Siamo tutti abituati alla nostra umanità da non concepire altro. Ognuno di noi reputa la nostra civiltà, la razza cui apparteniamo, come la superiore, l’apice dell’espressività e della creatività, del genio, del pensiero.

È vero. Ma relativamente al nostro mondo terrestre.

Parliamo di un dato di fatto, non di punti di vista. Viviamo su un pianeta, su un granello della nostra galassia: la Via Lattea, il cui raggio raggiunge quasi i 53.000 anni luce; le nostre percezioni sono un compendio di cinque sensori, dalle limitate ricezioni. Un esempio? La nostra banda uditiva, nel migliore dei casi, va dai 20 Hz ai 20 kHz mentre per la fruizione dei colori ne vediamo principalmente tre più le loro variazioni, ma non possiamo andare oltre il rosso e l’ultravioletto. Potremmo citare poi l’olfatto, per esempio notevolmente inferiore a quello dei cani, i quali hanno anche capacità uditive superiori alle nostre; mentre per quello che riguarda il nostro tatto prima di riportare danni al derma si percepisce soltanto una gamma di temperatura assai limitata – i limiti sono compresi tra il molto prima dell’ebollizione dell’acqua e il poco dopo che ghiacci. Il gusto umano ha aspetti altrettanto circoscritti ed è un senso estremamente delicato che può essere assimilato, per la delicatezza delle mucose della bocca, al tatto.

Questi sono i nostri cinque sensi ufficiali. Molti di noi asseriscono di averne un sesto, e poi un settimo, e poi ancora un altro senso che potrebbe corrispondere all’istinto, ma in queste aggiunte arbitrarie non c’è nulla che possa essere davvero constatato con metodi scientifici, nulla oltre una sensazione più o meno vaga che a volte sembra ci salvi da qualcosa di pericolosamente incombente. Naturalmente non significa che queste sensazioni non esistano in assoluto, semplicemente insistiamo su un territorio di cognizione vaghe, oppugnabili, soggettive.

Il nostro dominio dei sensi, in ogni caso, è già finito lì. Ma l’abisso siderale in cui siamo immersi no.

Esistono inimmaginabili domini di dimensioni matematiche che eccedono le tre nostre canoniche – lunghezza, altezza, profondità. Lo stesso Tempo è una misura spaventevole di suo, per noi esseri biologici che viaggiano inesorabili verso la morte fisica; ma anch’esso è un parametro arbitrario, dipende da come lo percepiamo e dall’altimetria in cui ci troviamo – livello del mare piuttosto che su qualche cima alpina – ed è in correlazione con le grandezze quantiche dell’infinitamente piccolo, con cui dobbiamo fare i conti nella nostra vita quotidiana, anche se ci sembra non sia così: il Gatto di Schroedinger, tanto per dirne una, è un paradosso effettivo che ci mostra come la verità possa assumere due stati contemporaneamente veri e opposti. Il gatto è allo stesso tempo vivo e morto e dipende dal collasso della nostra osservazione fargli assumere uno dei due valori. Quindi, nella fisica quantistica l’osservatore assume il senso arbitrario di colui che modifica l’esperimento, ed è la dimostrazione di come i fenomeni dell’infintamente piccolo influenzino la nostra vita effettiva, quella che noi definiamo reale, dell’infinitamente grande. È un’altra poderosa spallata alla nostra concezione positivista della razza dominante su tutto l’universo possibile e immaginabile; anche i viaggi sulla Luna hanno rivelato come fuori dal nostro esile mondo terrestre noi siamo degli ospiti completamente sgraditi, i nostri cinque sensi vengono ridicolizzati e la nostra biologia significa solamente che, senza tuta protettiva, noi non potremmo sopravvivere al vuoto siderale che per pochi istanti, congeleremmo immediatamente in un’asfissia dovuta all’assenza di ossigeno, in un ambiente di vuoto totale dove non c’è nulla che confà alla nostra biologia.

