Delos 27: Racconto: Amici racconto di

Roberto Sturm

amici

Questo racconto è stato segnalato a un'edizione del premio Alien (perdonatemi ma non ricordo più quale), ma da quello che so ha ottenuto anche altri riconoscimenti, per cui qualche pregio "oggettivo" deve necessariamente averlo. Se decido di pubblicarlo su Delos è perché a me personalmente è piaciuto, ha rievocato emozioni che credevo sopite da tempo, forse anche dolorose, eppure estremamente vivide e reali. Quando un'opera di narrativa riesce a toccare certe corde del nostro intimo, allora vuol dire che almeno in parte ha raggiunto il suo scopo. "Amici" di Sturm, per quanto mi riguarda, c'è riuscito perfettamente, anche se non saprei oggettivare in alcun modo quello che ha suscitato dentro di me.

-- Franco Forte

Passeggiamo per il parco, alla ricerca di un po' d'ombra per difenderci dal primo caldo di giugno. Lasciandoci alle spalle i bambini che giocano tra loro, sotto lo sguardo vigile dei genitori, nella parte dove ci sono cavallucci a dondolo, altalene, scivoli e costruzioni da scalare, ci avviamo verso una zona più tranquilla, alberata, dove pensionati seduti sulle panchine leggono il giornale.

Proprio due pensionati a passeggio, ecco cosa sembriamo alle rare coppiette, per lo più studenti che hanno fatto a meno degli ultimi giorni di scuola, che incrociamo.

Due ragazzi che non hanno niente da fare, ci dicono gli occhi dei pensionati che si alzano al nostro passaggio da una lettura non troppo assorta.

Invece siamo due amici, da vent'anni, arrivati a metà strada tra i trenta e i quaranta, che non fanno parte né degli uni e né degli altri.

Nel limbo di mezzo, la caratteristica di tutta la nostra esistenza.

Ancora troppo idealista Mario, divenuto troppo razionale io (sì, lo so, si dice pratico, oggi), non abbiamo mai avuto la forza (il coraggio?) di scegliere. Di schierarci.

A vent'anni gli altri andavano in discoteca, e noi passavamo i sabato sera in macchina a parlare dei nostri scazzi. A vent'anni qualcun'altro aveva scelto l'impegno politico, ma noi sempre in macchina, anche nel '77.

Adesso passiamo intere mattinate a raccontarci le nostre sedute di psicoterapia, lui turnista alle poste, io turnista in un centro elaborazione dati.

Molti sono sorpresi per come la nostra amicizia abbia resistito nel tempo, così diversi da quando i nostri interessi hanno cominciato a divergere. Alcuni dicono che ci vediamo poco, altri che la nostra amicizia è destinata a finire, e noi ridiamo.

Quello che mi piace della nostra amicizia è che possiamo stare mesi senza vederci, ma quando ci incontriamo di nuovo è come se fosse il giorno dopo. Non abbiamo bisogno di chiederci come va o cosa abbiamo fatto in tutto questo tempo. Mario.

Gli estremi si toccano. Io sono nato il 9 di agosto, Mario il 9 di febbraio.

Adesso comprendo le vostre affinità, il vostro rapporto elettivo, il vostro capirvi a sguardi. Esattamente sei mesi di differenza. Esattamente opposti. Esattamente uguali. Un'amica astrologa.

Io sposato, in attesa di un figlio, Mario ancora alla ricerca del grande amore.

Ma esiste il grande amore?

Deve esistere, altrimenti nulla avrebbe senso. Mario.

Ma voi non parlate mai, basta che vi guardiate e vi capite al volo, io sono gelosa della vostra complicità. Una mia ex.

Abbiamo tirato spesso fino al mattino per parlare di te e Mario. Una sua ex.

Mario ha cambiato psicologa da quando la dottoressa che avevamo entrambi mi ha scambiato per lui.

