
Hugo Gernsback è tradizionalmente considerato il “padre” della fantascienza. Si tratta, ovviamente, di un’attribuzione alquanto convenzionale, ma non priva di motivazioni. Si devono infatti a lui non soltanto pubblicazione della prima rivista interamente dedicata al genere, Amazing Stories (Storie sorprendenti), apparsa nel mese di aprile 1926, ma soprattutto la stessa invenzione del termine che lo designa: originariamente “Scientifiction” e poi più semplicemente “Science Fiction”. Figura particolare di inventore-editore, Gernsback era un elettrotecnico lussemburghese immigrato negli Stati Uniti, dove fondò nel 1908 una delle prime riviste tecniche di radiocomunicazioni Modern Electrics (diventata poi The Electrical Experimenter e successivamente Science and Inventions). A partire dal numero di aprile 1911 della rivista incominciò a pubblicare a puntate il suo romanzo avveniristico Ralph 124c41+, e successivamente continuò a pubblicare regolarmente quella che lui chiamava Scientific Fiction (narrativa scientifica), alla quale dedicò interamente il numero di Aprile 1923. Visto il successo Gernsback ruppe gli indugi e diede finalmente vita ad Amazing, la prima rivista interamente dedicata al genere che egli battezzò “Scientifiction”, termine con il quale – come piega nell’editoriale del primo numero – egli intendeva “storie sul tipo di quelle che scrivevano Jules Verne, H.G. Wells, Edgar Allan Poe, vale a dire vicende in cui alla trama romanzesca si intrecciano fatti scientifici e visioni profetiche del futuro”.
L’iniziativa editoriale di Gernsback non nasceva certo dal nulla: all’inizio del Novecento racconti e romanzi di fantastico scientifico (il cosiddetto scientific romance), oltre che sulle riviste di Gernsback, erano regolarmente ospitati sulle riviste pulp di letteratura popolare, in particolare su Argosy, All Story Magazine, The Cavalier del gruppo editoriale Munsey, e anche – a partire dal 1923 – sul primo pulp interamente dedicato alla letteratura fantastica, Weird Tales che, sebbene prevalentemente dedicato al Weird e all’Horror non mancava di ospitare fantasie scientifiche. Talvolta – specie in Inghilterra – tali fantasie erano persino pubblicate in volumi di pregio letterario.
Volendo generalizzare molto, possiamo individuare già agli inizi del XX secolo tre diverse vie alla Fantascienza, al centro delle quali c’è un diverso rapporto tra “scienza” (tra virgolette, intesa nel suo senso più ampio) e narrazione; si tratta di tre tendenze assai generiche che possiamo ritrovare in qualche modo – mutatis mutandis (e, soprattutto, con nuovi allestimenti figurativi e tematici) –anche nella fantascienza contemporanea.

1) La prima è la tradizione che discende da Wells: al centro c’è il rapporto tra presente e futuro, un futuro in genere – ma non esclusivamente – fortemente influenzato dall’innovazione scientifico-tecnologica; se vogliamo, il futuro come meditazione sul presente come lo ha definito Riccardo Valla: è il paradigma di The Time Machine dove – come noto – la divisione in classi dell’Inghilterra post-rivoluzione industriale veniva proiettata ed estremizzata in un lontanissimo futuro nella differenziazione evolutiva tra Morlock ed Eloi. È la fantascienza intesa come “speculative fiction”, in genere la fantascienza più letterariamente – e politicamente – avvertita.
2) Vi è poi la fantascienza del “meraviglioso scientifico” nella quale lo spunto scientifico è spesso del tutto irrealistico – si parla anche di storie di “super-scienza” – e serve solo come punto di partenza per narrare storie avventurose (il famoso “sense of wonder” associato spesso alla fantascienza classica); erano gli Scientific Romance ospitati nelle riviste pulp generaliste, come quelle del gruppo Munsay, e in particolare dei planetary romances di Edgar Rice Burroughs, avventure ambientate su altri pianeti del sistema solare, come i cicli di storie ambientati su Marte o Venere: lo ritroveremo in seguito alla Space Opera classica a fino a Star Wars.
3) Al “polo pensante” di Wells e a quello sognante – così li ha definiti Brian Aldiss nella sua storia della Fantascienza, Un Miliardo di anni (pubblicata anche in Italia da Delta-SugarCo nel 1974) – si aggiunge la “Scientifiction” di Gernsback. Al centro è posta l’anticipazione scientifica e tecnologica: la trama è solo uno spunto per l’esposizione di “fatti scientifici”, come dice egli stesso nell’editoriale del n. 3 di AS, dove per “fatti scientifici” – osserva Gary Westfahl , che a Gernsback e alla sua concezione della fantascienza ha dedicato un importante saggio, The Mechanics Of Wonder. The Creation of the Idea of Science Fiction (1998) – intendeva significava spiegazioni lunghe e dettagliate delle attuali conoscenze e scoperte scientifiche, equivalenti a quelli che si trovano nei libri di testo e negli articoli di scienze.
