Un breve sguardo storico

Al dibattito storico sulla molteplicità dei mondi abitati sono state dedicate ampie monografie (cfr. Crowe, 1988; Dick, 1982 e 1996; sguardi riassuntivi in Crowe, 1997 e Dick, 1993). I primi a ipotizzarne l'esistenza furono probabilmente gli atomisti, all'interno di una visione filosofica meccanicista che assegnava all'infinito numero di atomi del cosmo la capacità di dare origine ad una infinità di corpi in una pluralità di combinazioni possibili, anche al di fuori della terra. Con Epicuro (341-270 a.C.), e poi soprattutto con Lucrezio (99-55 a.C.), si va affermando una sorta di "principio di pienezza", secondo il quale tutte le potenzialità della materia sarebbero destinate prima o poi a realizzarsi, dando origine a un mondo tanto più perfetto quanto maggiore E' la ricchezza di esistenti che esso contiene. La domanda sulla possibile esistenza di abitanti sulla luna - intuitivamente la più diretta e spontanea data la prossimità e la grandezza apparente del nostro satellite - la si ritrova in vari autori classici, fra cui Plutarco (45-125). Nella sua opera De facie quae in orbe Lunae apparet, lo scrittore latino presenta un dibattito a più voci sull'origine delle macchie (chiaroscuri) che appaiono sulla superficie lunare, all'interno di un piccolo trattato di cosmologia filosofica sulle differenze fra le proprietà della terra e quelle della luna. Il pensiero filosofico che si rifà ad Aristotele (384-322 a.C.) troverà maggiore difficoltà a speculare sulla presenza di abitanti su altri mondi, in quanto la sfera celeste viene progressivamente contrassegnata con i caratteri dell'eternità, dell'immutabilità e dell'incorruttibilità, radicalmente distinta dall'ambiente terrestre (il cosiddetto mondo sublunare), cui appartengono invece il cambiamento e la contingenza; la sfera della luna, nella quale anche l'uomo percepisce qualche mutazione, resterà a metà strada fra le due.

In epoca medievale il cristianesimo non si opporrà all'idea che Dio possa creare altri mondi, anche più perfetti del nostro, ma il tema non avrà attinenza diretta con la loro possibile popolazione. Nella cosmologia di La dotta ignoranza, Nicola Cusano (1401-1464) farà allusione a possibili abitanti di altri mondi (che egli collocava ingenuamente sulle stelle), per sistematizzare dal punto di vista filosofico quali relazioni tali mondi avrebbero con la terra e con le sue perfezioni, e che rapporto ci sarebbe fra la natura dei loro abitanti e la nostra natura intellettuale. Con una riflessione che sarebbe ancor oggi condivisibile da molti nostri contemporanei, il cardinale filosofo concludeva che, nonostante tutto, non possiamo saperne nulla di simili comparazioni: "Gli abitanti delle altre stelle, quali che siano, non hanno nessuna proporzione con gli abitanti del nostro mondo, anche se la loro regione intera E' in una occulta proporzione con la nostra, per la finalità dell'universo [...]. Ma, siccome questa regione ci resta sconosciuta, ci restano completamente sconosciuti anche i suoi abitanti" (lib. II, c. 12). Interprete rinascimentale del "principio di pienezza", Giordano Bruno (1548-1600) ipotizzò la presenza di una vita diffusa in tutto l'universo, non solo sotto forma di abitanti delle stelle e dei pianeti, ma anche sotto forma di principio vitalista capace di assicurare un'anima alle stelle, ai pianeti, alle comete e all'intero universo. Galileo (1564-1642) e Keplero (1571-1630) non affrontarono mai il tema in modo diretto, ma percepiscono che il sistema eliocentrico poneva la terra in una condizione di maggiore analogia con gli altri pianeti solari. Ambedue si chiederanno, come prima Plutarco e non senza ironia, se le macchie regolari visibili sulla superficie della luna, potevano essere l'opera dei suoi abitanti intelligenti (cfr. C. Sinigaglia, Lo "scherzo" di Plutarco e il "sogno" di Keplero, in Colombo et al., 1999, pp. 155-168).