Cosa vive in quelle sterminate lande di buio, gelo, silenzio? Pochissimo di biologico, al massimo qualche mattone di aminoacidi su cui è nato il  nostro bioma; Panspermia ancora da dimostrare completamente, certo, ma come detto nel vuoto spaziale non può vivere un corpo complesso come il nostro, anche per le radiazioni che percorrono il vuoto che ne determinerebbero un rapido deterioramento, come pure un lungo soggiorno a bordo delle navicelle spaziali sarebbe assai problematico – per esempio, il viaggio verso Marte così tanto sbandierato dalla propaganda liberista è fonte di complicanze anche di questo tipo, e di disfunzioni organiche derivate dal rilassamento e atrofizzazione dei muscoli in assenza di gravità.

Da qualsiasi punto di vista consideriamo la nostra esistenza sulla Terra e il mondo che è appena fuori il pianeta è facile rendersi conto quanto siamo limitati: l’intera razza umana è in costante pericolo di estinzione e se ciò avvenisse, altra considerazione che dovrebbe minare la nostra autostima, chi se ne accorgerebbe nel Sistema Solare, o nella nostra galassia, o negli spazi siderali che continuiamo a scoprire e che ci lasciano sempre a bocca aperta per le continue implicazioni matematiche e astrofisiche, così distanti dal nostro semplice modo di vivere?

Volete la verità, nuda e cruda? Nessuno se ne renderebbe conto. Nulla. Niente. La fine del nostro mondo, la fine della nostra razza, rappresenterebbe un’infinitesimale variazione del vuoto cosmico; la coscienza universale non sarebbe per nulla intaccata dall’evento per noi massimamente nefasto, tutti gli eoni dello spaziotempo a noi conosciuto – e quindi una minima parte del possibile – continuerebbero a fluire, ad aggregarsi, a collassare e a esplodere, confluendo magari in inimmaginabili buchi neri, come è sempre avvenuto negli abissi del nulla. Quel sempre è un valore di entropia dai contorni a noi appena comprensibili, lo consideriamo una follia cognitiva perché semplicemente – e questo è un altro limite in cui ci muoviamo e pensiamo – noi umani non possiamo andare oltre certi ragionamenti, certe astrazioni, non possediamo strutturalmente gli strumenti dimensionali adatti per capire.

Siamo un coacervo di limiti. Come potremmo considerarci davvero, a pieno diritto, la razza dominante dell’universo?

Siamo, forse è più giusto dire, degli affittuari che in questo eone abitano il pianeta Terra, senza davvero aver compreso come vanno avanti le cose nei massimi sistemi cosmici; comprendere ciò è importante per noi, ci può permettere di evolvere da uno stato primitivo, biologico, bestiale, verso qualcosa di più importante e darci la possibilità, per esempio, di sopravvivere a una catastrofe planetaria di vario tipo, non così improbabile se già osserviamo gli asteroidi che attraversano il piccolo spicchio di cielo che ci compete, oppure scongiurando qualche apocalisse ecologica di cui potremmo esserne la causa… In questo senso, il lockdown da Covid è stata una splendida occasione planetaria mancata, già ampiamente dimenticata dai sistemi finanziari di un mondo follemente lanciato verso un nulla di vacuo profitto, di business, di impossibile crescita infinita, di dividendi azionari talmente spropositati da non avere effettivi riscontri valutari: abbiamo ammassato una nominale quantità di ricchezza che non esiste, siamo condannati per la nostra imbecillità ad aumentare il plusvalore finanziario che è falso, ingannevole. Non comprendiamo che la bolla speculativa del liberismo mondiale, senza freni e in procinto di scoppiare, divellerà la nostra intera casa: la Terra.

Questo è l’attuale stato della nostra biologia, della semplice cognizione umana. E non c’è nulla o quasi che ci spinga ad andare davvero oltre i nostri limiti se non una personale tensione verso l’assoluto, verso la trascendenza, verso una sorta di misticismo tecnologico, quantistico, spirituale, in ogni caso lontano dalle manipolazioni religiose che sono, a loro volta, strumenti politici in mano a oligarchie sedimentate da secoli di potere incondizionato.

