Quando le radici: Roberto Sturm

Nato nel 1959 ad Ancona, dove vive e lavora, Roberto Sturm è tra i redattori della webzine Intercom ( ..

Roberto Sturm: leggi la presentazione di Vittorio Catani

1.

Ordino un altro bicchiere di rosso prima di andare.

La ragazza che serve ai tavoli mi passa davanti, togliendomi per un istante la visuale. Mentre accenna un tenue sorriso di scuse i suoi lineamenti mi ricordano una delle sorelle che gestivano il bar tempo fa, la madre probabilmente. Torno indietro a pescare nei ricordi e quel viso mi appare nitido.

La vetrata davanti al tavolo è sempre la stessa, malgrado la mia assenza, e con lo sguardo descrivo un semicerchio che abbraccia l'intera città.

Ancona dolce signora, sinuosa sinfonia di colli che festeggia il mare.

Dal mare il sole sorge, nel mare tramonta.

Cambiata nelle geometrie di parecchie architetture, la città è rimasta circoscritta sulla stessa superficie e proprio la particolare morfologia del territorio è stata la miglior difesa contro uno sviluppo edilizio selvaggio.

Un sibilo annuncia l'arrivo della metropolitana di superficie che taglia in due la città. Spostata alla mia sinistra, una struttura metallica sembra l'impalcatura della chiesa degli Scalzi. Vedendo quelle travi, devo reprimere il disagio provocato dall'oltraggio del profano su ciò che, nonostante non sia credente, ho sempre considerato il simbolo del sacro.

Il sole calante regala striature rossastre alla superficie del mare e il porto è immerso in una luce irreale.

Dopo pochi secondi le vetture intraprendono il viaggio di ritorno verso l'estrema periferia sud, verso i quartieri dormitorio adiacenti alla zona industriale e commerciale, là dove lo sviluppo è stato veramente incontrollato.

Ancona spocchiosa, sprezzante ghigno di superiorità verso chi non la conosce, chi non è del posto.

Ancona come me, trent'anni fa.

Sorrido, dopo tanto tempo. Finalmente a casa.

Qualche mese prima. Quattro, precisamente...

Il boccone che stavo masticando quasi mi soffocò quando ti vidi. La mente fissa nei soliti pensieri, girai lo sguardo distrattamente al rumore della porta che si apriva. Non c'era troppa confusione in quella pizzeria di Torino centro stile fine novecento, ma la mia mente esplose quando vidi il montgomery di patchwork che indossavi. Schegge di ricordi mi ferirono il cervello quando i miei occhi t'incontrarono di nuovo mentre ti toglievi il cappuccio e scrollavi il capo per allontanare le gocce rimaste nei corti capelli castani.

Fuori del locale e dentro di me il temporale imperversava.

- Claudia - mormorai appena.

Ti voltasti sorpresa. I tuoi grandi occhi azzurri finirono di folgorarmi. Eri proprio tu, la Claudia di tanti anni prima.

- Hai il montgomery identico a quello d'una persona che conoscevo - riuscii a biascicare.

- Che conoscevi?

- E' tanto tempo che non la vedo.

Il tuo sguardo mi studiò un attimo, per capire se fossi sincero o un semplice attaccabottoni. Fu il mio pallore, credo, a convincerti.

- E' strano che tu ne abbia visto uno identico. E' molto particolare, lo fece cucire mia madre quando era giovane.

- Sono certo di averlo visto - dissi cercando di assorbire il colpo. - Trenta anni fa.

Serrasti leggermente le palpebre, nell'inconfondibile gesto di tua madre quando dubitava delle parole di qualcuno. I miei ultimi dubbi crollarono.

- Trenta anni fa? - sillabasti le mie ultime parole. - E tu quanti anni avresti?

- Trenta - risposi senza pensare a come potesse sembrarti assurda tutta la conversazione.

- Io sono Michela. - Ti sedesti al mio tavolo. - Mia madre si chiama Claudia.