Uomini sulla luna

Nell’immaginario fantastico la luna è stato da sempre l’astro più vagheggiato, la meta per eccellenza dei viaggi spaziali, a partire dalla Storia vera Luciano di Samosata (II sec. a.C.) per arrivare al viaggio di Astolfo nell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto (1516). Ma è dal XVI secolo che i viaggi sulla luna – così come sugli altri infiniti mondi prospettati da Giordano Bruno – si moltiplicano: la visitano, tra gli altri, Francis Godwin (The Man in the Moone, 1638) e Cyrano De Bergerac (L'autre monde ou Les états et empires de la lune, 1657), la descrive come abitata Bernard le Bovier de Fontenelle nel suo Entretiens sur la pluralité des mondes (1686).

Una lunga storia, dunque. Tuttavia, se osserviamo più da vicino, possiamo notare grandi differenze tra questi viaggi. Prendiamo ad esempio il viaggio di Astolfo, il quale, come tutti sanno, raggiunge il nostro satellite sulla groppa di una creatura magica, l’Ippogrifo, e confrontiamolo con quello raccontato da Cyrano. Quest’ultimo compie due tentativi per raggiungere la luna: la prima volta il viaggio è compiuto grazie a una cintura di ampolle piene d'acqua di rugiada la quale, evaporando attratta dal sole, lo solleva in cielo; riesce però ad arrivare solo sino alla Nouvelle France (il Canada). È solo al secondo tentativo che, utilizzando una sorta di razzo fatto di fuochi d’artificio, riesce finalmente a raggiungere la Luna.

Ed è proprio qui che si misura la differenza tra l’imaginario fantascientifico (o pre-fantascientifico) e quello più tradizionalmente fantastico. In Cyrano, infatti, il meccanismo immaginato per il viaggio è il risultato di un’estrapolazione basata sulla scienza; per quanto in realtà quella che ci viene presentata sia in effetti una spiegazione pseudo-scientifica, volutamente non realistica, essa è comunque ascrivibile a un’episteme razionale e naturale dalla quale trae giustificazione.

In Italia il tema del viaggio sulla luna è ripreso agli inizi del ‘700 in diversi poemetti fantastici, tra i quali spiccano Il mondo della luna di Saverio Bettinelli (1754) e Estasi e rapimento sopra la Luna di Archerio Filoseleno (al secolo Antonio Caputi, 1763); in quest’ultimo il protagonista viene avvolto, per intercessione della Madonna, da una nube di energia che lo solleva in aria e lo porta sulla Luna, dove gli viene data come guida, per conoscere gli abitanti del satellite, nientemeno che il sommo poeta (e astronauta ante-litteram) Dante Alighieri. Il tema lunare doveva essere all’epoca di gran moda, tanto da venire satireggiato da Carlo Goldoni in Il mondo della luna, un dramma giocoso in tre atti del 1750, nel quale un astrologo imbastisce una elaborata truffa che coinvolge anche dei falsi abitanti della luna al fine di sposare una fanciulla.

Tra ‘800 e primi del ‘900, numerose opere ripresero il tema in termini che si fanno via via più realistici. Nel 1818 sul «Conciliatore» esce Viaggio d’un abitante della luna sul globo terrestre di Federico Confalonieri, ispirato in maniera evidente al Micromega di Voltaire: in esso il “lunatico” Fric-Frac, tecnologicamente e moralmente superiore, diventa la pietra di paragone della società del suo tempo. Ma soprattutto abbiamo, nel 1935, quella che verrà definita “La grande burla lunare” (The Great Moon Hoax). In quell’anno, a partire da una serie di sei articoli pubblicati sul quotidiano New York Sun, si diffuse la notizia che sir John Herschel, forse il più noto astronomo del suo tempo, avesse visto, grazie al suo nuovo telescopio, gli abitanti della Luna e le loro città. La notizia era un falso giornalistico, ma per anni fu creduta vera e diede origine a una “moda” che contagiò l’intera Europa con il conseguente proliferare, anche in Italia, di libretti, illustrazioni e stampe dedicati alle le meravigliose scoperte fatte dal grande astronomo. È del 1936 il volumetto illustrato Delle scoperte fatte nella Luna dal signor Herschel, stampato a Torino, e pubblicazioni analoghe le troviamo a Firenze e a Napoli, città nella quale fu anche stampata una preziosa serie di 12 stampe che illustravano gli abitanti della luna e i loro costumi. Nello stesso anno vengono anche pubblicati Un viaggetto nella Luna di N.N. accademico tassoniano, attribuito a Bartolomeo Veratti, e una Lettera su la ipotesi degli abitanti de' pianeti, scritta da padre Francesco Bruni (e dedicato a conte D. Monaldo Leopardi di Reganati, padre di Giacomo), che si ricollega alla questione della pluralità dei mondi.

