Ci è stato rimproverato di aver tralasciato, nella serie di imitazioni presentate da questa rubrica, un omaggio a Tolkien. Nell'ammettere il torto, non possiamo che confessare un crimine ancora più grave: abbiamo scarsa dimestichezza col raffinato autore inglese, e quel poco che conosciamo non incontra particolarmente il nostro gradimento.

Prima che torme di fan della Terra di Mezzo addobbati da orchi e/o goblin e/o elfi e/o nani provvedano a punire la nostra scandalosa mancanza di rispetto, lasciateci spiegare il punto. La grandiosa costruzione letteraria di Tolkien, il suo quasi maniacale lavoro di ricerca filologica e mitologica, l'immenso background culturale che traspare dalle vicende di Frodo, Gandalf & compari, inutile dirlo, ci affascinano, così come hanno meritoriamente conquistato generazioni di lettori in tutto il mondo (è impressionante considerare il numero di traduzioni delle opere di Tolkien, dall'estone al giapponese, dall'indonesiano all'islandese... Signori, la parola di quest'uomo è conosciuta quanto la Coca-Cola!).

Tuttavia, la visione dell'accademico medievalista di Oxford ci ha sempre lasciati a disagio, e la scala di valori che filtra tra le righe del Signore degli Anelli non potrebbe essere più diversa dalla nostra: la conseguenza è che la lettura delle opere di Tolkien ci lascia sempre piuttosto contrariati. Tra i "buoni" e i "cattivi" tratteggiati da Tolkien, ci siamo sempre sentiti più vicini e solidali ai cattivi, mentre i buoni ci sono puntualmente risultati supponenti e antipatici. Per spiegarne i motivi basta riportare uno dei più significativi passaggi de Lo Hobbit:

Gli orchi non fanno cose belle, ma ne fanno molte di ingegnose. Di solito sono disordinati e sporchi. Non è improbabile che abbiano inventato alcune delle macchine che da allora in poi hanno afflitto il mondo, perché ruote, motori ed esplosioni sono sempre piaciuti loro moltissimo. Hanno sempre cercato di lavorare il meno possibile con le proprie mani, e sono probabilmente responsabili di quegli sconvolgimenti che alcuni chiamano "progresso".

Ecco, di fronte a considerazioni del genere, la nostra simpatia corre verso gli orchi per lo stesso motivo per cui (nei mondi partoriti dalla penna di H.G. Wells) tifavamo per i laboriosi Morlock e ci stavano sulle scatole i bucolici ed eterei Eloi.

Sarà certamente una nostra visione parziale e viziata, ma ci sembra che Tolkien ripeta sino alla nausea che gli Elfi sono creature nobili (sic!) perché spirituali ed ecologici, che i Prìncipi Umani sono ancora più nobili perché eroici, fedeli e col senso dell'onore; poi ci mostra gli orchi, brutti cattivi e (orrore orrore) sudati, al lavoro in caverne umide o in cima a vulcani fumanti, tutti in fila come formiche o, peggio ancora, come operai sporchi di grasso addetti a esecrabili catene di montaggio. Con la conclusione che i Bei Tempi Andati della Terra di Mezzo (un'Arcadia intrisa di spade, tesori e magie) erano lodevoli e nobili, mirabilmente degni rispetto alla nostra assai deprecabile Era Industriale, così orribilmente rumorosa e maleodorante agli occhi di un elegante accademico dell'Oxfordshire abituato a sorbire un elegante tè delle cinque (ovviamente servito da un elegante maggiordomo di nome James) discettando con un elegante vicino sul tempo e su quanto sia difficile, al giorno d'oggi, trovare della buona servitù.

Be', di fronte a tutto questo noi non possiamo che lanciare un grido: - VIVA GLI ORCHI!

Ok, non indendiamo approfondire la nostra analisi: sappiamo bene di non esserne in grado, a fronte di legioni di esperti, di critici, di scrittori, di antologisti, di cineasti e di redattori di tesi di laurea che su Tolkien ne sanno milioni di volte più di noi. Vogliamo solo presentarvi una rivisitazione, speriamo divertente, de Lo Hobbit, incentrato su un evento recente e, ahinoi, ancora triste e sanguinante nella nostra memoria.

Buona lettura, dunque, e alla prossima.