Battezzò i bambini Pierpiero e Silpiero, sia in accordo alla metafora strisciante di questo romanzo ove tutti i personaggio si chiamano quasi allo stesso modo per simboleggiare la circolarità del tempo e il ripetersi eterno degli stessi errori nell'esperienza umana, sia perché proprio non era capace di inventarsi nomi decenti da cristiano.

Gli anni trascorsero, nella tranquilla Macondo Due, tra l'apprensione dell'oziosità e l'avvicendarsi implacabile delle stagioni. Per il decimo compleanno dei nipoti, Silsilvio decise di regalar loro un clavicembalo. Tuttavia, nessun Buendía sapeva suonarlo, anche se in gioventù il patriarca aveva cantato su note navi da crociera quali il Titanic, l'Andrea Doria e l'Achille Lauro, prima che lo facessero smettere con incomprensibili accuse di essere un portasfiga. Per questo motivo, il patriarca assunse e portò a casa lo strimpellatore che era in offerta 2x1 insieme allo strumento, un tale Apicellas, mezzo indio e mezzo napoletano.

Anche costui aveva poteri magici (ricordiamo che persino il più sfigato dei personaggi di questo romanzo è come minimo telecinetico, però se dite in giro che si può vincere un Nobel scrivendo fantascienza vi guardano tutti come se foste deficienti): difatti appena installato in casa Buendía riuscì, pur essendo dotato per la musica quanto un'iguana gobbuta del Paranà, a diventare un artista internazionale disputato da ogni trasmissione radiofonica o televisiva che si occupasse anche solo lontanamente di canzoni.

Pierpiero e Silpiero trascorsero gli anni dell'adolescenza accompagnati giorno e notte dalle melodie strappacore di Apicellas. Un concerto continuo, che s'interruppe solo il giorno in cui i due ragazzi, giunti ormai alla maggiore età, infilarono il clavicembalo su per l'orifizio anale del maestro e scapparono di casa per dedicarsi a un'onesta carriera da serial killer.

Furono catturati soltanto dopo che ebbero sterminato il cast di Sanremo, incaprettato la compagine del Festivalbar e sciolto nell'acido la compilation del Disco per l'Estate. Erano già legati alla sedia elettrica quando Silsilvio Buendía irruppe nel braccio della morte sventolando la nuova legge di Macondo secondo cui tutti i gemelli orfani il cui nome finiva per "iero" avevano incontestabile diritto di trucidare qualunque cantante e soprattutto Marco Masini.

Il patriarca compiva quel giorno novantasei anni, ma li dimostrava solo dal colletto della camicia in giù, perché tutte le mattine si stirava la pelle del viso con olio di castoro e catarro di guanaco. Quando la moglie protestava per la puzza e le macchie del cuscino, Silsilvio ribatteva di essere l'Unto del Signore, e che quindi se aveva qualcosa da ridire si poteva rivolgere direttamente a Lui.

Quando i due nipoti misero su famiglia accasandosi, secondo la tradizione dei Buendía, con altrettante Letterine, Silsilvio donò a entrambe le coppie una villa, un panfilo, un partito politico, quattro leccaculo ufficiali e una rete televisiva. Poi, finalmente sedotto dai pacifici acciacchi della vecchiaia, sedette sui gradini del porticato in stile coloniale a mirare il caduco tramonto latino-tropicale.

Laggiù lo raggiunse Craxíades. Notandolo abbacchiato, lo spettro s'informò sull'umore dell'amico di sempre.

- Che ti succede, Silsilvio? Che ci fai qui seduto tutto solo?

- Aspetto che passi il mio funerale - rispose l'altro.

- Che dici? Guarda che tra noi due il morto sono io!

- Mah... A dire il vero in questa storia, tra fantasmi, zombie, profezie, miraggi, miracoli, superstizione, spiritismo, reincarnazione, veggenti e paragnosti non si capisce più un emerito cazzo.