e forse l’ideale cui guardare (o magari da recuperare?) davanti alla nuova frontiera tecnologica che si annuncia all’orizzonte.Abile come al solito nel tirare le fila, Gibson tocca con questo libro il vertice della Trilogia del Ponte per completezza e per compiutezza. Il finale apocalittico in cui si risolve la tensione millenarista costruita nei precedenti romanzi, e alimentata in questi ultimi capitoli, è addirittura magistrale e dimostra ancora una volta l’altissima considerazione in cui l’autore tiene l’impatto delle nuove tecnologie, che in questo caso combaciano con un’evoluzione delle nanotecnologie che potrebbero rivoluzionare non solo gli equilibri sociali e politici del pianeta, ma la nostra stessa percezione del mondo. Con un dispositivo in grado di riprodurre qualsiasi schema molecolare, ricreando alla perfezione le specifiche date, avrebbe ancora senso una distinzione tra la copia e l’originale? È questo che si chiede Gibson, echeggiando ancora una volta, e meglio che in passato, la lezione di Philip K. Dick. La sola risposta possibile, forse, è quella ispirata dall’approccio zen di Silencio o di Rei Toei. Perché “non c’è Storia. Solo un’unica forma costituita da forme minori, in una contorta riduzione frattale, che scende fino alla più piccola delle soluzioni possibili. Ma c’è sempre un sarà. Il futuro è di per sé plurale”. E, se così stanno le cose, ogni rivoluzione, per quanto radicale, brusca e violenta possa essere, risulterà sempre tollerabile a patto che sia condivisa, che anziché riversarsi dall’alto in basso come la parodia di un’imposizione celeste, s’imponga da subito all’attenzione di tutti, operando una sorta di parificazione cosmica e umanitaria.Ancora echi di Singolarità, quindi. Ascoltati con le umanissime orecchie degli ultimi e dei menomati: in senso fisico, come Rei Toei (la donna senza corpo) o Silencio (il ragazzino senza parola), e in termini astratti, come Konrad (l’uomo privato di tutto, quasi uno spettro tecnologico) e Laney (l’asceta, il cui contatto con il mondo passa attraverso un’interfaccia elettronica). Il vero progresso, sembra dirci Gibson, non scaturisce dall’uso della tecnologia come valore aggiunto nella lotta per la competizione, in una prospettiva retta ancora da un’anacronistica volontà di potenza; sorge invece dal suo impiego come uno strumento di redenzione. In questo il romanzo propugna un messaggio morale altissimo, del peso che può avere una cognizione realmente rivoluzionaria, una coscienza consapevolmente anarchica.