L’inumano ci appare quindi come una condizione cognitiva ed esistenziale che può aiutare a espandere la nostra coscienza, rendendola impermeabile alla compressione della fine biologica cui siamo inesorabilmente destinati, con buona pace del postumanismo e della sua pretesa d’ingannare l’entropia – che può essere al massimo ritardata, non annullata, per le ben note leggi della Termodinamica.

Da umano, pensare inumano non è facile. Per niente.

Ted Chiang
Ted Chiang

Occorre sentire, percepire, non farci influenzare dai limiti del nostro carapace biologico. In quel modo, i colori divengono sinestesie impensate, i suoni apportano variazioni psichiche alla percezione, ai fondamenti delle nostre comprensioni. Ma quest’evoluzione sarebbe solo il principio del percorso di emancipazione: è anche necessario implementare, rifondare completamente il lessico espressivo usando le fonetiche, le logiche dell’inumano; è un po’ quello che ha tentato Ted Chiang con Storie della tua vita, il racconto che narra l’incontro tra la razza umana e un gruppo di alieni che, provenendo da altri sistemi dimensionali, hanno un rapporto spaziotempo completamente differente dal nostro. Essi infatti adottano stilemi linguistici e logici completamente diversi: in sostanza, per loro lo spazio e il tempo si annullano, non hanno la profondità soggettiva che gli umani percepiscono. Perché per noi conoscere lo spazio e il tempo è fondamentale alla nostra sopravvivenza. Perché così vengono scanditi i nostri limiti.

Funzioniamo così. Il nostro linguaggio si è modellato su questi paradigmi. Ma, qui lo dico e qui lo confermo, il nostro esprimerci a parole è un’imperfetta traduzione del nostro sensorio, di quello che abbiamo in mente, delle immagini che si scatenano nella nostra testa. Chi è scrittore lo sa già: trovare le parole giuste è una fatica enorme, perché una parola o una frase non potrà mai tradurre perfettamente tutta la scena che l’autore ha immaginato, le sfumature emotive coinvolte, i simboli sottesi di uno scenario che si muove in secondo piano rispetto alle intenzioni del narratore, la catena emozionale che il testo forse susciterà nel lettore in una qualche misura imprevedibile anche per l’artista stesso.

Nella storia della Letteratura di scrittori davvero in gamba, in grado di maneggiare non bene ma benissimo le parole, non ce ne sono stati molti; per rimanere nel nostro amato ramo fantastico posso ricordare tra gli altri Neil Gaiman, Algernon Blackwood, Shirley Jackson, Valerio Evangelisti, Bruce Sterling, William Gibson. Ma il resto? Una moltitudine di autori ha un approccio povero con la lingua scritta, che pesa nel trasmettersi correttamente dove non si è riusciti a rendere bene le espressioni del viso o gli atteggiamenti posturali del corpo; ed è così che un testo scritto assume molte volte il senso di una tavola piatta, poche emozioni, sembra di leggere un tema scolastico. Ci si rende davvero conto che o si sperimenta la poesia più ardita del linguaggio oppure ci si accontenta di galleggiare sulle espressioni, sapendo che nulla di scritto potrà mai davvero penetrare la coscienza umana, fino in fondo, con lo stesso livello emozionale e ideologico che può garantire, per esempio, il mondo delle immagini o dei suoni – quindi pittura, cinema, musica.

Bentornati a Twin Peaks.
Bentornati a Twin Peaks.

Narrare l’inumano con le immagini, tanto per citare un caso, è più facile: qualcuno ha presente la puntata numero 8 della terza serie di Twin Peaks? Se non l’avete vista, andate a cercarla e sappiate che lì, pur parlando anche di umanità, il registro principale scelto da David Lynch è l’inumano, il disincarnato, il siderale. E se parlassimo di musica? Il genere Ritual Dark Ambient, un genere pescato tra i pochi che indagano l’inumano, è un ottimo compendio di empatie surreali, trascendentali, rivolte a un livello cognitivo da spazio profondo, che rasenta i sensi con segnali radio di una quasar su cui emanano energia i Grandi Antichi del pantheon lovecraftiano.