A ben vedere, in realtà, quello che veniva posto al centro non era tanto la scienza, quanto la tecnologia, o meglio ancora i “gadget” tecnologici, intorno ai quali veniva spesso costruita la storia. Come osservava ancora Riccardo Valla, nonostante il riferimento a Wells fatto da Gernsback, si trattava proprio del genere di cose alle quali Wells non dava peso, interessato com’era a una riflessione più ampia sul futuro: si vedano ad esempio la macchina del tempo dell’omonimo romanzo o la cavorite de I primi uomini sulla luna, improbabili invenzioni fantastiche funzionali solo ad avviare il meccanismo narrativo. In realtà, i racconti della scientifiction gernsbackiana, con i loro eroi caratterizzati dal dominio della tecnica e della conoscenza scientifica, erano piuttosto un’evoluzione delle «edisonate», racconti avventurosi con protagonisti giovani inventori pieni di risorse, modellati sull’esempio della biografia di Edison, popolari tra la fine del’800 e gli inizi del ‘900.

A rileggere ora quelle storie, i risultati letterari appaiono obbiettivamente alquanto scarsi, anche dal punto di vista del puro entertainment. E probabilmente dovevano sembrare tali anche all’epoca a giudicare dai risultati economici non eccelsi, tanto che Gernsback si vide costretto a ospitare storie avventurose e “fantasiose”, che erano le più richieste dai lettori, arrivando a pubblicare anche un romanzo della serie marziana di Burroughs, La mente di Marte (The Master Mind of Mars; in Amazing Stories Annual vol. 1, anno 1927).
L’estetica gernsbackiana (o, meglio, il suo modello di science fiction) non ha fatto la storia della fantascienza – per fortuna, secondo molti critici, Aldiss in testa –, ma è interessante perché mette in evidenza – proprio rispetto al nesso tra narrazione e scienza – due aspetti spesso controversi e spesso anzi rifiutati dalla critica successiva, che Gernsback poneva invece al centro del nuovo genere: l’aspetto educativo e quello profetico.
Nell’editoriale del primo numero di Amazing Stories si legge:
Non solo questi racconti straordinari costituiscono una lettura estremamente interessante, ma sono anche sempre istruttivi. Forniscono una conoscenza che altrimenti non potremmo ottenere, e la forniscono in una forma molto gradevole. Perché i migliori tra questi moderni scrittori di scientifiction hanno l'abilità di impartire conoscenza, e persino ispirazione, senza renderci conto nemmeno una volta che ci viene insegnato.
Gernsback considerava sinceramente la fantascienza un potente veicolo di diffusione della cultura scientifica e tecnologica: in un editoriale uscito nel numero del maggio 1930 di Science Wonder Stories (la nuova rivista che aveva fondato dopo aver perso il controllo della sua precedente casa editrice e di Amazing), egli mostra uno spirito proselitistico quasi missionario, che andava al di là del puro interesse per la promozione delle sue riviste:
la fantascienza è un fattore importante per rendere il mondo un posto migliore dove vivere, attraverso l’educazione del pubblico alle possibilità della scienza […] se ogni uomo, donna, bambino e bambina venisse indotto a leggere science fiction, ne deriverebbe senza dubbio un considerevole beneficio per la comunità, in quanto il livello di istruzione si eleverebbe enormemente.
Nel fare ciò egli si presentava come una sorta di profeta, rivolto in particolare ai giovani appassionati di scienza: nelle sue parole i lettori più affezionati erano “pionieri” di un futuro migliore basato sul potere della scienza, illuminati adepti di un nuovo culto della scienza.