Lei non sapeva che ci conoscevamo, ma quando mi ha detto che io potevo trovare sfogo nella natura, nelle lunghe passeggiate che facevo, nell'impegno ecologista che avevo intrapreso, ho faticato per non sbuffare. Non mi piace passeggiare, non sono impegnato nel WWF. Era Mario questo, senza dubbio.

Che i nostri super-io, ciascuno che sorvegliava l'altro, abbiano fatto effetto anche su di lei?

Forse è vero che gli opposti si toccano. O almeno si confondono.

Vedi, ci controllavamo reciprocamente impedendoci comportamenti che l'altro non approvasse. Avevamo bisogno della completa approvazione dell'altro, solo così ci sentivamo soddisfatti. Per questo dovevamo allontanarci fisicamente, per comportarci come mai avremmo fatto insieme, altrimenti ci saremmo distrutti psicologicamente. Mario.

Forse glielo ha detto il nuovo psicologo.

Se non riesci a buttare fuori le tue paure, queste continueranno a montarti dentro e a darti questi sintomi. Starai bene forse tre o quattro giorni, poi riprenderà la stanchezza, la colite, il blocco allo stomaco. E sarà un ciclo continuo o ti imbottirai di psicofarmaci. La mia psicologa.

Le mie ansie per il figlio in arrivo, per le nuove responsabilità incombenti.

E' strano, ti ho sempre visto come colui che aiuta la gente, che ascolta, che suggerisce, che tira su il morale. Alberto il forte, che non ha bisogno d'aiuto. Mario.

Mi conosce da vent'anni, dieci anni passati praticamente insieme, dalla scuola a notte inoltrata.

Stessi amici, stessi hobby, stessa faccia da prendere per il culo, stesso atteggiamento di superiorità verso gli altri (timidezza, difesa o cos'altro?).

Noi andiamo a giocare a bowling, voi che fate? Gli amici, la sera in piazza.

Ci guardiamo. No, andate, noi restiamo qui. Come a dire: andate a fare in culo voi e il bowling.

Non sapete divertirvi, sempre a tirar menate esistenziali. Siete proprio pallosi. Altri amici e amiche.

Sorrisino ironico, noi. Minimalismo alla massima potenza.

Poi un giorno Daniele ci dice che l'intelligenza è un boomerang.

Ci guardiamo. Perfetto, il nostro motto. Alla faccia di quei coglioni del bowling e del non sapete divertirvi.

Siamo eterni scontenti, ma siamo in due.

Quest'atteggiamento a volte paga, senza che ce ne accorgiamo. Il fascino dell'intellettuale, un po' bohémien, un po' svogliato fa qualche vittima. Relazioni quasi sempre inspiegabili le mie, senza senso le sue.

Il fascino dell'intellettuale. Proprio a noi che soffriamo di una sindrome di inferiorità culturale verso chi ne sa più di noi.

Per Dio! Siamo a mezza strada pure qui: chi ci considera intellettuali e chi ignoranti.

A pallone eravamo mediocri, a scuola la media del sei, con le donne un po' scarsi, cultura lo stesso, a biliardo... no, a biliardo eravamo da nove. Quattro anni passati al bar, tre o quattro ore al giorno a giocare.

Ragazzi, se continuate così fra qualche tempo sarete imbattibili. Uno spettatore.

Famoso il mio accosto a cinque sponde.

Famosa la regolarità di Mario.

Le geometrie del biliardo, al contrario di quelle della vita, non sono affidate al caso. Il biliardo è contrapposto alla vita: non può tradirti. E' tutto nelle tue mani, le sue quattro sponde rispondono geometricamente alle sollecitazioni. Se i tuoi calcoli sono giusti e colpisci l'esatto punto della sponda, nulla può impedirti di mandare una palla in buca o il pallino nel castello dei birilli. Non esistono traiettorie imprevedibili e puoi comunque escogitare un colpo che aggiri l'ostacolo. Sempre.