In tutti questi casi, come osservò a suo tempo Riccardo Valla (in “Il viaggio spaziale nella prima fantascienza (1850-1930)”; https://digit.biblio.polito.it/viaggiospazialevalla.html), siamo tuttavia di fronte a scritti di natura comica, satirica o metaforica; bisognerà aspettare la generazione successiva a quella di Herschel, a partire dalla metà del XIX secolo, per trovare delle narrazioni realistiche della luna e dei viaggi spaziali. È infatti a partire da quegli anni che vengono a delinearsi le forme narrative che porteranno alla fantascienza moderna.

Donne sulla luna

Uno degli antesignani è proprio uno scienziato e scrittore italiano. Nel 1857 compare Relazione del primo viaggio alla luna fatto da una donna l'anno di grazia 2057 (Breve cenno del primo viaggio alla Luna fatto da una donna nell'anno 2057) dell'astronomo napoletano Ernesto Capocci, che immagina, otto anni prima di Dalla Terra alla Luna di Verne, di raggiungere il nostro satellite grazie a un proiettile sparato da un gigantesco cannone. Cosa ancor più curiosa è il fatto che la protagonista e narratrice della storia sia una donna, in anticipo quindi di una settantina d’anni rispetto a Una donna sulla luna di Fritz Lang e Thea Von Harbour. Nel breve volumetto Urania, questo l’indicativo nome della nostra viaggiatrice spaziale, racconta all’amica Ernestina del viaggio, da essa compiuto assieme al suo uomo Arturo, che dalla base di partenza all’interno di un vulcano spento tra le Ande l’ha condotta, grazie ai mezzi della “Compagnia della Luna”, fin sul nostro satellite. Il tono è leggero e talvolta satirico (ad esempio, nel ritrarre alcune dispute tra scienziati), ma in un quadro di generale verosimiglianza scientifica che ha il suo culmine nell’accurata e meravigliata descrizione scientifica del paesaggio lunare.

Una donna è anche la protagonista di Ad Astra. Fantasia dell’avvenire del triestino Antonio de’ Bersa, romanzo di ispirazione verniana uscito in prima edizione nel 1874. La parità di genere non era un tema nuovo nella letteratura utopica, ma nel romanzo essa è declinata in termini decisamente moderni: se Urania arriva sulla luna al seguito di un uomo, qui è invece proprio Giustina, con la sua curiosità intellettuale e la sua determinazione ad essere l’artefice dell’impresa lunare