Si noti la differenza di tono tra le due citazioni: se nel 1926 la fantascienza è un fondamentale veicolo di conoscenze scientifiche (di “fatti scientifici”), nella seconda emerge l’idea di un’importanza sociale dell’educazione scientifica; questa idea si fa strada in Gernsback agli inizi degli anni ‘30, anche grazie all’influsso, secondo Roger Luckhurst (in Science Fiction, Polity Press, 2005) delle idee della Tecnocrazia americana, che – ponendosi come risposta alla Grande Depressione – proprio agli inizi degli anno ‘30 visse una breve quanto intensa popolarità; essa infatti propugnava una riorganizzazione sociale su base “ingegneristica”, nella quale l’organizzazione dello stato e della società era sottratta alla politica e all’economia e demandata al razionalismo scientifico. Come si legge in un manifesto del movimento:
La tecnocrazia è la scienza dell'ingegneria sociale, il funzionamento scientifico dell'intero meccanismo sociale per produrre beni e servizi e distribuirli all'intera popolazione di questo continente. Per la prima volta nella storia dell'umanità, questo processo sarà affrontato come un problema scientifico, tecnico e ingegneristico. Non ci sarà posto per la politica o i politici, la finanza o i finanzieri… (The Technocrat, vol. 3, n. 4, 1937)
In effetti, lo stesso Gernsback nel 1933 iniziò le pubblicazioni di un periodico intitolato Technocracy Review, anche se esse furono interrotte dopo soli due numeri forse anche per la sua difficoltà – era in fondo un imprenditore e un uomo d’affari – di accettare le tendenze radicali e anticapitalistiche presenti nel movimento.

Correlato all’aspetto educativo è in fondo anche quello della visione profetica che sarebbe propria delle storie di scientifiction; esse, scrive Gernsback nell’editoriale programmatico del numero 3 di Amazing, offrono non solo delle competenze scientifiche, ma possono anche essere un incentivo “a lavorare su un dispositivo o un'invenzione suggerita da qualche autore”. In un certo senso si tratta di profezie che si auto-avverano: le invenzioni previste nella fantascienza potrebbero ispirare uno scienziato a inventare effettivamente un nuovo dispositivo. “Extravagant Fiction Today… Cold Fact Tomorrow” così uno strillo presentava il nuovo genere nel primo numero di Amazing Stories.
Nei suoi editoriali Gernsback insiste spesso sul fatto che fantasie scientifiche presenti in racconti del passato hanno avuto poi reale realizzazione, ed è certo che così accadrà anche con le storie che sta pubblicando:
Siamo pienamente consapevoli del fatto che alcuni delle storie immaginarie che pubblichiamo sono estremamente stravaganti, ora. Ma siamo così sicuri che saranno stravaganti tra cinquant’anni? Non è mai prudente in questi giorni di rapido progresso definire una cosa impossibile o addirittura improbabile. (The Electrical Experimenter, vol. 3, n. 12, aprile 1916)
Per Gernsback la scientifiction è profetica non solo perché si basa sulla scienza vera e fa estrapolazioni possibili, ma perché in fondo l’immaginazione è alla base anche delle scoperte scientifiche e delle invenzioni. Non a caso nel già citato editoriale del numero 3 di Amazing egli cita Leonardo e di Francis Bacon: se la scientifiction è “visione profetica” di macchine e invenzioni future le loro “invenzioni impossibili”, “che dovevano materializzarsi solo secoli dopo” diventano un antenato della fantascienza.
Come si è accennato, dopo i primi anni, la fantascienza ha seguito vie diverse: l’uscita sul mercato di altre riviste di Science Fiction, a partire nel gennaio 1930 da Astounding Stories of Super Science, che sarà nei successivi vent’anni la rivista più influente, portò inevitabilmente a nuovi modelli di scrittura, più vicini alla fantascienza avventurosa e immaginifica di Burroughs e delle riviste Munsey. Anche l’idea di una fantascienza attenta all’elemento scientifico, spesso anzi costruita su di esso, la hard science fiction, verrà rifondata in seguito – a partire da John Campbell e Arthur Clarke fino a Robert J. Sawyer e al recente exploit di The Martian di Andy Weir – in maniera meno ingenua e meccanica e riproposta su nuove basi, coniugata al meraviglioso ma anche alla riflessione sociale e filosofica sul presente.
Tuttavia, seppur certamente ingenua, l’idea di Gernsback non manca di punti di interesse, proprio laddove sembra suggerire l’importanza dell’immaginazione nella ricerca scientifica, evocando – seppur inconsapevolmente – posizioni epistemologiche una scienza che non è mera descrizione
(il pregiudizio realistico secondo cui la scienza serve per “descrivere” nel modo più preciso possibile la realtà), ma costruzione teorica di realtà e paradigmi, di ipotesi euristiche –conformemente ai dati disponibili e alle ipotesi che devono essere confrontate con essi – nella costruzione delle quali anche l’immaginazione ha la sua parte.
La Fantascienza, dirà molti anni dopo Stephen Hawking, ha funzione profetica nel senso di “fare congetture su come potrebbero essere gli sviluppi della scienza”. Se la fantascienza è profetica non è perché descrive invenzioni che saranno realizzate in futuro, ma piuttosto perché ne pone le condizioni, perché delinea l’orizzonte di pensabilità dell’innovazione scientifica, ne costruisce con il proprio patrimonio di idee e di topoi il substrato figurativo.
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