In un precedente intervento su questa rubrica [1] in cui si parla di mondi “fatti” con le parole, c’è un accenno in chiusura ai mondi della finzione narrativa. “Fare il mondo” equivale a modificare la realtà in base ai propri parametri, e il riferimento è alla sostituzione della realtà così com’è (nozione problematica, ma non per questo priva di senso) con una realtà alternativa, creata attraverso il “semplice” accorgimento di descriverla in modo difforme da come si presenta.

Una domanda che viene in mente è se ci sia una differenza tra le ri-descrizioni strumentali utilizzate dai “padroni del mondo” e quelle finzionali messe in scena dagli scrittori, in particolare (trattandosi di realtà alternative) dagli autori di fantascienza. La differenza c’è di sicuro, ma qual è?

Si potrebbe pensare che gli scrittori non vogliano affatto cambiare il mondo, ma questo non è sempre vero. Il punto di contrasto è dunque altrove, perché uno scrittore di fantascienza parte da una modificazione deliberata inserita nel mondo considerato reale, in quanto la fantascienza si basa sull’uso di elementi controfattuali, ovvero non corrispondenti alla realtà dei fatti.

Dova sta dunque la differenza? La troviamo nel fatto che questa mancata corrispondenza tra il mondo reale e il mondo narrativo viene sottolieanta, non mascherata, in modo che il lettore possa riconoscere le modifiche introdotte rispetto al mondo così com’è. In altre parole, lo scarto non nasconde la verità, ma la fa affiorare, tant’è vero che la fantascienza è un mezzo per vedere più chiaramente come stanno le cose.

I mondi della fantascienza sono dunque dei mondi palesemente finzionali, non dei mondi fasulli gabellati per veri. La nozione di mondo finzionale non è tuttavia sufficiente a chiarire la questione. Mondi fittizi e mondi finzionali sono alternativi al mondo così com’è, ma alcuni di essi sono anche mondi “possibili”, vale a dire mondi che potrebbero prendere il posto del mondo reale.

Non tutti i mondi finzionali sono mondi possibili. Ad esempio, i mondi della narrativa fantasy non lo sono. Quanto ai mondi fittizi (mondi irreali spacciati per veri) alcuni di essi sono possibili e altri no. La cosa sconcertante è che un mondo fittizio possa essere preso per vero semplicemente inducendo la gente a credere che lo sia, perfino nel caso in cui non è nemmeno un mondo possibile.

Per cogliere la portata effettiva di quest’ultima affermazione, occorre tener presente che un mondo non è un blocco unico, ma un insieme formato da vari tipi di entità e correlazioni. Per fare un esempio piuttosto ovvio, il mondo dei terrapiattisti non è lo “stesso” mondo di quelli che lo rappresentano come una sfera, a parità di tutto il resto.

Tornando alla questione di chi vuole cambiare il mondo, non è affatto detto che uno scrittore di fantascienza non voglia farlo, e potrebbe volerlo fare proprio descrivendolo diverso da come è. Un autore (o un’autrice) di fantascienza, tuttavia, nel suo allontanarsi dalla realtà cerca di descrivere per contrasto il mondo reale. Nel caso in cui qualcuno rappresentasse il mondo come vorrebbe che fosse, il risultato sarebbe un’utopia, che è una costruzione di tipo finzionale.

Più frequente è il caso in cui la rappresentazione modificata del mondo serve a suggerire non che il mondo dovrebbe corrispondere a questa rappresentazione, ma che si dovrebbe evitare di lasciare le cose come stanno, perché potrebbero sfociare in qualcosa di poco piacevole: un’anti-utopia.

A questo punto viene da chiedersi se uno scrittore, in particolare uno di fantascienza, possa influire sulla realtà. Tra chi si è posto questa domanda, c’è uno scrittore di fantascienza abbastanza famoso, cioè Cyril Kornbluth [2] e la sua risposta ci può sorprendere, perché è negativa.

Kornbluth è noto soprattutto per il romanzo di "Social Science Fiction" I mercanti dello spazio [3] scritto insieme a Frederik Pohl, e può sembrare strano che un autore di fantascienza sociale (o sociologica) ritenesse la sua opera ininfluente, e dobbiamo supporre che questa non fosse la sua idea iniziale, ma una convinzione arrivata dopo, come una sorta di delusione.

Nell’analizzare un racconto di Kornbluth su un “vampiro mentale” [4] Kristin Bidoshi [5] parla in effetti della convinzione dell’autore che la fantascienza possa, e debba, funzionare come critica sociale, e si dà il caso che Kornbluth sia morto prematuramente nel 1958, prima di compiere trentacinque anni, e che il suo pessimistico articolo sia uscito postumo nel 1959.

La spiegazione fornita da Kornbluth in questo scritto è che la fantascienza lavora a un livello simbolico profondo, mentre un libro critico dovrebbe esporre le questioni in modo più esplicito e diretto. Abbiamo detto altrove perché la tesi di Kornbluth non ci convinca [6] qui vorremmo aggiungere che Bidoshi ricorda come Kornbluth, Pohl, e gli altri “Futuriani” (un gruppo di autori progressisti) usassero la fantascienza per veicolare contenuti antiautoritari, nell’America repressiva degli anni ‘50 del Novecento. Il loro operato era reso possibile dal “travestimento” fantascientifico, ma Kornbluth si convinse che questa schermatura offerta dalla fantascienza avesse nascosto il messaggio critico, rendendolo inefficace.