Le parole, a tutta questa magnificenza surreale, non arrivano. È evidente che una sperimentazione linguistica di tal tipo non solo è urgente, ma è anche doverosa: in un mondo che ha finalmente conosciuto i paradigmi quantici – già idealizzati dagli sciamani, mistici che potremmo idealmente ricollegare all’inumano, ai suoni e alle immagini disincarnate – riuscire a parlare un linguaggio che scavalca le barriere imposte dall’umano diventa una necessità sempre più urgente.

Il Fantastico, in tutto ciò, dovrebbe ricoprire un ruolo primario; la Fantascienza in primis, punta di diamante di una ricerca espressiva e di un’avanguardia da posizionare oltre la Fascia di Kuiper, si dovrebbe far carico di cercare questi nuovi linguaggi, abbandonando per un po’ o facendo convivere le logiche di mercato con il senso di arte e trascendenza – come appunto era, ripeto, per gli sciamani.

È allora obbligatorio, affinché si abbia successo in queste sperimentazioni, cacciare i mercanti dal tempio della sperimentazione e dell’arte. Rimuginare su quale suono palatale possa assumere il collasso di dimensioni matematiche sconosciute nel nostro mondo non è più soltanto una bizzarra stravaganza cerebrale, ma è una necessità che la matematica più esoterica indaga da lungo tempo e la avvicina alle esigenze tecnologiche della nostra razza, evolutasi sempre di più verso il transumano e il postumano, verso nuovi limiti che coincidono con gli spazi siderali, i mondi extrasolari, con le leggi della radiazione di fondo dell’universo e le sue semantiche che narrano di dimensioni che gli astrofisici, in un picco di attività cerebrale di pochi nanosecondi, riescono soltanto lontanamente a immaginare.

La nostra casa, non dimenticatelo, è lo spazio profondo, e non questo miserevole granello di sabbia che galleggia sull’inumano.

Nanni Moretti celebrava, nel film Palombella Rossa, la sua diversità intellettuale col mondo declamando “Chi parla male, pensa male; bisogna trovare le parole giuste, perché le parole sono importanti”. Queste sono le uniche modalità verbali che abbiamo tuttora per esprimerci tra umani; ma, come dicevo, il nostro futuro ci parlerà di dinamiche dell’astrofisica, e la fantascienza lo ha ampiamente immaginato: molta della nostra vita futura potrebbe svolgersi nello spazio, in luoghi inumani, dalle regole così astruse da renderci muti al loro cospetto.

Non vi siete ancora annoiati nel parlare esclusivamente di umanità? In fondo lo si fa da svariati millenni, abbiamo scoperchiato ogni emozione, ogni stato d’animo, ogni situazione dei nostri rapporti interpersonali e con l’ambiente: cos’altro c’è ancora da scoprire?

Ve lo dico io: l’inumano.

Quanto vogliamo aspettare per sperimentare queste nuove avanguardie? Cosa attendiamo per cominciare a pensare e articolare in termini di collassi probabilistici, di vibrazioni quantiche, di frattali matematici e tesseratti che si espandono senza soluzione di continuità, negli abissi siderali, collegati olograficamente a noi? Tutto ciò non è un esercizio di stile, l’arte umana si è evoluta esplorando gli innerspace della nostra anima e ora questi spazi interni cominciano a coincidere con quelli esterni: se vogliamo evitare che l’esterno irrompa e colonizzi completamente la nostra psiche ci converrà, forse, cominciare a disincarnare i nostri pensieri, le nostre esigenze, la nostra insulsa vita tridimensionale, espandendo la cognizione di cosa siamo.

Esploriamo allora insieme il nuovo lessico, facendo prove di fonemi che sembreranno pure assurdi ma che, forse, potranno davvero descrivere il collasso di una realtà oscillante e indeterminata nella nostra; del resto, articolando questi ipotetici fonemi, cosa ci potremo mai enunciare di così acusticamente diverso dal suono di un geroglifico dell’antico Egitto?