Come ormai è ben noto a tutti, nel mondo si sta propagando un'epidemia generata da un virus sconosciuto simile a quello della polmonite. Al momento in cui scriviamo questo editoriale i morti accertati sono oltre 600 e migliaia i casi sospetti tra Asia, Europa e Canada. Sono già stati convocati i ministri dalla U.E. per definire una politica di controllo comune sui passeggeri di provenienza dalle aree a più alto rischio d'infezione. Quello che vediamo dai network televisivi sono intere città fantasma, scuole chiuse, mercati, ristoranti, cinema, teatri e negozi in quarantena. Da noi la vera esplosione del virus è attesa per il prossimo autunno, anche se la gente ha già cominciato a guardare con sospetto chiunque abbia lineamenti asiatici, o è di ritorno da quei luoghi dove si è sviluppato questo ceppo della polmonite atipica. I politici tendono a sdrammatizzare e a evitare gli allarmismi e gli isterismi di massa, alcuni scienziati mostrano una misurata preoccupazione...

Quello che potrebbe sembrare un tema della fantascienza - il classico nemico invisibile - purtroppo fa parte della nostra realtà, dimostrandoci per l'ennesima volta come il confine tra SF e quotidiano si assottigli sempre di più e la latente paura dell'uomo di invasioni extraterrestri deve invece fare i conti con un microcosmo apparentemente più letale. A dire il vero i primi "casi" di virus letali nella fantascienza avevano contribuito proprio a debellare gli invasori marziani. Naturalmente stiamo parlando del classico La guerra dei mondi di H.G. Wells, del 1898, portato poi nel 1954 su grande schermo da Byron Haskin.

Svariati autori di science fiction si sono preoccupati di raccontare all'umanità i pericoli di morbi letali, dove tra gli esempi basti citare Il morbo bianco di Frank Herbert, L'ultima fase di Greg Bear, L'anno del contagio di Conie Willis. Non di rado il virus ha causato il crollo della civiltà: si pensi per esempio al serial televisivo degli anni settanta I sopravvissuti di Terry Nation, o al recente Jeremiah di J. Michael Straczinsky, o ancora, naturalmente, al classico dei classici sugli zombie, I am Legend di Richard Matheson.

La fantascienza stessa, nel corso degli anni si è evoluta, si è trasformata, e molta narrativa di genere è divenuta una vera e propria commistione di generi. In questo nuovo contesto, a volte, possono sfuggire ai fan alcuni titoli che vengono considerati "medical thriller", ma che se andiamo a scavare bene, possono rientrare a pieno titolo nell'opera di fantascienza tout-court. Tra questi autori vogliamo citare, ad esempio, Robin Cook. Nel 1997, Cook, ha scritto il romanzo Invasion (Sperling) che parte proprio dalla propagazione di un'epidemia generata da un virus ignoto molto simile a quello dell'influenza. Nella sua storia, chi sopravvive subisce però un forte cambiamento della personalità, in quanto il micidiale virus ha coscienza di sé e "parla" attraverso i contagiati, facendoli partecipi di una duplice natura che non vi vogliamo svelare...

Al momento la SARS sta mietendo circa il dieci percento delle vittime rispetto al numero totale dei contagiati. Chi supera la fase critica non sembra subire - per nostra fortuna - contraccolpi fisici, come invece avviene nella narrazione di Cook.

In tutto questo lasso di tempo, che va dal citato romanzo di Wells ai giorni nostri, gli autori che hanno anticipato con le loro opere le potenziali mutazioni virali, sembrano dirci all'unisono che il peggior nemico dell'uomo non si trova né in Iraq, né su demoniaci pianeti sconosciuti, ma bensì in un microcosmo in costante mutazione in cui i virus operano costanti metamorfosi per prendere il sopravvento su animali ed esseri umani. Per loro questo significa rigenerarsi e sopravvivere. Per noi, invece, vuol dire lottare spasmodicamente alla ricerca di antidoti, per evitare catastrofi purtroppo già vissute con l'avvento della Peste e dell'Aids.