Poi il diavolo arretrò, mentre il roveto si attorcigliava sul collo e sul volto di Lùssia, che annaspava in cerca d'aria.

Uscì dalla capanna, richiudendo la porta di legno.

Guardò il cielo: avrebbe raggiunto la città prima del buio.

III.

Sulla parete a sinistra c'erano affreschi, e immagini sacre. Normalmente, guardandole, avrebbe provato un moto di fastidio. Avanzò, piano, sul pavimento della chiesa.

Il parroco parlava, e la gente a volte rispondeva, tutta insieme. Il soldato elfo si avvicinò verso le panche di legno vicino all'altare, senza badare alle persone che lo salutavano con un cenno del capo, o con il segno della croce, scambiandolo per un frate, per via del cappuccio e del saio che gli arrivava fino a coprirgli i piedi. Sull'altare erano accesi dei candelabri.

Sbattè le palpebre: sull'altare, vicino a un calice d'oro, c'era anche un sasso di colore nero.

L'occhio del corvo era lì, davanti a lui. Il soldato Rädala si avvicinò, lo sguardo avido: la pietra con la quale si potevano compiere mille prodigi, e comandare le legioni infernali. Vincere ogni nemico in battaglia... Si guardò intorno.

Cos'avrebbe fatto, ora?

Occorreva prenderla con l'inganno, aspettare che la messa fosse finita. Notò un posto vuoto alla sua destra. Andò a sedersi accanto a una donna.

E poi guardò davanti a sé, il parroco che parlava.

Immaginò se stesso alzarsi, ucciderlo. Prendere la pietra e portarla a re Camìlgiar, ottenendo la sua graziosa riconoscenza. Poi, avrebbe lasciato la sua condizione di schiavo e sarebbe entrato nella schiera dei nobili elfi, assumendo le loro eleganti sembianze, vivendo come un principe.

Osservò, incuriosito, il crocifisso di legno, le statue.

Che strane divinità, avevano gli uomini. Nessuna di loro aveva delle armi, delle spade. Nessuna di loro indossava armature, o elmi con animali ringhianti. Il loro dio doveva essere quello che c'era sulla croce. Le braccia aperte, era inchiodato al legno, con un'espressione di sofferenza. Rädala inclinò la testa da un lato, studiandolo con interesse.

Spalancò gli occhi, sorpreso, quando udì il parroco che aveva appena cominciato a parlare in una strana lingua.

Si chiese cosa stesse succedendo. Deglutì, sentendosi senza fiato. Il parroco stava pronunciando delle parole in latino?

Sì, ma c'era anche un'altra cosa, che lo stava infastidendo: quel fumo che usciva dall'altare, un odore insopportabile.

Tossì una volta, tentò di riprendere il controllo di sé.

Incenso. Non ci voleva. Tossì ancora, si guardò intorno. Uscire da lì, e alla svelta.

Si alzò dalla panca. La bocca chiusa, respirò solo dalle narici. Camminò sorreggendosi alle panche di legno. Stranamente, nessuno stava dando importanza al suo comportamento. Tutti continuavano a guardare verso l'altare, ascoltando la messa.

Aria. Quel fumo, quell'odore velenoso... E le parole del prete, che rimbombavano fra le pareti. Si voltò a guardare l'altare. Non era mai stato così vicino all'occhio del corvo. Probabilmente, nessun elfo era mai stato così vicino ad afferrarlo. Tossì, stavolta così violentemente che si piegò in avanti, toccandosi la gola. La vista si stava annebbiando, la chiesa era diventata più buia.

Poi capì che non era la vista che si annebbiava: il portone era stato chiuso, l'illuminazione della città non entrava più.

Rädala ebbe un moto di sorpresa e paura quando vide che due uomini si erano messi in piedi davanti al portone, sbarrando il passaggio. E lo stavano guardando.