Dal punto di vista del genere letterario, Ad Astra presenta ben delineati molti degli elementi che caratterizzeranno di lì a 50 anni la Fantascienza classica: a livello di contenuto abbiamo la presenza di un’utopia tecnologica che sottende una visione del progresso inteso essenzialmente nella sua componente tecnico-scientifica; sul piano enunciativo, appare già il meccanismo di post-datazione dell’istanza narrativa che caratterizzerà la fantascienza novecentesca: viene infatti messo in scena un narratore appartenente all’anno 3962 che ci racconta, nella forma di un romanzo storico, come è avvenuta la conquista della luna nel 3847. La componente satirica o filosofica lascia del tutto lo spazio all’attenzione e alla piacevolezza per il lettore, ottenuta dosando suspence, avventura e situazioni melodrammatiche, ma anche a un’estrapolazione scientifico-tecnologica verisimile o, se vogliamo, “fantascientificamente” verisimile. Jacopo Berti (curatore di una nuova edizione del romanzo uscita nel 2017 presso Zona 42), sottolinea a riguardo, nell’introduzione al volume, “la presenza di elementi di recentissima attualità scientifica e tecnologica. Per alcune scienze (meteorologia, chimica, meccanica, scienze naturali) viene ipotizzato e descritto un importante progresso teorico e pratico, tendente a quella conoscenza completa del mondo che il positivismo immaginava conseguibile in tempi brevi”. In particolare, la tecnica di viaggio spaziale descritto in Ad Astra nasce da una ricerca scientifica realmente pubblicata nel 1883 dal fisico Francesco De Grisogono: Sulla possibilità di navigare gli spazi celesti: Studio basato sopra la scoperta dell’oscillante, un mezzo fisico per vagare nel vacuo. Il trattatello, accolto con comprensibile scetticismo dai contemporanei, venne strenuamente difesa sulle colonne dell’«Osservatore Triestino» dal de’ Bersa, che ci costruisce intorno l’intero romanzo. Nel lontano futuro, infatti, la protagonista Giustina ritrova negli archivi della biblioteca di Trieste il trattato, e sarà l’oscillante il mezzo che permetterà di raggiungere sulla Luna e colonizzarla, salvando quindi la Terra dalla sovrappopolazione.

Come sottolinea Berti, de Bersa ha una piena “consapevolezza di inserirsi in un genere che ha dei fondatori e un immaginario ben definiti”: nel romanzo cita esplicitamente Edgar Allan Poe e, nella prima edizione dell’84, uno dei protagonisti si chiama Barbicane, ed è un discendente del Barbicane che per primo tentò il viaggio sulla luna col cannone descritto nei romanzi di Verne.

Coloni sulla luna

Alla stessa tradizione letteraria fa esplicito riferimento, una generazione dopo, La colonia lunare: storia di un'ipotesi, romanzo fantascientifico-avventuroso del 1908 scritto e illustrato da Yambo (pseudonimo di Enrico Novelli). Figura eclettica, Enrico dei conti Novelli da Bertinoro (Pisa, 1874 – Firenze,1943), fu romanziere, giornalista, illustratore, sceneggiatore di fumetti, marionettista, regista teatrale e cinematografico. A lui si devono numerosi romanzi per ragazzi: il più noto, Ciuffettino (1902) è ispirato al Pinocchio di Collodi, ma scrisse anche numerosi romanzi di avventura e di viaggi, spesso con elementi fantastici e ambientazioni fantascientifiche, tra i quali ricordiamo Atlantide (1901), che descrive la scoperta dei superstiti di Atlantide in fondo al mare (recentemente riproposto da Elara), Gli esploratori dell’infinito (1906), che parla di un viaggio tra i pianeti del sistema solare compiuto approfittando del passaggio di un asteroide e, appunto, La colonia lunare (1908), che descrive il primo viaggio sul nostro satellite e l’edificazione sul suolo lunare della comunità utopica di Selenopoli.

Nel romanzo è evidente l’influsso di Jules Verne e di Albert Robida, ma anche di H.G. Wells, seppur non necessariamente dal “romanzo lunare” di Wells, ovvero I primi uomini sulla luna (1901), la cui prima edizione apparve in Italia soltanto nel 1911. Sicuramente i due romanzi hanno in comune l’utilizzo, come mezzo per raggiungere la luna, di un minerale che permette di sottrarsi alla gravità: in Wells è la Cavorite che permette il volo spaziale, mentre in Yambo a sollevare l’astronave Croce del Sud nello spazio è la polvere di proiezione, “minerale straordinario che i raggi solari attirano, come la calamita attira il ferro”. Come si legge nel romanzo, “esponendo una piccola sfera di vetro trasparente, piena di polvere di proiezione, alla luce del sole, noi vediamo immediatamente inalzarsi nell’aria la sfera con velocità prodigiosa”.

