Perché ti hanno colpito?

L'intento della migliore fantascienza è quello di scioccare, di colpire le coscienze; è forse l'unico genere letterario che possiede in sé sia una notevole potenzialità di fuga dalla realtà, sia il suo esatto contrario, la capacità di rappresentarla per metafora in maniera distorta. Inoltre, è così versatile che in certi tratti del suo cammino si accompagna a un genere molto più nobile, la distopia o anti-utopia. Quasi tutti i romanzi che ho citato non sono storie scritte programmaticamente per lanciare messaggi, ma storie e basta, anche se in ognuna di esse la questione dei diritti umani si stampa sullo sfondo. Mi spiego meglio: se un autore ha intenzione di denunciare una situazione in cui la dignità dell'uomo viene calpestata, farebbe meglio a documentarsi e scrivere un saggio. Se invece vuole scrivere una storia, qualsiasi storia, può creare come ambientazione un forte conflitto sul tema dei diritti umani. Questa è la letteratura.

Perché la fantascienza si presta a parlare (anche) di diritti umani?

Perché ha a disposizione questa potente arma che è l'anti-utopia, distopia o utopia negativa, in qualsiasi modo la vogliamo chiamare. La fantascienza ha una grande forza metaforica: quando porta alle estreme conseguenze alcuni elementi di critica sociale che possiamo vedere in nuce già nei nostri giorni, diventa un veicolo di denuncia molto efficace. Tanto è vero che molti autori realistici l'hanno utilizzata, riconoscendone implicitamente la validità. Non che questa vocazione di denuncia sia la sua ragione d'essere, ma non è neppure così lontana dalla sua origine storica come vorrebbe qualcuno.

E' possibile che l'unico mezzo per parlare di diritti umani in fantascienza sia la distopia? Non credi che le potenzialità di raccontare storie che trattino di diritti umani siano più vaste?

Già le frontiere fra generi hanno spesso poco senso, figuriamoci quelle tra sotto-generi. Non è che un autore si sieda al computer con l'intenzione di scrivere una distopia: però se fa una storia ambientata in un futuro più o meno prossimo nel quale la libertà è fortemente condizionata, ecco che ha scritto una distopia. Questa utopia rovesciata funziona come caso limite, un mondo in cui i diritti umani violati si estendono a tutta una società o all'umanità intera: siccome la fantascienza ha spesso una velleità cosmogonica, universalistica o comunque catartica nei confronti dell'intero pianeta, ecco che la distopia è uno sbocco quasi obbligato. Se invece decidiamo di circoscrivere il tema a un fatto singolo, magari per fargli acquistare un significato metaforico e universale, chiaramente non siamo più nell'anti-utopia; ma gli autori di fantascienza sono abituati a pensare in grande, sono millenaristici.

La seconda edizione del Premio Omelas si è conclusa con dei risultati non proprio entusiasmanti. Se la partecipazione e la qualità media dei racconti pervenuti era nelle previsioni, l'aderenza al tema delle opere concorrenti ha parzialmente deluso le aspettative. Secondo la tua esperienza di autore quali potrebbero essere le cause di un simile risultato? La difficoltà intrinseca dell'argomento? Una scarsa sensibilità diffusa rispetto alle problematiche dei diritti umani?

Penso che questo effetto sia dovuto in parte all'età media dello scrittore dilettante di fantascienza, in parte alla natura stessa del genere, in parte ancora al fatto che viviamo in Europa. Di solito i lettori più giovani, che compongono buona parte degli appassionati, preferiscono la fantascienza avventurosa e più disimpengata; anche i film di effetti speciali (quelli che di solito vengono etichettati "film di fantascienza") raramente vanno oltre una generica, asettica presa di posizione a favore di una libertà liberal, che non tiene cioè in considerazione i rapporti economici. Questo tema può rendere discretamente bene in un film o in una fiction televisiva, ma rivela tutta la sua inconsistenza nella letteratura. A questo dobbiamo aggiungere una tradizione tutt'altro che democratica della fantascienza anglosassone, mentre nei paesi d'oltre cortina il genere veniva utilizzato per le sue forti potenzialità metaforiche anche in funzione di critica sociale, contro la dittatura; in occidente invece gli autori più critici potevano dire apertamente le cose più scomode, quindi la metafora perdeva di interesse. Infine, per uno scrittore europeo parlare di diritti umani implica una scelta consapevole, mentre per un americano o un asiatico potrebbe essere un tema assolutamente naturale.

Cosa potrebbe aiutare gli aspiranti scrittori ad affrontare il tema dei diritti umani in ambito fantascientifico?

Può anche darsi che dopo alcune edizioni di un premio organizzato da Amnesty International i potenziali lettori comincino a porsi il problema; io penso però che manchino davvero i mezzi culturali per una riflessione sul tema. Innanzitutto: perché qualcuno a cui sta a cuore la questione dei diritti umani dovrebbe scrivere un racconto di fantascienza? Bisogna già trovare un appassionato del genere, interessato al tema dei diritti umani e in grado di scrivere una storia, perché se viene meno l'ultimo requisito ci troveremo tra le mani un racconto in tema ma brutto. E qui ritorno alla questione di prima: l'unica ragione valida per accostare SF e diritti dell'uomo sono le potenzialità dell'anti-utopia. Penso che la domanda dovrebbe essere questa: come si potrebbe portare il lettore di fantascienza a interessarsi della violazione dei diritti umani?