La ricerca della vita extraterrestre nel contesto delle scienze

All'analisi del nostro tema all'interno delle scienze occorre premettere un importante chiarimento. Il dibattito circa la veridicità e l'origine extraterrestre di oggetti volanti non identificati (UFO, Unidentified Flying Objects) non rientra nell'oggetto di ciò che le scienze intendono quando parlano di vita extraterrestre (ETL, Extra Terrestrial Life ed ETI, Extra Terrestrial Intelligence) ed esula anche dalla prospettiva interdisciplinare da noi qui adottata. Inoltre l'impossibilità di disporre pubblicamente di dati scientificamente accertati non ci permetterebbe di trattare l'argomento con il dovuto rigore, perciò, in questa sede, preferiamo accantonarne l'esame.

Noi non sappiamo se la vita rappresenti un evento unico nella storia del cosmo, verificatosi solo su questo remoto pianeta di una delle 1011 stelle in una delle 1011 o 1012 galassie che popolerebbero il nostro universo, o se sia al contrario un fenomeno piuttosto diffuso. Sappiamo certamente che la sua comparsa ha richiesto una serie incredibile di tappe e di condizioni previe, nello spazio e nel tempo, la cui considerazione non può essere elusa quando si desidera valutarne la possibile diffusione su scala cosmica. Non siamo neanche in grado di comprendere se l'insieme di tutte quelle delicate condizioni debba essere considerato come un evento altamente improbabile oppure come una sorta di imperativo cosmico, legato all'azione di un processo o di una legge che ne guidino inevitabilmente i vari passaggi (cfr. De Duve, 1995). Non sappiamo, in sostanza, se si tratta di un fenomeno universale e quasi inevitabile, che si riproduca ovunque le condizioni lo permettano, come suggeriscono Christian de Duve o Manfred Eigen, oppure se essa equivalga a un mero numero probabilistico, uscito per caso alla roulette dell'evoluzione cosmica, un fenomeno che non risponda ad alcun significato, neanche immanente alle leggi cosmiche, come laconicamente sancito da Jacques Monod e Steven Weinberg. Sotto il profilo filosofico esiste però il presentimento che la ricchezza della sua complessa fenomenologia, la teleologia dei suoi processi, nonché la sua assoluta singolarità rispetto alla materia inorganica, impongano di valutare l'incidenza e il possibile significato della vita con categorie che superino la scarna alternativa fra caso e necessità. Lasciando per il momento da parte quel complesso di condizioni fisico-chimiche che collegano le condizioni necessarie alla formazione di ambienti adatti alla vita con i valori numerici delle costanti di natura che regolano e determinano la struttura stessa dell'universo nel suo insieme - condizioni critiche abitualmente discusse all'interno del Principio Antropico - può essere utile riepilogare qui brevemente alcune fra le principali tappe che precedono necessariamente ogni possibile comparsa della vita nel cosmo.

Innanzitutto non va dimenticato che per contare sulla presenza di elementi necessari alla vita, come ad esempio l'ossigeno, il carbonio o il potassio, occorre attendere almeno una o forse due generazioni di stelle massicce perché, al termine della loro evoluzione termodinamica e termonucleare, i prodotti delle loro esplosioni come Supernovae rendano disponibili nello spazio cosmico un'adeguata abbondanza di simili elementi. E' in questo ambiente arricchito - l'universo comincia infatti la sua evoluzione composto quasi essenzialmente di idrogeno con una piccola frazione di elio - che dovranno poi formarsi quegli altri tipi di stelle, più stabili e di lunga evoluzione, come il nostro sole, le uniche con una vita media sufficientemente lunga (almeno alcuni miliardi di anni), che consentano ad eventuali pianeti che vi ruotano attorno di poter contare su una continuità energetica lungo tutto il tempo necessario alla lenta evoluzione da forme di vita assai semplici a quelle più complesse.

La massa di pianeti candidati a ospitare una biosfera, dovrà poi essere sufficientemente grande da trattenere gravitazionalmente un'atmosfera gassosa, ma anche sufficientemente piccola da raffreddarsi in un tempo ragionevolmente breve. Pianeti con una massa come quella di Giove o Saturno, ad esempio, pur essendo coevi alla Terra (circa 4,6 miliardi di anni), non hanno ancora concluso il loro raffreddamento e non presentano ancora una superficie solida. La distanza dalla stella centrale dovrà poi essere ottimale, affinché un pianeta riceva da essa una quantità necessaria, ma non eccessiva, di calore. La stella non dovrebbe poi appartenere ad alcun sistema stellare binario o multiplo (la cui incidenza E' statisticamente assai alta), allo scopo di garantire una sufficiente stabilità alle orbite planetarie.