In realtà è però più probabile che Yambo abbia preso l’idea dell’antigravità da Ulisse Grifoni, autore nel 1885 di Dalla Terra alle stelle, viaggio meraviglioso di due italiani e un francese, dove ad annullare la gravità è invece una speciale vernice. Per altro Dalla Terra alle stelle è anche il titolo di un romanzo di Henry de Graffigny (1882), pubblicato in Italia nel 1884 da Sonzogno, e soprattutto del primo romanzo pubblicato da Yambo, ancora quindicenne, nel 1890. Difficile dire se il nostro autore abbia letto una delle due opere, ma la casualità sarebbe curiosa. Quello che è certo – come osserva Denis Lotti, che a Yambo e, in particolare, a La colonia lunare ha dedicato un attento articolo (Yambo sulla luna di Verne e Méliès. Da “La colonia lunare” a “Un matrimonio interplanetario”, in Immagine – Note di storia del cinema (IV serie) n. 1 (2008), pp. 119-143) – è che, almeno nel preludio, la storia raccontata da Graffigny è la medesima che troveremo ne La colonia lunare, e gli stessi protagonisti del romanzo di Yambo sono ricalcati sull’opera dello scrittore francese: uno zio scienziato e il nipote assistente che preparano il viaggio che li porterà sulla Luna. Si tratta comunque di due caratterizzazioni relativamente stereotipe, utilizzate tra l’altro anche da Verne in Viaggio al centro della terra (1864).

L'opera, ambientata nel 1910, si apre con la narrazione tragicomica di una seduta del parlamento della colonia lunare di Selenopoli, che ci viene presentata come una realtà già ormai consolidata. A partire dal secondo capitolo, in un lungo flashback, il narratore/protagonista, l’ex-studente di Friburgo Otto Schauenburg racconta le vicende che hanno portano alla sua edificazione, dalla costruzione dell’astronave al viaggio sulla luna; la colonia è il risultato di un grandioso progetto di un geniale scienziato, Christian Schauenburg, zio di Otto, che intende creare sul pianeta “una nuova società umana, che si regga con nuove idee e nuovi principi morali”.

Noi andiamo nella Luna con una missione di pace e di amore. Noi vogliamo affratellarci con i popoli lunari, se ancora nella Luna vivono degli esseri umani. Noi non andiamo a conquistare il nostro satellite, per iscopi bassi e materiali. Noi fonderemo lassù una stazione per tutti gli infelici che avranno perduto su questo povero mondo ogni speranza di felicità. Pace e libertà!… Fratellanza ed uguaglianza!… Lassù noi ricostituiremo la società, come l’avrebbe desiderata il Sommo Fattore delle cose. Ogni uomo vivrà del proprio lavoro e avrà diritti e doveri in eque proporzioni: sarà felice e giusto. Non dovrà obbedire che alla Legge…

Si udì un mormorìo nell’assemblea.

— E la Legge sono io — concluse lo zio Christian, in tono che non ammetteva discussioni. —

E in effetti lo scienziato (il Gran Maestro, come lo chiamano i suoi seguaci utopisti) rivela in effetti nel corso del libro accanto all’idealismo spiccate caratteristiche autocratiche. L’elemento satirico è certo presente nel romanzo, che mantiene sempre – nonostante le digressioni scientifiche o para-scientifiche, un tono leggero e ironico. Non si sottrae nemmeno alla grande questione del colonialismo. Nel prosieguo del passo citato si legge:

E se i popoli della Luna non desiderassero questa nostra invasione? — domandò un personaggio lungo e magro, avvicinandosi al banco.

