Il nome di Capitan Futuro, nemico supremo del male e di tutti i suoi discepoli, era conosciuto da tutti gli abitanti del sistema solare. Quel giovane avventuriero alto e fulvo, sempre pronto a sorridere e a menare le mani, era l’incubo di tutti i malvagi, umani o alieni che fossero. Univa audacia e determinazione a una conoscenza scientifica senza pari e per tutti i nove mondi brillava la sua stella luminosa e giusta. Edmond Hamilton: Capitan Futuro e l’Imperatore dello Spazio (1940)
Questa è la vera storia della morte di Capitan Futuro.

In piena fascia interna degli asteroidi, ci stavamo dirigendo verso Cerere, quando il trasmettitore della nave prese a gracchiare.

– Rohr…? Rohr, si svegli, presto.

La voce che si udiva era stentorea, piacevole e quasi misteriosa, campionata com’era da un vecchio video di Ercole preso dalla collezione del capitano. Quel suono si insinuò nel buio della mia cabina sul ponte mediano, durante la mia siesta dopo nove ore di turno di guardia.

Senza aprire gli occhi del tutto mi voltai verso il monitor del computer accanto al letto. Le solite, interminabili colonne di caratteri alfanumerici continuavano a scorrere sul video, scandendo vari test di sistema e aggiornamenti che come ufficiale in seconda era mio compito tenere sotto controllo, anche quando non ero di turno. E invece me ne stavo beato a dormire... Fortunatamente non vidi neanche l’ombra di un codice di emergenza. 

Nessun messaggio bordato di rosso: a prima vista sembrava tutto a posto.

Tutto tranne l’ora. Erano le 0335 Zulu, orario maledettamente antidiluviano.

– Rohr? – Insistette la voce, alzandosi di tono. – Signor Furland? La prego, si svegli…

Borbottando di disappunto mi rigirai nel letto: – Va bene, va bene, sono sveglio. Che ti prende, Cervello?

Cervello. Non bastava che l’intelligenza artificiale della nave si ritrovasse la voce di Steve Reeves; dovevano anche affibbiarle un nome idiota come “Il Cervello”. 

Dare nomi umani alle IA era costume tipico di ogni nave sulla quale avevo prestato servizio. Si andava da nomi di amici, familiari e compagni deceduti come Rudy, Beth, Kim, George, Stan, Lisa, a soprannomi come Boswell, Isaac, Slim, Flash, Mazza, fino ai classici Hal e Data scelti dai più nostalgici. 

Una volta avevo lavorato su un rimorchiatore lunare dove l’IA si chiamava letteralmente Testa di Cazzo. Potete immaginare ordini tipo: – Ehi, Testa di Cazzo, dammi la griglia di traffico per la Stazione Tycho… Ma soltanto un cretino poteva optare per un soprannome idiota come Cervello.

E quel “cretino” era Capitan Futuro… dovevo ancora decidere se il mio capo fosse idiota o pazzo.

– Il capitano mi chiede di svegliarla – disse Il Cervello. – Lei è convocato in plancia immediatamente. Ha detto che è urgente.

– Io non vedo nessun avviso sullo schermo.

– È un ordine del capitano, signor Furland. – Guardando verso il soffitto, vidi i tubi fluorescenti accendersi gradualmente dietro i vecchi e polverosi pannelli. Mi protessi gli occhi con la mano, coprendoli. – Se non si troverà sulla plancia entro dieci minuti, le sarà sottratta un’ora lavorativa, con segnalazione sulla sua tessera sindacale.

Solitamente questo genere di minacce mi lasciavano del tutto indifferente; perdere qualche ora o subire una segnalazione durante un lungo viaggio era la prassi, ma in quel preciso momento non potevo assolutamente permettermi una nota negativa. Entro due giorni l’AMCT Comet avrebbe raggiunto Cerere, e con essa la mia nave di destinazione Jove Commerce, diretta a Callisto. Quell’imbarco era stato un vero colpo di fortuna, e non volevo rischiare che il prossimo comandante mi scaricasse solo per via di una segnalazione negativa di quello precedente.

– Okay – borbottai. – Digli che arrivo.