La vita, invece, è l'opposto: fai i tuoi calcoli con estrema attenzione, ti prepari ad affrontare certe situazioni, fai progetti, ma sistematicamente un ostacolo imprevisto, inaspettato, manda tutto in fumo (o in buca).

Una traiettoria fortunosa, imprevedibile, che non risponde ad alcuna regola, ti devia il colpo.

Per questo non amiamo la vita alla follia.

Ho insegnato a Mario a giocare, e dopo qualche mese ha cominciato a battermi quasi sistematicamente. Ma a soldi Mario non giocava perché perdeva. Io con lui, senza posta in gioco, perdevo, con gli altri vincevo. Sistematicamente.

Questione di concentrazione. Di fiducia in se stessi. Alberto il forte. Giocavamo a volte in coppia contro altri, e vincevamo.

Mario era regolare, ordinato, razionale.

Io più istintivo.

Il contrario di come siamo nella vita.

Per questo amavamo il biliardo.

Ho vinto partite già perse che Mario non avrebbe mai vinto. Ma ne ho perse altre che lui non avrebbe mai perduto.

Insieme non ricordo di aver mai perso. Imbattibili, completi per diversità.

Una mia ex, una volta, cercò di mettersi con lui, la ragazza che era gelosa della nostra complicità. Un tentativo di rivalsa verso di me, credo. E io, scherzando, dicevo a Mario che gli avrei fatto da testimone alle nozze, ma ero certo che non sarebbe successo.

Se fosse accaduto, probabilmente mi sarei sentito tradito.

Mario ha parecchi amici, pochi in comune con me. E parla con troppi.

Ma lui non la pensa come me.

Mario ama vedere gente, stare in compagnia, io sono più solitario, un libro, mia moglie, tra poco mio figlio. E pochi, pochi amici.

Il mio è un essere comunista strano, individualista quasi, il suo più ortodosso, più completo.

Eravamo a Spalato, anni fa, a casa di una nostra amica slava che viveva in Italia. Mangiavamo, mentre il padre di Marja ci spiegava i mali del comunismo.

Avete visto in Cile il governo Allende cosa aveva fatto? Per fortuna adesso stanno mettendo le cose a posto.

Io ho finto di non sentire, sentendomi obbligato, come ospite, a non contraddire il padrone di casa.

Ma noi siamo comunisti. Mario sbottò tra un boccone di zuppa e un altro.

Sai, papà, credo che loro vedano il loro regime come noi vediamo il nostro. La figlia, vedendo il padre sbiancare. Lo stato padrone, autoritario, prepotente.

Ah, ho capito. Ma non era convinto.

Che cazzo diceva, voleva mettere Allende a un piano inferiore rispetto a Pinochet? Che cosa farneticava?

Dai, ma non dovevi, non era il caso, eravamo a casa sua.

Non me ne frega niente, chissà che cosa hanno in mente questi.

Davanti a un biliardo, ci saremmo comportati in maniera completamente opposta. Non so perché.

O forse sì.

Mario s'innamora di ragazze molto più giovani di lui, io mi sono sposato con una mia quasi coetanea.

Bisogno di rivitalizzazione, di continue conferme il suo.

Esigenza di condividere, la mia.

Non riesco a comunicare con persone che hanno cinque o sei anni meno di me. Le sento distanti, diverse. Un'altra generazione.

Camminiamo e parliamo ancora, guardiamo gli orologi, il nostro turno pomeridiano ci fa incamminare verso l'uscita, verso casa.

Io vado a mangiare da mia madre. Mario.

No, io vado a casa. Ho gli avanzi di ieri. Mia moglie lavora anche questo pomeriggio.

Quando mi tolgo il casco e il guanto, è l'immenso silenzio che mi fa paura più del resto. Non ho nessuno con cui parlare, e i versi degli animali, lentamente, scompaiono. E' l'inquinamento, ci hanno spiegato, che sta arrivando anche in campagna. Della mancanza di solidarietà della gente, della solitudine in sé mi interessa poco. Hanno abbattuto un muro, anni fa, per erigerne a milioni, uno per ogni individuo.