— Se i popoli… della Luna? — chiese lo zio Christian, crollando il capo in atto di minaccia. — Noi sapremmo ridurre quei disgraziati al silenzio! Forti del nostro diritto, prenderemmo la Luna con la violenza! Noi andiamo per una missione di pace… ripeto…

— Si vede — brontolai, mentre il riso mi soffocava…

— …Ma guai a chi volesse attraversarci la strada! — strillò lo scienziato, tornando a picchiare il pugno sul banco.

Nel romanzo, la luna possiede un’atmosfera e persino dei bacini d’acqua. La cosa, che a noi può sembrare fantasiosa, era tuttavia in linea con le conoscenze scientifiche del periodo. Ancora agli inizi del Novecento c'erano infatti dubbi sulla possibilità che la Luna potesse avere un'atmosfera respirabile, magari concentrata – come viene suggerito anche nel romanzo – nel profondo delle valli che solcano la sua superficie.

Tuttavia, l’immaginazione di Yambo si spinge ancora più in là, descrivendo – sulla faccia nascosta della luna – oceani e foreste, e persino una ricca fauna. In realtà, osserva Denis Lotti, ne La colonia lunare Yambo armonizza nozioni scientifiche ad alcune tendenze letterarie avventurose, esotiche e fantastiche, sia d’élite sia popolari. Del resto, come osservava Riccardo Valla nel già citato articolo sui viaggi spaziali nella prima fantascienza, “Un aspetto di questa produzione del periodo 1850-1930 è il suo contenuto scientifico discontinuo, nel senso che in uno stesso romanzo coesistono molte volte un contenuto astronomico assai preciso, con dati sulle orbite, i periodi rotazione, le dimensioni dei vari pianeti, e, accanto a queste informazioni, convinzioni ingenue come quella […] della presenza di aria nello spazio”. Si tratta di una commistione molto probabilmente voluta, se pensiamo che si ritrova anche nell’opera narrativa di un grande astronomo come Flammarion.

V’è un passo del libro in cui Yambo sembra voler giustificare la verosimiglianza delle meraviglie che descrive, che pure sembrano andare al di là di qualsiasi credibilità scientifica. A parlare è l’eminente Dr. Schaumberg.

— La scienza! — ringhiò lo scienziato, incrociando le braccia. — E se io ti dicessi che la scienza è una utopia? Che noi non sappiamo nulla? Che brancoliamo come ciechi nelle tenebre? La scienza umana è composta tutta di affermazioni errate che si debbono smentire via via, ogni qual volta la verità, tra i veli densi che ci avvolgono, getta qualche bagliore. Ma se noi ignoriamo le cose più elementari!…

Insomma, l’immaginazione fantastica parte dalla scienza conosciuta ma va al di là di essa, l’importante è – come già si è detto – rispettarne sempre, almeno formalmente la razionalità, attenti a non rompere quella “sospensione dell’incredulità” che è alla base della fantascienza come genere.

“L’immaginazione non deve impedirci di essere, possibilmente, logici ed esatti…” dice a un certo punto il Dr. Schauenburg. Si sta parlando di alcune bizzarre teorie scientifiche, ma non si può non leggerla come una sorta di dichiarazione di poetica da parte di Yambo.

L’appartenenza del romanzo a un’ispirazione che, prima ancora che fantastica o “pre-fantascienfica” rimanda più in generale al filone del romanzo d’avventura esotica che va da Salgari a Motta; ciò è evidente nella prima parte del romanzo, nel quale si descrive il viaggio della Croce del Sud dall’Europa all’Oceano Indiano, da dove si involerà per la luna, in una costruzione narrativa a imbuto rovesciato che porta gradatamente il lettore dal familiare all’ignoto. Ma lo si vede nell’altro tema che sottende la narrazione, la storia d’amore tra Otto e la bella Grëtchen, figlia adottiva del dottore, che culminerà, nel capitolo “I promessi sposi lunari” del quarto e ultimo libro del romanzo, con il matrimonio tra i due innamorati.

