Le prime ipotesi

La struttura di Tyre ha un diametro di circa 140 km ed è uno dei pochi crateri da impatto presenti su Europa. L'immagine, in falsi colori, è stata scattata dalla Galileo il 4 aprile 1997.
La struttura di Tyre ha un diametro di circa 140 km ed è uno dei pochi crateri da impatto presenti su Europa. L'immagine, in falsi colori, è stata scattata dalla Galileo il 4 aprile 1997.
Poiché è scientificamente del tutto irragionevole ritenere che Europa presenti pochi crateri da impatto solo per il caso fortuito di un basso numero di corpi celesti a essersi schiantati sulla sua superficie (gli asteroidi di solito non mostrano tali riguardi, neanche nei confronti delle belle fanciulle di stirpe regale!), c'era solo un'altra ipotesi che poteva essere avanzata a spiegazione di ciò. Ovvero che la superficie planetaria fosse stata "rimodellata" nel corso del tempo da eventi geologici particolari. A questo proposito il celebre astronomo Eugene Shoemaker fece un calcolo molto semplice, basato sul numero di comete che intersecano l'orbita di Giove e sul fatto che un cratere di 10 km di diametro si dovrebbe formare ogni 1,5 milioni di anni. Alcune estrapolazioni delle prime fotografie di Europa, indussero a ritenere che ci fossero in tutto circa 45 crateri di quelle dimensioni, facendo dunque pensare a un'età del satellite di 30 milioni di anni. Per Shoemaker si trattava di un tempo sufficiente perché i crateri fossero stati spianati. Però, affinché ciò si realizzasse, doveva verificarsi anche un'altra condizione: il satellite doveva essere ancora geologicamente attivo. In altre parole l'interno del pianeta doveva essere "caldo".

Sale e scende la marea...

Le immagini del Voyager, tuttavia, non solo non consentivano di garantire la certezza assoluta dell'assenza dei crateri e dunque dell'età del satellite, ma pareva quantomeno bizzarro che un corpo così piccolo fosse ancora attivo. Malgrado ciò, l'ipotesi di Shoemaker pareva assai ragionevole, per cui vennero cercati altre spiegazioni che la confermassero. In fin dei conti l'unico punto in sospeso era trovare una fonte "alternativa" di calore e non ci volle molto perché i ricercatori la trovassero nell'osservazione dei comportamenti gravitazionali legati alle orbite dei satelliti galileiani rispetto a Giove, in particolare tra Giove, Europa, Io e Ganimede. Le osservazioni mostrarono infatti il verificarsi di un particolare fenomeno che coinvolge questi corpi celesti e che è conosciuto come "risonanza di Laplace". In pratica i periodi di rivoluzione di questi satelliti sono multipli interi tra loro. Ciò significa che, partendo dal più lontano, con una precisione che si potrebbe definire svizzera, ogni volta che Ganimede compie un'orbita intorno a Giove (7,2 giorni terrestri), Europa ne effettua due (3,6 giorni terrestri) e Io quattro (1,8 giorni terrestri). Questo particolare modo di orbitare intorno a Giove provoca perturbazioni gravitazionali che, "stirando" periodicamente il satellite in tutte le direzioni, si traducono in effetti mareali che producono calore ed effetti meccanici di elevate proporzioni. Questa, ad esempio, è la medesima ragione dell'intensissima attività vulcanica di Io, ma è stato calcolato che anche l'interno di Europa potrebbe essere abbastanza caldo da fondere il ghiaccio al di sotto della superficie già oltre i 10 km di profondità. Fu così che, benché sulle prime potesse sembrare un'idea balzana, gli astronomi cominciarono seriamente a pensare che sotto la crosta ghiacciata di Europa potesse nascondersi un oceano.