Quando Kornbluth parla del simbolismo fantascientifico, si riferisce dunque al fatto che la Science Fiction sposta i problemi degli umani altrove, nello spazio o su altri pianeti. Secondo lui, proprio ciò che permetteva agli scrittori di mostrarsi critici contro il governo impediva di percepire la critica. Questo, tuttavia, ci sembra un equivoco. La fantascienza permette di focalizzare meglio i problemi proprio perché li sposta altrove, nello spazio e nel tempo, o li attribuisce a specie non umane, ma che ci assomigliano.

Perciò la difficoltà non è questa. Secondo noi, affinché un romanzo (che sia di fantascienza oppure no) abbia una funzione di cambiamento culturale, e dunque sociale, esso dev’essere semplicemente valido, ma ciò non basta, perché il suo impatto dipenderà dal numero e dalla tipologia dei suoi lettori. Il motivo ci sembra evidente. La risonanza di un romanzo è proporzionale al suo successo di pubblico [7] ma è importante che esso venga letto non solo da persone che siano già allineate con le sue posizioni. Non serve nemmeno che esso venga letto da chi la pensa in modo del tutto diverso, perché non basterà la lettura di un libro a fargli cambiare idea. Ciò che serve davvero è che esso venga letto da molte persone che non hanno idee precostituite, e che possono dunque essere indotte a riflettere sulle questioni che il romanzo pone.

Ursula Le Guin
Ursula Le Guin

Il racconto discusso da Bidoshi sembra in realtà confermare la tesi di Kornbluth. Il suo “vampiro atomico” (il mindworm, il tarlo o verme mentale del titolo, è un mutante telepatico prodotto dalle radiazioni, che succhia la mente delle sue prede, uccidendole) si inserisce nelle ossessioni americane dell’epoca: la guerra fredda, l’olocausto nucleare, il consumismo.

Ma il simbolismo può non risultare così trasparente. Mentre è facile cogliere la critica alla bomba atomica, meno ovvia è quella contro la svolta autoritaria legata alla guerra fredda coi sovietici e sfociata nella “caccia alle streghe” del senatore James McCarthy, che voleva sopprimere il germe del comunismo perseguitandone i presunti simpatizzanti. Il mutante di Kornbluth raffigura il comunista che può nascondersi in un individuo dall’aria normale, ma al tempo stesso mostra come le sue prede siano il frutto del sogno americano.

Il vampiro stesso è di fatto un prodotto dell’ossessione per le armi della cultura americana, e non a caso, nota Bidoshi, sarà un immigrato a ucciderlo, rovesciando così, a livello etnico e culturale, il luogo comune che fa nascere il vampiro nell’Est europeo e il cacciatore nell’Ovest del mondo. La figura del mindworm risulta molto complessa a livello simbolico, e forse troppo profonda per essere colta dai lettori. Tuttavia, in romanzi come il già citato “I mercanti dello spazio”, gli aspetti critici sono abbastanza chiari, e non si vede perché la narrativa fantascientifica debba essere considerata culturalmente inefficace per via della sua simbolicità.

Sempre Kornbluth analizza in termini psicanalitici il romanzo 1984 di George Orwell [8] dopo averne dichiarato la presunta inefficacia, ma non si capisce per quale motivo il contesto distopico (dunque fantascientifico) o il simbolismo psicologico che lui ci ritrova dovrebbero inficiare il messaggio critico esplicito del testo, poiché la sua idea che si tratti non di critica ma di propaganda appare pretestuosa.

Per smentire Kornbluth (una cosa da lui stesso auspicata) possiamo citare La mano sinistra delle tenebre di Ursula Le Guin [9] che ha di certo avuto un influsso sui movimenti e le contestazioni sociali del Sessantotto, non perché li abbia prodotti, ma perché è entrato in risonanza con essi, fungendo da riferimento culturale per chi volesse cogliere il senso di quel particolare momento storico.

Note

[1] Antonino Fazio, “Come fare il mondo con le parole”, Delos Science Fiction n. 265, aprile 2025.

[2] Cyril M. Kornbluth, “The Failure of the Science Fiction Novel as Social Criticism”, in: Basil Davenport (a cura di), The Science Fiction Novel: Imagination and Social Criticism, Advent Press, 1959, pp. 64-101. L’intervento è tratto da una lettura tenuta all’Università di Chicago nel 1957.

[3] Frederik George Pohl e Cyril Michael Kornbluth, “The Space Merchants”, Ballantine, 1953 (ma il romanzo era già uscito su Galaxy Science Fiction in tre puntante nel 1952, col titolo “Gravy Planet”).

[4] Cyril Kornbluth, “The Mindworm”, Worlds Beyond, Hillman, december 1950. Poi pubblicato in: Alan Ryan (a cura di), The Penguin Book of Vampire Stories, Penguin, 1987, pp. 349-61.

[5] Kristin Bidoshi, “The Mindworm: C. M. Kornbluth’s Post-War American Vampire Tale at the Dawn of the Atomic Age”, Fafnir, 6 (1), 2019, pp. 28-40.

[6] Antonino Fazio e Riccardo Valla, “Fantascienza e critica sociale”, Futuro Europa n. 45, 2006.

[7] Kornbluth fa un discorso analogo per “Il lungo silenzio” di Wilson Tucker (“The Long Loud Silence”, Rinehart, 1952) ma sostiene, forse provocatoriamente, che non sia fantascienza.

[8] George Orwell (Eric Arthur Blair), “Nineteen Eighty-Four”, Secker & Warburg, 1949.

[9] Ursula Kroeber Le Guin, “The Left Hand of Darkness”, Ace Books, 1969.