HitchBOT era il primo della sua specie, anche se il termine “specie” non è corretto per definirlo. Non era un essere vivente anche se – a modo suo – viveva. Per essere più precisi, HitchBOT non era un essere organico: era un robot antropomorfo con un torso costituito da un grosso secchio di plastica, due braccia e due gambe flessibili. Portava un bel paio di stivali gialli e guanti di gomma dello stesso colore.
La su faccia era un display, visibile attraverso una finestrella trasparente nel torso, ma non aspettatevi chissà che cosa, si trattava di un paio di occhi e un sorriso stilizzato.

Era dotato di una macchina fotografica, un collegamento GPS, pannelli solari e un cavo di ricarica compatibile con gli accendisigari delle automobili.
A differenza degli esseri umani HitchBOT esisteva per un motivo preciso: dimostrare al mondo che i robot possono fidarsi degli umani.
I suoi creatori – David Harris Smith della McMaster University e Frauke Zeller del Toronto Metropolitan University – lo avevano concepito nel 2013 come un autostoppista robotico (in inglese hitchhiking robot). Doveva cavarsela da solo chiedendo passaggi alla gente e spostandosi da un punto A a un punto B contando unicamente sulla generosità del prossimo.
La prima avventura di HitchBOT è stata in Canada, da Halifax, Nuova Scozia a Victoria, Columbia Britannica. Un viaggio di 6.170 chilometri, e altrettanti per tornare indietro.
Un secondo modello replica il percorso due volte diventando una piccola celebrità: per un po’ i suoi creatori sono costretti a disattivare il segnale GPS per evitare che i fan importunassero chi lo ospitava per ricarcarlo.
Nel 2015 sbarca in Europa. Attraversa senza problemi la Germania e i Paesi Bassi. HitchBOT diventa una specie di fenomeno tra nerd e appassionati di robotica.
Tutto sembrava indicare che l’esperimento fosse riuscito.
Ma si sbagliavano.
L’ultimo viaggio di HitchBOT è stato negli Stati Uniti d’America. Il programma prevedeva una traversata da Boston a San Francisco. A due settimane dalla partenza però un utente di Twitter diffonde sul social una foto del “cadavere” del robot gettato sul ciglio di una strada di Philadelphia.
Vandalizzato. Distrutto. Irrecuperabile. La testa non è mai stata ritrovata.
Un esemplare di HitchBOT è oggi in mostra al Canada Science and Technology Museum. L’HitchBOT di Philadelphia è stato riparato ed è esposto all’Heinz Nixdorf Museums Forum di Paderborn, in Germania.
È un aneddoto che racconto sempre quando qualcuno mi dice di aver paura di un futuro in cui i robot prenderanno il controllo.
Non sono i robot quelli di cui dovremmo avere paura.
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