La realtà virtuale, all'inizio, doveva servire per far pratica su operazioni chirurgiche, per simulare azioni di guerra, per ricostruire monumenti erosi dal tempo e dallo smog. Poi si passò alla simulazione erotica, e da lì cominciò la veloce spirale. Simulazioni in ogni campo.

Non ci piaceva la realtà virtuale, la vedevamo come uno strumento dei potenti per fare i propri comodi. Ognuno immerso nella propria realtà ideale, ignorando quella vera.

Poi uno di noi due se n'è andato, un banale incidente. Prima Alberto era stato lasciato dalla moglie per un altro uomo dopo la nascita del figlio e Mario non aveva trovato il suo grande amore.

E' da quando uno di noi due è morto che non so più chi sono, se Mario o Alberto. Probabilmente entrambi, forse nessuno dei due.

Vivo quasi tutto il mio tempo immerso nella realtà virtuale, una volta dal punto di vista di Alberto e l'altra di Mario.

Un loop ritmico, la mia realtà.

Quella di Mario e Alberto, senza inquinamento, lotte di potere, vetri isolanti antismog, terminali collegati in rete con cui lavorare e 'parlare' con gli amici da casa senza il rischio di uscire.

A Mario e Alberto bastava uno sguardo, senza bisogno di tastiere.

Un loop senza fine, Mario Alberto Mario Alberto Mario...

Lavoro, casa e letto, lavoro casa e letto, lavoro, casa e... Anche gli altri vivono un loop senza fine.

Alla radio hanno consigliato di installare vetri anti-inquinamento e girare con le maschere antismog anche qui, in aperta campagna, dove mi sono trasferito anni fa col mio personal e il programma di simulazione di quella giornata con Mario o Alberto.

Che importanza ha, chi sono io?

So che nella mia realtà, in quel parco che non esiste più da anni, non ho (abbiamo) bisogno di vetri isolanti e maschere.

La realtà virtuale si confonde con quella reale, prendendo ogni giorno sempre più il sopravvento.

La vita è un ripetersi di parole, gesti e abitudini...

Indosso di nuovo il casco e il guanto, sempre più frequentemente.

Tocca a Mario, adesso.

Credi che sia felice?. Alberto.

Sì, anche se non so perché. Io.

Gli estremi si toccano. Io sono nato il 9 di febbraio, Alberto il 9 di agosto.

Adesso comprendo le vostre affinità, il vostro rapporto elettivo, il vostro capirvi a sguardi. Esattamente sei mesi di differenza. Esattamente opposti. Esattamente uguali. Un'amica astrologa.

Io ancora alla ricerca del grande amore, Alberto in attesa di un figlio.

Quando mi chiedo se esiste il grande amore mi dico che deve esistere, altrimenti nulla avrebbe senso.

Ci guardiamo, Alberto sorride. Sì, esiste, lo pensa anche lui anche se è diventato troppo razionale (si dice pratico?), lo vedo dentro i suoi occhi verdi, dove, lentamente, entro con i miei occhi azzurri, e mi insinuo dentro di lui, quando entrambi diventiamo un unico. Uno soltanto.

Sto bene qui, il dolce tepore di giugno mi entra nelle ossa, rinvigorendo il mio spirito.

Non credo che ce la faranno neanche questa volta a toglierci di mezzo, a farci fare quello che vogliono.

La risposta la sento dentro di me. No, reagiremo anche stavolta.

Mi avvio, lentamente, verso il giardino.

Aprendo l'uscio di casa inspiro l'odore acre dell'aria.

Ci vorrebbe una maschera, ma mi metto a ridere sotto il casco.

Le maschere oggi le abbiamo tutti, senza bisogno di indossarle.

I potenti, invece, le hanno sempre portate.

Ma non hanno mai avuto amici. Né li avranno.

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