Matrimoni sulla luna

Ai promessi sposi lunari del romanzo si ispira molto probabilmente anche il film Un matrimonio interplanetario, cortometraggio di 13 minuti che Yambo girò nel 1910 e che costituisce probabilmente il primo film italiano di contenuto propriamente fantascientifico.

A dire il vero già qualche anno prima, nel 1906, Gaston Velle (regista francese operante per breve tempo nel nostro paese) aveva diretto un cortometraggio dall’ammaliante titolo di Viaggio a una stella, ma lì il viaggio spaziale era declinato nei toni della favola (l’astronomo protagonista arrivava su Saturno all’interno di una mega-bolla di sapone); nel film di Yambo invece i mezzi per arrivare sulla luna sono decisamente fanta-scientifici. Anche qui il protagonista è un astronomo terrestre, Aldovino, che con un potente telescopio esplora la superficie del pianeta Marte e vede le città dei marziani, dalle particolari architetture sferiche. Osservando l'interno di una casa, scorge la bellissima Yala e se ne innamora. Con una sorta di messaggio telegrafico fatto di lettere che si animano e si spandono nell'aria perdendo il loro senso compiuto (e che nelle forme richiamano forse non a caso le parolibere marinettiane), chiede al padre della ragazza marziana il consenso per il matrimonio; questi gli risponde che acconsentirà alle nozze soltanto se sarà in grado di volare fino alla luna, dove dopo un anno esatto egli sarà ad attenderlo con la futura sposa. Spinto dall'amore, Aldovino si lancia nell'impresa apparentemente impossibile e, costruita una navicella, si lancia nello spazio spinto, come nel romanzo di Verne, da un mortaio, arrivando sul nostro satellite giusto in tempo per l'appuntamento.

Occorre però dire, come osserva ancora Denis Lotti, a differenza del romanzo, che tendeva a una rappresentazione tendenzialmente verosimile della colonizzazione del nostro satellite, nel film prevale, come già per Velle, un registro comico e onirico, che riprende il modello delle féeries di Méliès, intrecciandosi alla vicenda romantica. Si ha l’impressione che, nella narrazione cinematografica, lo sviluppo della tematica fantastico-scientifica sia un poco più indietro rispetto all’ambito letterario: bisognerà aspettare due classici come Aelita (1924) di Jakov Aleksandrovič Protazanov e Una donna sulla luna (1927) di Fritz Lang per avere, in ambito internazionale, una rappresentazione maggiormente realistica del viaggio spaziale.

Quanto al cinema italiano, a quanto ci risulta, il tema del viaggio lunare ritorna negli anni successivi soltanto un'altra volta, in un film di animazione del 1921, Un viaggio nella luna, diretto da Gino Zaccaria per la Lilliput Film di Roma. La pellicola, purtroppo perduta, raccontava un viaggio interplanetario compiuto in sogno da un giocattolo e utilizzava come attori piccole marionette di legno, ideate da Armando Papò, pioniere italiano dell'animazione, e realizzate Federico Lucchini, animate con una tecnica simile a quella perfezionata negli anni '50 da Jirí Trnka. Questa la suggestiva descrizione riportata da una rivista dell'epoca: “Scintillio di stelle entro profondità azzurre solcate a volte dal rapido passaggio di lontani pianeti di fuoco che rotolano per l'etere infinito. Saturno, le nebulose di Andromeda e di Orione, le costellazioni tutte, passano sullo schermo in una stupenda teoria”. Ancora una volta, il viaggio sulla luna viene rappresentato in una maniera che vira sul fiabesco e l’onirico. Bisognerà aspettare gli anni ’60, con i film di Mario Bava e Antonio Margheriti, per avere nel cinema italiano una narrazione più realistica del viaggio lunare. Ma saremo ormai in un altro cinema e in un’altra epoca, quella della science fiction di ispirazione (e di importazione) americana.