Un gorgoglio s’estende oltre corde vibranti d’armonie siderali. Sono urla come canti, rivestite fino al tessuto essenziale di nero galattico, di macchie di colore intenso troppo breve perché riescano a dominare sul nulla universale, su tutti gli universi, sulla sensazione di vacuità perenne e statica.

È un fluttuare vigoroso, eppure sciolto, una pura liberazione dell’anima non più soggetta a erosioni del corpo. Il corpo si avvia a una transustanziazione di limpida angoscia stellare, simile al rumore di quasar che si sfaldano contro il muro onirico dell’attenzione senziente. Fa male. Fa angoscia, reitera gli stilemi fino a far naufragare la coscienza in una pura noia postesistenziale. Le voci si alzano oltre il nulla e mi chiamano a raccolta: sto per varcare la soglia, oltre, oltre. Oltre…

Il liquido amniotico in cui sono immerso trasporta informazioni e mi rende connesso a molte realtà; non è un sogno normale quello che sto vivendo bensì una lirica visiva che avvolge olograficamente le mie sinapsi, le culla come se stessero assopendosi pian piano. Le lamelle acide che giungono a me da una porta apertasi sul nulla differenziano le mie spinte emotive e così scorgo, vedo entrare prepotentemente nella mia sacca onirica, una nave spaziale immensa; non ne intravedo la fine, né l’inizio, è solo una sequenza ininterrotta, senza soluzione di continuità, di pannelli nanointessuti, incollati ad altri attraverso nanoresine. Il suo nome è esplicativo: ‘SydSpace. I suoi colori, viranti dal gelo dell’argento al carminio intenso, fino al verde acidamente siderale, conquistano tutta la mia attenzione; quella nave occupa la gran parte della mia visuale craniale e sono scioccato, come un ebete mi chiedo il senso di quest’invasione brutale, mi domando dove andrà ad atterrare quest’astronave più grande di un pianeta.

Mi lascio attrarre dai sussurri che si sono introdotti nella mia sfera olosensoriale insieme alla ‘Syd, essi sono parte integrante della mistica epifania che si apre alla mia comprensione; ascolto il messaggio indotto dal passaggio della nave.

“Dimenticati della tua natura fallace. Dimentica i tuoi affetti derivati dalla biologia. Dimentica ogni impressione che sia figlia del tuo essere carne e fisica conduttiva. Oscilla nel nulla senziente e apprezza l’infinita estensione empatica dell’energia, che sei ora…”

Mi fa un effetto migliore rispetto a qualsiasi altra droga abbia mai assunto, è infinitamente più efficace dei feedback somministrati nei neuroni con effetto Doppler ed è acido quanto una dose sperimentale di LSD uploadato nelle connessioni neurali. Il nero della ‘Syd che staticamente viaggia verso l’altro capo della mia bolla onirica sembra portarmi un senso di pace mistico, mi dimentico di me.

L’incedere della mia figura diviene ieratico. I miei arti si trasformano con un moto inspiegabile eppure tangibile, come se infiniti universi in cui io assumo configurazioni differenti collassassero su se stessi; il risultato della mia immagine è variabile, imprevedibile, alla fine le mie gambe sembrano diventate delle turbine a spirale di foggia fantastica, pregne d’ogni tipo d’informazione. Piango sommessamente, sto rivestendo me stesso del lutto e del funerale che sarà celebrato, tra poco, per me; il pizzicore al naso sale insieme alle lacrime infinite e al dispiacere immenso, senza nome, e privo della più semplice vergogna mi espongo al giudizio dell’energia, che mi veste attillandosi a ogni curva del mio essere.

Il Sentiero della Spirale è su me. Anch’esso completamente aderente alle mie forme, come una tuta di latex.

Il momento della rinascita mi riempie di dolore, poco dal lato fisico e infinitamente tanto dalla parte psichica. Devo essere trapassato nel momento di massima estensione della visione, e devo aver attraversato la bolla assieme alla nave stellare. Ora mi sento strappare di nuovo dal flusso della Corrente dove fluttuavo leggero, pieno, sentendomi in sinestesia con le oscure radiazioni del cosmo. Comprendo di essere nuovamente limitato, compresso dentro un’entità finita; sono un corpo di natura generica che mi costringe a percepire l’attimo mortale, il senso della decadenza che si perpetua, senza soluzione di continuità, negli incanti di una solitudine così tagliente da morirne per il solo pianto che suscita.

Salgo a bordo della ‘SydSpace tramite una passerella che si apre, silenziosamente, sullo spazio stellare; gli interni sono finemente arredati con gusto postumano e mi muovo con la flessuosità concessami dalla bassa gravità. La luce che vedo nei locali è soffusa, solo a volte diretta, e mentre mi sposto seguendo le infinite curve dei corridoi mi accorgo di percorrere la traiettoria di una spirale.

Struggente infinito di una morte improcrastinabile: ne sono impressionato. Capisco di essere al termine di un’ennesima incarnazione e allora mi rannicchio mesto e silenzioso, mi lascio rapire dall’infinita mistica dello spazio profondo. L’ultima immagine che vedo con i miei occhi biologici è una galassia a spirale che si forma sotto il mio sguardo e mi avvolge, mi abbraccia, mi rende un sudario di lacrime immenso e gravido di sofferenza interiore per la gioia di non dover più, di non dover ancora morire attraverso la carne modificata.

Sto scomparendo del tutto, e sorrido con la mia energia che si espande a spirale.