Dopo i drammatici fatti di Catania, un po’ alla chetichella gli stadi italiani hanno quasi tutti riaperto i cancelli all’ingresso dei tifosi, tra tentennamenti, dubbi e tornelli. I dubbi riguardano principalmente la ripresa delle ostilità fuori e dentro le curve più che il prosieguo dei campionati di calcio, mai seriamente in discussione. L’incubo che turba il sonno di dirigenti sportivi e responsabili dell’ordine pubblico ha per protagonista un’orda malefica di barbari coperti da passamontagna e sciarpe, pronti alla battaglia armati di seggiolini divelti, spranghe di ferro e tazze del water sradicate.

Quello della violenza nel calcio è un problema antico quanto l’umanità stessa, eppure l’aggressività è stata probabilmente uno dei motori dell’evoluzione. Lo aveva intuito Stanley Kubrick quando faceva brandire al suo scimmione un osso a mo’ di clava e così facendo dava il via al fantastico percorso intellettuale verso la navetta spaziale di 2001: Odissea nello spazio. Mentre i sociologi e gli psicologi dibattono e si arrovellano su come debellare il terribile morbo, un altro maestro della letteratura di fantascienza (anzi, della letteratura tout court), il compianto Robert Sheckley, ha teorizzato la legalizzazione della violenza, l’introduzione di regole standardizzate alle quali gli istinti aggressivi e delittuosi degli uomini devono sottoporsi pena l’esclusione dalla società. Storie come La settima vittima e l’oscuro e inquietante Gli orrori di Omega spiegano la teoria meglio di tanti speciali televisivi e lezioni universitarie.

Per restare nel campo sportivo, nel 1975 lo sceneggiatore William Harrison e il regista Norman Jewison dimostrarono di aver perfettamente inquadrato il collegamento tra la competizione sportiva e lo sfogo dell’aggressività. Rollerball è l’amplificazione di ciò che oggi succede durante le partite di rugby e di hockey, o durante gli incontri di wrestling, quando gli spettatori sono troppo impegnati a godere della sofferenza degli atleti per suonarsele tra di loro.

Se mettiamo insieme tutto questo, il problema della violenza intorno al calcio è di facile soluzione. È sufficiente inquadrare un contesto di regole nel quale permettere ai comportamenti violenti di esplicarsi in modo compiuto. Ai tifosi sarà permesso incendiare un numero massimo di cassonetti, sventrare un certo quantitativo di suppellettili appositamente predisposte e anche muoversi in formazione contro reparti scelti di poliziotti replicanti, ovvero robot umanoidi molto semplici riempiti di interiora di mucca e sangue di maiale, disposti in ordine sparso pronti per farsi massacrare e sventrare dagli ultrà di turno. Alla peggio si possono ingaggiare gruppi di immigrati clandestini che si fingano forze dell’ordine, con la promessa di un passaporto e di un sussidio di disoccupazione. I trasgressori saranno obbligati a vestire la divisa delle forze dell’ordine passando così dall’altra parte della barricata. Tutto ciò prima di entrare nello stadio, come forma propedeutica di sfinimento fisico e rilassamento mentale.

Una volta in curva, lasciato ovviamente libero qualunque tipo di insulto o impropero tra

quelli autorizzati in un apposito elenco, lo spettacolo si trasferirà sul rettangolo verde, dove il gioco violento non solo non verrà represso ma anzi, sarà consentito e incoraggiato. Perché limitarsi a rompere una caviglia a Totti quando gli si può procurare anche un trauma cranico? (tanto il suo acume non ne risentirebbe granché). Nessuno sugli spalti sprecherebbe tempo in atti teppistici con il rischio di perdersi lo spettacolo del setto nasale di Ibrahimovic che va in frantumi, o del ginocchio di Gattuso che si piega a 45 gradi dalla parte sbagliata, o del delicato torace di Trezeguet che viene stritolato nella morsa di una coppia di arcigni difensori del Lecce o del Crotone.

Naturalmente occorrerà pensare alle opportune modifiche al regolamento del gioco, per permettere sostituzioni libere, panchine lunghissime, timeout necessari all’ingresso delle ambulanze e quant’altro sia utile alla giusta esaltazione dello spettacolo. I bookmakers lancerebbero scommesse su quanto riuscirebbe a reggere Adriano prima di farsi massacrare la tibia, o quanto ci metterebbe Cannavaro a mandare Ronaldihno in terapia intensiva. Gli istinti violenti verrebbero pertanto incanalati e, in qualche modo, “educati”, resi più funzionali al pacifico e sereno andamento della società, e tutto ciò con una spesa sicuramente inferiore a quella che si sta delineando al giorno d’oggi nell’effimero tentativo di arginare un fiume in piena.

Il rovescio della medaglia lo si potrebbe trovare nel gestaccio di Zidane alla finale degli ultimi mondiali: in quell’occasione l’espulso sarebbe stato il nostro Materazzi, reo di essere crollato come una femminuccia dopo una sola testata e senza neanche farsi incrinare qualche costola. Non avremmo vinto la coppa, ma vivremmo tutti in una società più tranquilla e rilassata e questa sarebbe una vittoria di gran lunga più importante. Forse.